TERREMOTO ARABO - SOLO 10 MESI FA L’AMBULANTE TUNISINO SI DIEDE FUOCO SCATENANDO LA RIVOLTA POPOLARE - DA ALLORA SONO CADUTI TRE REGIMI (EGITTO, TUNISIA, LIBIA) E PAESI IMMOBILI DA DECENNI SONO IN FIAMME (SIRIA, YEMEN, GIORDANIA) - LA SETTIMANA DELL’UCCISIONE DI GHEDDAFI COINCIDE CON LE PRIME ELEZIONI LIBERE DELL’ERA DELLE RIVOLTE ARABE (IN TUNISIA) - E LA MORTE DEL COLONNELLO AVRÀ UN EFFETTO PROPULSIVO SUL DISSENSO SIRIANO E SULLA RIVOLTA YEMENITA...

Rolla Scolari per "il Giornale"

Sono passati poco più di dieci mesi tra la morte di un giovane venditore ambulante di verdure in un villaggio rurale del centro della Tunisia e la cattura e l'uccisione del raìs libico Muammar Gheddafi. Mohamed Bouazizi, di Sidi Bouzid, si è dato fuoco il 17 dicembre 2010 per protestare contro la confisca del suo carretto da parte delle autorità. Il suo gesto ha innescato un dissenso popolare che si è propagato con inaspettata velocità ad altri Paesi arabi: a regimi anacronistici, retti da anziani autocrati protagonisti della scena mediorientale da infiniti decenni.

Da Sidi Bouzid la rivoluzione si è spostata a Tunisi, al Cairo, Bengasi, Sanaa, Damasco, Manama. Ha toccato la Giordania, il Marocco, ha avuto ripercussioni sull'immobile politica saudita. E ha cambiato la faccia di una regione da sempre al centro delle cronache internazionali, scacchiere di partite politiche e militari che interessano le cancellerie di tutto il mondo.

Il Medio Oriente e il Nord Africa, i Paesi arabi dei polverosi regimi dittatoriali, dell'immobilismo politico e della repressione sociale, uguali a se stessi da decenni e restii a ogni tipo di cambiamento, sono stati trasformati in soli dieci mesi. E in soli dieci mesi sono scomparsi eterni protagonisti dello spettacolo, leader senza un mandato popolare che hanno calcato­le scene della politica internazionale per anni. Il primo a cadere è stato Zine El Abidine Bel Ali. Il 14 gennaio, in seguito a giorni di proteste di piazza, il raìs tunisino è fuggito dal Paese dopo 24 anni al potere.

Ma è l'uscita di scena del presidente egiziano Hosni Mubarak, soltanto 28 giorni dopo, ad aprire la crepa più grande, a dare la scossa più violenta allo status quo mediorientale. Per trent'anni, il raìs Mubarak è stato attore di peso della politica regionale. Alleato degli Stati Uniti e della comunità internazionale intera, mediatore tra israeliani e palestinesi in virtù del Trattato di pace firmato da Sadat e Begin nel 1978, il Cairo dell'era di Mubarak è stato al centro di negoziati, incontri, conferenze internazionali.

Il leader della più popolosa nazione araba è stato ospite di capi di Stato e di governo di mezzo mondo, protagonista incontestato della politica regionale. Ed è nel Cairo di Mubarak che il presidente americano Barack Obama ha tenuto il suo discorso al mondo arabo nel giugno 2009. Il faraone, come era stato soprannominato dalla stampa internazionale, in meno di due anni è stato alla Casa Bianca sia per incontrare il presidente americano sia per rappresentare l'Egitto all'inizio di nuovi colloqui di pace tra israeliani e palestinesi, nel settembre 2010.

Con la cattura e l'uccisione del colonnello Muammar Gheddafi, nella sua roccaforte di Sirte, esce di scena un altro rumoroso protagonista della politica araba e africana, dopo 42 anni al potere. In pochi mesi, gli stravolgimenti regionali hanno cancellato un mondo, rimasto immobile e uguale per decenni. Le rivolte di piazza hanno anche coinciso con la fine della leadership terroristica e della fatale influenza sugli equilibri regionali del capo di Al Qaida, Osama Bin Laden, ucciso da un raid delle forze speciali americane in un angolo di Pakistan a maggio.

