RE GIORGIO TRAVAGLIATO - CHE FAI, TI DIMETTI? ORA CHE LE LARGHE INTESE NON CI SONO PIÙ, LE RIFORME DEI “SAGGI” SONO EVAPORATE, LA NUOVA LEGGE ELETTORALE NON C’È E I PARTITI SONO ALLO SBARAGLIO, RE GIORGIO COSA INTENDE FARE?

Marco Travaglio per "Il Fatto Quotidiano"

Tutto cominciò il 22 aprile, con il discorso della Corona del ripresidente Napolitano. Fra una frustata e l'altra ai partiti che l'avevano rieletto, l'Imbalsamatore commissariò il Parlamento dettandogli le sue condizioni, cioè il programma politico del secondo mandato: governo di larghe intese in barba al risultato delle elezioni di due mesi prima, riforme sfuse dettate "dai due gruppi di lavoro da me istituiti il 30 marzo" (i 10 "saggi" della prima infornata), riforma della seconda parte della Costituzione a cura del nuovo governo (suggerita dai 35+7 "saggi" della seconda infornata e approvata entro 18 mesi, previa modifica entro fine anno dell'articolo 138 per fare più in fretta) e nuova legge elettorale.

E se la nuova maggioranza decisa da lui avesse sgarrato? "Se mi troverò di nuovo - minacciò - dinanzi a sordità come quelle contro cui ho cozzato nel passato, non esiterò a trarne le conseguenze dinanzi al paese". Cioè si sarebbe dimesso, lasciando i partiti in mutande, orfani del loro Lord Protettore. Applausi, standing ovation, ola.

Da quel dì sono trascorsi 226 giorni. Risultato: il governo di larghe intese non c'è più; le riforme dei saggi di prima infornata sfuggono ai radar; quella del 138 è stata votata solo tre volte e alla quarta Forza Italia s'è sfilata, così addio maggioranza dei due terzi, dunque referendum confermativo, ergo meglio ritirarla (non farebbe guadagnare, ma perdere tempo);

le bozze dei saggi di seconda infornata, senza il 138-turbo andranno alle calende greche; la legge elettorale non c'è, perché i partiti non sono d'accordo fra loro né al proprio interno; il presidente del Senato butta la palla alla Camera perché, tanto per cambiare, gli vien da ridere; la Consulta che potrebbe imporre qualcosa, opportunamente monitata, decide di rinviare. Come tutti, del resto.

Una catastrofe. O, per dirla con il Wall Street Journal, "la stabilità del cimitero". Con la differenza che i cadaveri freschi qualche fremito ce l'hanno: si chiama rigor mortis. Il governo Napo-Alfetta, nemmeno quello. Nessuna, dicesi nessuna delle condizioni poste da Napolitano per la sua ripermanenza sul Colle si è verificata: fallimento su tutta la linea.

Come del resto era ampiamente prevedibile fin da aprile: non si può raddrizzare il legno storto della politica italiana con un paio di moniti, cioè imporre dall'alto, dall'oggi al domani, dopo quella campagna elettorale, un'alleanza innaturale a partiti che non vanno d'accordo su nulla, se non sui soliti regali alle banche e all'Ilva, sulla conservazione delle poltrone e sul terrore di nuove elezioni.

Completa il quadro la miserevole qualità di quasi tutti i ministri: uno si fa organizzare il sequestro e la deportazione della moglie e della figlioletta di un dissidente kazako sotto il naso senz'accorgersi di niente; una si mette a disposizione della famiglia Ligresti, appena arrestata in blocco; un altro litiga col suo vice per gli appalti miliardari di Expo; e quello che dovrebbe essere il pezzo più pregiato della collezione, il supertecnico Saccomanni, tenta da sei mesi di abolire l'Imu, ma non ci riesce perché gliene scappa sempre un pezzo.

I nodi vengono al pettine tutti insieme. Quando i partiti andarono da lui in pellegrinaggio per implorarlo di ricandidarsi (così almeno ci han fatto credere), terrorizzati da quattro scrutini presidenziali a vuoto (situazione tutt'altro che eccezionale, anzi normale), Napolitano avrebbe potuto, anzi dovuto rispedirli a Montecitorio a votare. Per sostituirlo con una figura che somigliasse vagamente all'esito delle elezioni.

