POLTRONISSIMA! - LA PROVA DEL NOVE PER RIGOR MONTIS SARÀ IL TOTONOMINE: IN RAI VORREBBE UNO FUORI DAGLI SCHEMI COME ENRICO BONDI - L’ALTRA SEDIA ELETTRICA SARÀ QUELLA DELLA NASCENTE AUTHORITY DEI TRASPORTI (FAVORITO IL BOCCONIANO SENN) CHE DOVRÀ DESTREGGIARSI TRA LE FS DI MORETTI, LA NTV DEL MONTEPREZZEMOLO E DIEGUITO, LE AUTOSTRADE DEI BENETTON E DEI GAVIO E GLI AEROPORTI DELL’INGOMBRANTE PALENZONA…

Orazio Carabini per "l'Espresso"

Nessuna eccezione. «Vincenzo La Via l'ho convinto io: non ci sarà bisogno di riservargli un trattamento economico diverso da quello degli altri grandi commis». Mario Monti ha risposto così a chi gli chiedeva se non sarebbe stato meglio garantirsi qualche margine di flessibilità nella norma che fissa il tetto di 295 mila euro per la retribuzione degli alti papaveri dello Stato.

Niente: neanche il nuovo direttore generale del Tesoro, con un curriculum di tutto rispetto tra Tesoro, Intesa Sanpaolo e Banca mondiale, sarà un privilegiato. Quello dello stipendio ridotto sarà soltanto uno dei tanti problemi che Monti dovrà affrontare quando, nelle prossime settimane, metterà mano al dossier nomine: tanti posti importanti da assegnare, tanti appetiti da sfamare, con i partiti pronti a tendergli agguati, con il presidente Giorgio Napolitano attento a evitare occasioni di conflitto, con le lobby impegnate a difendere i propri spazi di potere.

Il piatto è ricco: imprese partecipate dallo Stato, enti pubblici, vertici ministeriali, servizi segreti, il capo della Protezione civile e il comandante generale della Guardia di Finanza. Dalla Rai, vero e proprio regno della lottizzazione, all'Autorità delle comunicazioni, presidiata manu militari dai berlusconiani che devono tutelare gli interessi televisivi del Capo e le regole sulla par condicio in politica.

Dalla nascente Autorità dei trasporti che avrà competenze delicatissime (ferrovie, autostrade, aeroporti) e probabilmente avrà sede a Bologna (o forse Torino) per "segnalare" la sua distanza dalla politica, alla Finmeccanica, la società controllata dal Tesoro travolta da una stagione di veleni e di corruzione.

Nel governo chi si occupa del dossier "nomine" ammette che non si avvicinano giorni facili. Già il clima è arroventato dalla riforma del mercato del lavoro («Finché non sarà incardinata in parlamento Monti non penserà ad altro», assicura chi lavora con lui). E mettersi a scegliere, tra tante altre, le persone che nei prossimi anni decideranno le sorti del sistema televisivo non sarà uno scherzo.

Con ulteriori complicazioni da risolvere: per esempio, come accontentare le opposizioni (Lega, Idv) che sarebbero schiacciate dalla "strana" maggioranza composta dai tre partiti maggiori, Pdl, Pd e Udc. Oppure come rispettare il vincolo di assicurare una presenza femminile nei collegi delle authority.

I più realisti, nel governo, sono convinti che la questione nomine non possa essere affrontata caso per caso. Insomma, che si debba arrivare a una soluzione complessiva concordata con i partiti che poi devono far passare la gran parte dei nomi in una votazione parlamentare. Un metodo abbastanza antico, che sa di coalizioni pentapartito anni 80, ma che sembra inevitabile.

E allora ecco che consiglio di amministrazione della Rai, au thority dei trasporti, delle comunicazioni e della privacy finirebbero in una specie di cesto unico da cui sarebbero estratti nomi in grado di soddisfare tutti i partiti. E magari anche le lobby interessate. «È una partita delicatissima - conferma il vicesegretario del Pd Enrico Letta - bisogna trovare un equilibrio tra caratura tecnica, competenze manageriali e capacità di cogliere il consenso in parlamento».

La madre di tutte le nomine è quella del direttore generale della Rai. Mentre il Pdl spinge per la conferma di Lorenza Lei, Monti vorrebbe un uomo fuori dagli schemi romani come Enrico Bondi. Gliene ha già parlato e il manager ex Parmalat non ha detto no. Anche se un'azienda modello circo equestre come quella di viale Mazzini per lui sarebbe una novità. Insieme a Bondi servirebbe un presidente di estrazione editoriale. Come il presidente della Fieg e dell'Ansa Giulio Anselmi, molto apprezzato anche al Quirinale.

Ma il Pdl, cioè Berlusconi, accetterebbe questo ticket? E il Pd, che pretende anche una riforma della governance dell'azienda per "partecipare" all'accordo, si accontenterebbe? Il ministro Corrado Passera al recente vertice dei segretari di maggioranza ha detto che non vale la pena di cercare grane sulla Rai.