Come per Tunisia ed Egitto la caduta - in questo caso tragica - del raìs libico non significa una ritrovata stabilità interna. Gli avvenimenti di queste ore influenzeranno invece la partita in corso nella regione. La settimana dell'uccisione del colonnello Gheddafi coincide con le prime elezioni libere dell'era delle rivolte arabe. La fine di un altro raìs arabo avrà un effetto propulsivo sul dissenso siriano e sulla rivolta yemenita. E il voto tunisino di domenica darà il passo alla transizione politica in Egitto, alle urne il 28 novembre, e alla Libia, che ora deve costruire da zero tutte le istituzioni.

 

GHEDDAFI MORTO FOTO AL JAZEERAGHEDDAFI BEN ALI benalimubarak rivolta libica

Ultimi Dagoreport

francesco gaetano caltagirone alberto nagel francesco milleri

DAGOREPORT - GONG! ALLE ORE 10 DI LUNEDÌ 16 GIUGNO SI APRE L’ASSEMBLEA DI MEDIOBANCA; ALL’ORA DI PRANZO SAPREMO L’ESITO DELLA GUERRA DICHIARATA DAL GOVERNO MELONI PER ESPUGNARE IL POTERE ECONOMICO-FINANZIARIO DI MILANO - LO SCONTRO SI DECIDERÀ SUL FILO DI UNO ZERO VIRGOLA - I SUDORI FREDDI DI CALTARICCONE DI FINIRE CON IL CULO A TERRA NON TROVANDO PIÙ A SOSTENERLO LA SEDIA DI MILLERI SAREBBERO FINITI – L’ATTIVISMO GIORGETTI, DALL’ALTO DELL’11% CHE IL MEF POSSIEDE DI MPS – L’INDAGINE DELLA PROCURA DI MILANO SU UNA PRESUNTA CONVERGENZA DI INTERESSI TRA MILLERI E CALTAGIRONE, SOCI DI MEDIOBANCA, MPS E DI GENERALI - ALTRO GIALLO SUL PACCHETTO DI AZIONI MEDIOBANCA (2%?) CHE AVREBBE IN TASCA UNICREDIT: NEL CASO CHE SIA VERO, ORCEL FARÀ FELICE LA MILANO DI MEDIOBANCA O LA ROMA DI CALTA-MELONI? AH, SAPERLO….

iran israele attacco netanyahu trump khamenei

DAGOREPORT - STANOTTE L'IRAN ATTACCHERÀ ISRAELE: RISCHIO DI GUERRA TOTALE - È ATTESO UN VIOLENTISSIMO ATTACCO MISSILISTICO CON DRONI, RISPOSTA DI TEHERAN ALL'"OPERAZIONE LEONE NASCENTE" DI NETANYAHU, CHE QUESTA MATTINA HA COLPITO IL PRINCIPALE IMPIANTO DI ARRICCHIMENTO IRANIANO, UCCIDENDO L'INTERO COMANDO DELL'ESERCITO E DELLE GUARDIE RIVOLUZIONARIE. LA MAGGIOR PARTE DI LORO È STATA FATTA FUORI NELLE PROPRIE CASE GRAZIE AI DRONI DECOLLATI DALLE QUATTRO BASI SOTTO COPERTURA DEL MOSSAD A TEHERAN - ISRAELE HA DICHIARATO LO STATO DI EMERGENZA: GLI OSPEDALI SPOSTANO LE OPERAZIONI IN STRUTTURE SOTTERRANEE FORTIFICATE - TRUMP HA AVVERTITO OGGI L'IRAN DI ACCETTARE UN ACCORDO SUL NUCLEARE "PRIMA CHE NON RIMANGA NULLA", SUGGERENDO CHE I PROSSIMI ATTACCHI DI ISRAELE CONTRO IL PAESE POTREBBERO ESSERE "ANCORA PIÙ BRUTALI" - VIDEO

lauren sanchez jeff bezos venezia

FLASH! – I VENEZIANI HANNO LA DIGA DEL MOSE PURE NEL CERVELLO? IL MATRIMONIO DI JEFF BEZOS È UNA FESTICCIOLA PER 250 INVITATI DISTRIBUITI TRA QUATTRO HOTEL: GRITTI, AMAN, CIPRIANI E DANIELI - NIENTE CHE LA SERENISSIMA NON POSSA SERENAMENTE SOSTENERE, E NULLA A CHE VEDERE CON LE NOZZE MONSTRE DELL'INDIANO AMBANI, CHE BLOCCARONO MEZZA ITALIA SOLO PER IL PRE-TOUR MATRIMONIALE – DITE AI MANIFESTANTI IN CORTEO "VENEZIA NON E' IN VENDITA" CHE I 10 MILIONI DI EURO SPESI DA MR.AMAZON SI RIVERSERANNO A CASCATA SU RISTORATORI, COMMERCIANTI, ALBERGATORI, GONDOLIERI E PUSHER DELLA CITTÀ…