Dopodiché un governo meno brancaleonesco di questo sarebbe nato: magari "di scopo", con un accordo vero su pochi punti sino a fine anno, per mandarci a votare in primavera con (o anche senza) una nuova legge elettorale. Chi ha pensato di ribaltare, anzi di ignorare il voto degli italiani con le solite manovre di palazzo, e i soliti protocolli segreti salva-Berlusconi, ora ha quel che si merita. Il guaio è che il prezzo lo paga anche chi non lo merita.

 

Marco Travaglio Napolitano Schifani napolitano all opera di roma per la prima di riccardo muti napolitano renzi firenze napolitano stringe la mano a un detenuto napolitano berlusconiMERKEL NAPOLITANO

Ultimi Dagoreport

sergio mattarella quirinale

DAGOREPORT - DIRE CHE SERGIO MATTARELLA SIA IRRITATO, È UN EUFEMISMO. E QUESTA VOLTA NON È IMBUFALITO PER I ‘’COLPI DI FEZ’’ DEL GOVERNO MELONI. A FAR SOBBALZARE LA PRESSIONE ARTERIOSA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA SONO STATI I SUOI CONSIGLIERI QUIRINALIZI - QUANDO HA LETTO SUI GIORNALI IL SUO INTERVENTO A LATINA IN OCCASIONE DEL PRIMO MAGGIO, CON LA SEGUENTE FRASE: “TANTE FAMIGLIE NON REGGONO L'AUMENTO DEL COSTO DELLA VITA. SALARI INSUFFICIENTI SONO UNA GRANDE QUESTIONE PER L'ITALIA”, A SERGIONE È PARTITO L’EMBOLO, NON AVENDOLE MAI PRONUNCIATE – PER EVITARE L’ENNESIMO SCONTRO CON IL GOVERNO DUCIONI, MATTARELLA AVEVA SOSTITUITO AL VOLO ALCUNI PASSI. PECCATO CHE IL TESTO DELL’INTERVENTO DIFFUSO ALLA STAMPA NON FOSSE STATO CORRETTO DALLO STAFF DEL COLLE, COMPOSTO DA CONSIGLIERI TUTTI DI AREA DEM CHE NON RICORDANO PIU’ L’IRA DI MATTARELLA PER LA LINEA POLITICA DI ELLY SCHLEIN… - VIDEO

andrea orcel gaetano caltagirone carlo messina francesco milleri philippe 
donnet nagel generali

DAGOREPORT - BUM! ECCO LA RISPOSTA DI CALTAGIRONE ALLA MOSSA DI NAGEL CHE GLI HA DISINNESCATO LA CONQUISTA DI GENERALI - L’EX PALAZZINARO STA STUDIANDO UNA CONTROMOSSA LEGALE APPELLANDOSI AL CONFLITTO DI INTERESSI: È LEGITTIMO CHE SIA IL CDA DI GENERALI, APPENA RINNOVATO CON DIECI CONSIGLIERI (SU TREDICI) IN QUOTA MEDIOBANCA, A DECIDERE SULLA CESSIONE, PROPRIO A PIAZZETTA CUCCIA, DI BANCA GENERALI? - LA PROVA CHE IL SANGUE DI CALTARICCONE SI SIA TRASFORMATO IN BILE È NELL’EDITORIALE SUL “GIORNALE” DEL SUO EX DIPENDENTE AL “MESSAGGERO”, OSVALDO DE PAOLINI – ECCO PERCHÉ ORCEL HA VOTATO A FAVORE DI CALTARICCONE: DONNET L’HA INFINOCCHIATO SU BANCA GENERALI. QUANDO I FONDI AZIONISTI DI GENERALI SI SONO SCHIERATI A FAVORE DEL FRANCESE (DETESTANDO IL DECRETO CAPITALI DI CUI CALTA È STATO GRANDE ISPIRATORE CON FAZZOLARI), NON HA AVUTO PIU' BISOGNO DEL CEO DI UNICREDIT – LA BRUCIANTE SCONFITTA DI ASSOGESTIONI: E' SCESO IL GELO TRA I GRANDI FONDI DI INVESTIMENTO E INTESA SANPAOLO? (MAGARI NON SI SENTONO PIÙ TUTELATI DALLA “BANCA DI SISTEMA” CHE NON SI SCHIERERÀ MAI CONTRO IL GOVERNO MELONI)

