STAPPA IL PRODINO – I TRADITORI DEL CAPRANICA, IL MARINATO BERSANI, L’INCONTRO SEGRETO D’ALEMA-BERLUSCONI

Francesco Bei per "la Repubblica"

Sul campo di macerie del Pd questa mattina qualcuno proverà a rialzare una bandiera. Pierluigi Bersani indicherà un nome da cui ripartire e, soprattutto, «un nuovo metodo». Quello cioè di scegliere prima all'interno del proprio schieramento il campione da lanciare in pista e soltanto dopo proporlo al voto del Parlamento. Con un nome che spicca su tutti, quello del federatore storico del centrosinistra: Romano Prodi.

L'unico che, a questo punto, può forse riuscire nell'impresa titanica di rimettere insieme i cocci della coalizione. Forse, perché lo stesso Bersani, che questa mattina sonderà l'assemblea dei parlamentari del Pd anche sulla candidatura di Prodi, in privato non si nasconde l'estrema difficoltà dell'operazione. «Non possiamo più sbagliare - ha confidato in serata ai dirigenti riuniti per l'ennesimo caminetto - e ancora non vedo questo afflato comune, nemmeno su Prodi».

Insomma, non è detto che mettendo in pista il fondatore dell'Ulivo si riesca a tenere uniti i 496 grandi elettori del centrosinistra, a cui dovrebbero comunque aggiungersi alcuni voti del Movimento 5Stelle per raggiungere la maggioranza assoluta al quarto scrutinio. Al momento comunque niente primarie dei candidati, come invece si diceva nei corridoi nel tardo pomeriggio. Il segretario spera ancora in un'acclamazione su un candidato, possibilmente Prodi, che dia il senso di una ritrovata unità.

Pronto tuttavia a rimettersi al voto (anche segreto) se dai gruppi dovesse salire una richiesta in tal senso. Insomma, ci dovrebbe essere un'indicazione sul «metodo» da seguire per la scelta, ma niente di più.

È il ribaltamento completo della strategia perseguita finora, quella delle larghe intese con Berlusconi. Una presa d'atto dell'impossibilità di far digerire ai parlamentari, spinti dalla rivolta della base, l'intesa sul nome scelto dal Cavaliere. «Alla riunione del cinema Capranica - racconta il veltroniano Vinicio Peluffo - c'era gente vicino a me che alzava la mano per Marini e con l'altra già scriveva su Twitter che non l'avrebbe votato. Un impazzimento totale».

Dunque addio a Marini - affossato da oltre duecento franchi tiratori del centrosinistra - nonostante il lupo marsicano ancora abbia voglia di mordere e non intenda abbandonare spontaneamente il campo. Il centrodestra infatti tifa per lui. Ieri notte, durante un summit ristretto dei democratici, Bersani ha chiamato al telefono direttamente Silvio Berlusconi. «A questo punto noi vorremmo riproporti Cassese». La risposta del Cavaliere è stata netta: «Impossibile». A quel punto il segretario ha rilanciato il nome di Sergio Mattarella.

La replica: «Per noi non cambia». «Allora - ha chiuso il leader pd - non abbiamo altri nomi da proporre». La trattativa si è così chiusa e il nome di Prodi è diventato l'unica opzione.
E tuttavia, mentre Prodi si prepara a un rientro trionfale dal Mali, c'è un altro candidato pesante che oggi dovrebbe giocarsi la sua partita.

Massimo D'Alema infatti non ha rinunciato alla corsa della vita, quella che già perse una volta nel 2006 per i veti interni al centrosinistra (dopo essere stato lanciato in pista dal Foglio). Mercoledì mattina l'ex presidente del Copasir ha incontrato in gran segreto Silvio Berlusconi e il consenso del Pdl, anche se sofferto, è convinto di poterlo strappare.

«A noi mandarlo al Colle ci fa perdere il 5% di voti - ragiona il berlusconiano Raffaele Fitto, che con D'Alema coltiva un antico rapporto di amicizia - e potremmo accettare soltanto se avessimo certezza che tutto il Pd lo sostiene in un'ottica di larghe intese». Ma D'Alema deve soprattutto vedersela, come sette anni fa, con il fronte interno. L'ostilità nei suoi confronti infatti non è più limitata a quei settori del centrosinistra che vedono come il fumo negli occhi l'ipotesi di un accordo con il Cavaliere.

Anche la schiera degli ex popolari, rimasti scottati dalla bruciante sconfitta di Marini, medita vendetta. E forse non è un caso se ieri Dario Franceschini abbia dato forfait al pranzo di Bersani con Migliavacca, Letta ed Errani per stabilire la nuova strategia "post-Marini".

Un altro inferocito è Beppe Fioroni, grande sponsor dell'ex leader della Cisl. «Il voto di oggi - si scalda l'ex ministro dell'Istruzione - è una tomba sulle larghe intese, la soluzione non può essere un altro candidato che rappresenti le larghe intese».

Il nome di D'Alema non viene pronunciato, tanto è evidente il riferimento. Ma non è tutto, perché Fioroni sospetta l'azione di un'accorta regia dietro l'affossamento dell'ex presidente del Senato: «Appena l'altra sera abbiamo scelto Marini all'assemblea del Capranica, dopo venti minuti già ognuno di noi era stato bersagliato da 2-3 mila mail di protesta. Possibile? C'è qualcuno che ha preparato tutto, hanno deciso di giocare un'altra partita. Perché non mi vengano a dire che duecento franchi tiratori sono un dato fisiologico».

In un Transatlantico impazzito ci si accalora tra opposte tribù e saltano fuori le voci più incontrollate. Come quella di un accordo sotterraneo tra Massimo D'Alema e Matteo Renzi, siglato la scorsa settimana nel faccia a faccia a Firenze, per affossare la candidatura di Marini. In cambio un D'Alema presidente della Repubblica, eletto grazie al sostegno del sindaco di Firenze e con i voti di Berlusconi, garantirebbe lo scioglimento anticipato delle Camere.

Così i due candidati premier - Berlusconi e Renzi - si potrebbero giocare la sfida per palazzo Chigi. Scenari fantasiosi, smentiti dal sostegno palese della stragrande maggioranza dei renziani per Prodi e dallo stesso sindaco fiorentino («la candidatura di D'Alema non esiste»), ma che comunque rendono bene il livello di sospetti e veleni che sta inquinando la vita interna del Pd.

E tuttavia oggi la balcanizzazione del centrosinistra potrebbe allargare la corsa, non limitarla al ballottaggio tra Prodi e D'Alema. «Rodotà resta in campo », dicono ad esempio da Sel, «noi lo continuiamo a votare». Ci sono poi i rumors su un'inedita intesa sotterranea tra i giovani turchi del Pd, che non vorrebbero ritornare sotto l'ombrello di D'Alema, e i vendoliani.

Un asse funzionale a lanciare la candidatura del presidente della Camera, Laura Boldrini, che potrebbe lasciare lo scranno di Montecitorio a un esponente dell'area popolare per allargare i suoi consensi. E ci sono tanti nel centrosinistra, dal renziano Roberto Giachetti al socialista Riccardo Nencini, che continueranno a puntare su Emma Bonino sperando che i voti della leader radicale possano lievitare oltre la decina raccolti ieri.

Prima di mezzanotte si muove anche Mario Monti, che propone dal quarto scrutinio Anna Maria Cancellieri. «Una candidatura di alto profilo istituzionale - dice il premier dopo aver consultato i vertici di Scelta civica - capace di parlare ai cittadini e dare garanzie a tutte le forze politiche».

 

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