tajani urso vattani peronaci azzoni antonio adolfo mario marco alessandro

DAGOREPORT - MAI SUCCESSO CHE LA LISTA DEI NUOVI AMBASCIATORI, SCODELLATA DA TAJANI, VENISSE SOSPESA PER L’OPPOSIZIONE DI UN MINISTRO (URSO) IRATO PERCHÉ IL SUO CONSIGLIERE DIPLOMATICO È FINITO A NAIROBI ANZICHÉ A BUCAREST - DAL CDM SONO USCITI SOLO GLI AMBASCIATORI STRETTAMENTE URGENTI. ALLA NATO SBARCA AZZONI, MENTRE PERONACI VOLA A WASHINGTON. E’ LA PRIMA VOLTA CHE LA PIÙ IMPORTANTE SEDE DIPLOMATICA VIENE OCCUPATA DA UN MINISTRO PLENIPOTENZIARIO ANZICHÉ DA UN AMBASCIATORE DI GRADO (FRA DUE ANNI È GIA’ PRONTO IL FIDO CONSIGLIERE DIPLOMATICO DI LADY GIORGIA, FABRIZIO SAGGIO) – IL MALDESTRO MARIO VATTANI IN GIAPPONE, ANCHE SE ERA WASHINGTON LA SCELTA IDEALE DELLA FIAMMA MAGICA (MATTARELLA AVREBBE SBARRATO IL PASSO) – LA LISTA DI TUTTI GLI AMBASCIATORI SOSPESI….

giorgia meloni antonio tajani matteo salvini giancarlo giorgetti

DAGOREPORT - A SINISTRA SI LITIGA MA A DESTRA VOLANO GLI STRACCI! - LA MAGGIORANZA SI SPACCA SU ROTTAMAZIONE E TAGLIO ALL'IRPEF - GIORGIA MELONI DAVANTI AI COMMERCIALISTI PARLA DI SFORBICIATA AL CUNEO E LODA MAURIZIO LEO, "DIMENTICANDOSI" DI GIORGETTI. CHE ALZA I TACCHI E SE NE VA SENZA PARLARE - LA LEGA PRETENDE UN'ALTRA ROTTAMAZIONE, FORZA ITALIA E FDI CHIEDONO PRIMA DI TAGLIARE LE TASSE AL CETO MEDIO - PECCATO CHE I SOLDI PER ENTRAMBI I PROVVEDIMENTI, NON CI SIANO - LA LISTA DEGLI SCAZZI SI ALLUNGA: RISIKO BANCARIO, CITTADINANZA, POLITICA ESTERA, FISCO E TERZO MANDATO - VANNACCI METTE NEL MIRINO I GOVERNATORI LEGHISTI ZAIA E FEDRIGA CON UNA SPARATA, A TREVISO, CONTRO IL TERZO MANDATO: IL GENERALE, NOMINATO VICESEGRETARIO DA SALVINI, È LA MINA CHE PUÒ FAR SALTARE IN ARIA LA FRAGILE TREGUA NEL CARROCCIO (E DUNQUE NEL CENTRODESTRA)

ignazio la russa giorgia meloin zaia fedriga salvini fontana

DAGOREPORT - MEGLIO UN VENETO OGGI O UNA LOMBARDIA DOMANI? È IL DILEMMA SPECULARE DI GIORGIA MELONI E MATTEO SALVINI – L’APERTURA SUL TERZO MANDATO DEL NASUTO DONZELLI È UN RAMOSCELLO D’ULIVO LANCIATO VERSO IL CARROCCIO (ANCHE PER DESTABILIZZARE IL CAMPO LARGO IN CAMPANIA) - MA ALLA PROPOSTA S’È SUBITO OPPOSTO IL GENERALE VANNACCI – L’EX TRUCE DEL PAPEETE, CHE HA CAPITO DI NON POTER GOVERNARE TUTTO IL NORD CON L'8%, È DISPOSTO A CEDERE IL PIRELLONE A FRATELLI D'ITALIA (SI VOTA TRA TRE ANNI), MA LA SORA GIORGIA RIFLETTE: SOTTO LA MADUNINA COMANDA LA RUSSA, E SAREBBE DIFFICILE SCALZARE LA SUA PERVASIVA RETE DI RELAZIONI – I MALIGNI MORMORANO: VANNACCI AGISCE COME GUASTATORE PER CONTO DI SALVINI, PER SABOTARE IL TERZO MANDATO, O PARLA PER SE'?