giorgia meloni intervista corriere della sera

DAGOREPORT - GRAN PARTE DEL GIORNALISMO ITALICO SI PUÒ RIASSUMERE BENE CON L’IMMORTALE FRASE DELL’IMMAGINIFICO GIGI MARZULLO: “SI FACCIA UNA DOMANDA E SI DIA UNA RISPOSTA” -L’INTERVISTA SUL “CORRIERE DELLA SERA” DI OGGI A GIORGIA MELONI, FIRMATA DA PAOLA DI CARO, ENTRA IMPERIOSAMENTE NELLA TOP PARADE DELLE PIU' IMMAGINIFICHE MARZULLATE - PICCATISSIMA DI ESSERE STATA IGNORATA DAI MEDIA ALL’INDOMANI DELLE ESEQUIE PAPALINE, L’EGO ESPANSO DELL’UNDERDOG DELLA GARBATELLA, DIPLOMATA ALL’ISTITUTO PROFESSIONALE AMERIGO VESPUCCI, È ESPLOSO E HA RICHIESTO AL PRIMO QUOTIDIANO ITALIANO DUE PAGINE DI ‘’RIPARAZIONE’’ DOVE SE LA SUONA E SE LA CANTA - IL SUO EGO ESPANSO NON HA PIÙ PARETI QUANDO SI AUTOINCORONA “MEDIATRICE” TRA TRUMP E L'EUROPA: “QUESTO SÌ ME LO CONCEDO: QUALCHE MERITO PENSO DI POTER DIRE CHE LO AVRÒ AVUTO COMUNQUE...” (CIAO CORE!)

alessandro giuli bruno vespa andrea carandini

DAGOREPORT – CHI MEGLIO DI ANDREA CARANDINI E BRUNO VESPA, GLI INOSSIDABILI DELL’ARCHEOLOGIA E DEL GIORNALISMO, UNA ARCHEOLOGIA LORO STESSI, POTEVANO PRESENTARE UN LIBRO SULL’ANTICO SCRITTO DAL MINISTRO GIULI? – “BRU-NEO” PORTA CON SÉ L’IDEA DI AMOVIBILITÀ DELL’ANTICO MENTRE CARANDINI L’ANTICO L’HA DAVVERO STUDIATO E CERCA ANCORA DI METTERLO A FRUTTO – CON LA SUA PROSTRAZIONE “BACIAPANTOFOLA”, VESPA NELLA PUNTATA DI IERI DI “5 MINUTI” HA INANELLATO DOMANDE FICCANTI COME: “E’ DIFFICILE PER UN UOMO DI DESTRA FARE IL MINISTRO DELLA CULTURA? GIOCA FUORI CASA?”. SIC TRANSIT GLORIA MUNDI – VIDEO

banca generali lovaglio francesco gaetano caltagirone philippe donnet alberto nagel milleri

DAGOREPORT - DA QUESTA MATTINA CALTAGIRONE HA I SUDORI FREDDI: SE L’OPERAZIONE DI ALBERTO NAGEL ANDRÀ IN PORTO (SBARAZZARSI DEL CONCUPITO “TESORETTO” DI MEDIOBANCA ACQUISENDO BANCA GENERALI DAL LEONE DI TRIESTE), L’82ENNE IMPRENDITORE ROMANO AVRÀ BUTTATO UN PACCO DI MILIARDI PER RESTARE SEMPRE FUORI DAL “FORZIERE D’ITALIA’’ - UN FALLIMENTO CHE SAREBBE PIÙ CLAMOROSO DEI PRECEDENTI PERCHÉ ESPLICITAMENTE SOSTENUTO DAL GOVERNO MELONI – A DONNET NON RESTAVA ALTRA VIA DI SALVEZZA: DARE UNA MANO A NAGEL (IL CEO DI GENERALI SBARRÒ I TENTATIVI DI MEDIOBANCA DI ACQUISIRE LA BANCA CONTROLLATA DALLA COMPAGNIA ASSICURATIVA) - PER SVUOTARE MEDIOBANCA SOTTO OPS DI MPS DEL "TESORETTO" DI GENERALI, VA BYPASSATA LA ‘’PASSIVITY RULE’’ CONVOCANDO  UN’ASSEMBLEA STRAORDINARIA CHE RICHIEDE UNA MAGGIORANZA DEL 51% DEI PRESENTI....