Frenando un po' rispetto agli impegni presi dal capo del governo che probabilmente proporrà, insieme al vertice di viale Mazzini, anche il nome del nuovo presidente dell'Autorità delle comunicazioni, destinato a sostituire Corrado Calabrò.

Sarà una sorpresa perché i nomi finora circolati incapperebbero in un veto: Fabio Colasanti, ex dirigente dell'Unione europea, sarebbe bocciato dal Pdl perché considerato vicino a Romano Prodi («Berlusconi non approverebbe mai», sostiene una persona a lui vicina) mentre Vincenzo Zeno-Zencovich, uno stimato avvocato esperto delle problematiche del settore, a giudizio del Pd è troppo legato a Mediaset.

Entrambi potrebbero entrare nel collegio dell'authority (ridotto a quattro componenti rispetto agli otto attuali) insieme ad Antonio Martusciello (Pdl) e a uno dei tanti candidati del centrosinistra: dagli esperti Maurizio Decina e Stefano Quintarelli al giornalista Giovanni Valentini, dal giurista Andrea Manzella ai parlamentari Roberto Zaccaria e Giovanna Melandri.

Qualcuno potrebbe essere dirottato verso il consiglio di amministrazione della Rai (otto di cui uno scelto dal ministro dell'Economia e sette dal parlamento) o il collegio del Garante della privacy (quattro componenti che eleggono al loro interno il loro presidente). Dove il candidato naturale a sostituire Francesco Pizzetti è l'ex segretario generale dell'authority Giovanni Buttarelli, attualmente numero due dell'organismo europeo.

Ma anche nel suo caso la "vicinanza" al centrosinistra potrebbe rappresentare un ostacolo. Per il collegio si fanno i nomi di Luigi Manconi (ex parlamentare Ds) e di Antonio Pilati (ex Antitrust). L'Autorità dei trasporti deve ancora nascere ma la partita del vertice è già apertissima. Si tratta di scegliere chi dovrà arbitrare il duro match tra le Fs di Mauro Moretti e la Ntv di Luca Montezemolo e Diego Della Valle, regolare le autostrade dei Benetton e dei Gavio, governare il sistema degli aeroporti rappresentato da un peso massimo come Fabrizio Palenzona.

Per la presidenza il favorito è Lanfranco Senn, un professore della Bocconi che sembrava destinato a fare il ministro delle Infrastrutture prima che Passera lo pretendesse per sé. Ma circolano anche i nomi del presidente delle Ferrovie Lamberto Cardia, della giurista Luisa Torchia e di Andrea Camanzi, ex Telecom e attualmente all'Autorità degli appalti.

Se Monti è riuscito a scegliere in perfetta solitudine La Via per sostituire Vittorio Grilli come direttore generale del Tesoro, il ministro del Lavoro Elsa Fornero ha designato Massimo De Felice, un matematico esperto di problemi assicurativi che insegna alla Sapienza, alla presidenza dell'Inail, l'istituto per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro.

E si è attirata gli strali della Lega (il commissario straordinario in scadenza è del partito di Umberto Bossi) e della Cgil per un presunto conflitto di interessi di De Felice che è consulente di molte compagnie di assicurazione. Un settore in agitazione anche per l'imminente cambio al vertice dell'Isvap, l'authority che vigila sul mondo delle polizze. Giancarlo Giannini, dopo due mandati, in giugno lascerà l'incarico. Il ministro Passera vorrebbe approfittarne per sopprimere l'Isvap (insieme alla Covip, che vigila sui fondi pensione).

Ma nel governo e nella maggioranza sono in pochi a pensare che questo sia il momento giusto per affrontare una riforma così delicata. Dopo che, nel decreto "salva Italia", sono stati introdotti correttivi importanti: riduzione a tre dei componenti dei collegi, assegnazione all'Autorità delle Comunicazioni delle competenze sul settore postale e all'Autorità dell'Energia di quelle sull'acqua (con la contestuale soppressione di due "agenzie" poco indipendenti create dal governo Berlusconi), la costituzione dell'Autorità dei Trasporti.

Monti e Passera non dovranno occuparsi di Eni, Enel e Poste, i cui vertici sono stati rinnovati lo scorso anno. Come quello di Finmeccanica dove però le acque, nonostante l'uscita di Pierfrancesco Guarguaglini, sono ancora agitate. Giuseppe Orsi, amministratore delegato da un anno e anche presidente dopo l'uscita di Guarguaglini, ha fatto pulizia nel bilancio (il 2011 si è chiuso con 2,3 miliardi di perdita) e ha avviato importanti razionalizzazioni.

Nominato da Giulio Tremonti, da mesi è bersagliato da indiscrezioni su possibili indagini giudiziarie che lo riguardano. Lui si aspetta di essere affiancato da un presidente, prima o poi, ma nel governo e nei partiti non si esclude che ci possa essere anche un suo avvicendamento qualora dalle procure emergesse qualcosa che lo riguarda. Da rinnovare sono invece tutti i consigli di amministrazione del gruppo Gse, la società che gestisce gli incentivi nel settore energia, di cui fanno parte anche Gme e Acquirente Unico. Una quindicina di posti che fanno gola. Soprattutto a quel sottobosco della politica che è sempre a caccia di posti.

 

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