TUTTO GIA’ VISTO E SCRITTO: PER ASSAD E’ PRONTO LA “SOLUZIONE GHEDDAFI” - LA CIA DESTABILIZZA I REGIMI ARABI FORAGGIANDO I COSIDDETTI “RIBELLI” E CONSEGNA INTERE NAZIONI “LIBERATE” NELLE MANI DI CLAN “SCISSIONISTI” IMBOTTITI DI BOIA, TERRORISTI ISLAMICI ED EX UFFICIALI DELL’ESERCITO PRONTI ALLA GIRAVOLTA IN CAMBIO DEL SALVACONDOTTO E, PERCHE’ NO, DI UN RUOLO DI GOVERNO - AL FIANCO DI ASSAD RESTANO HEZBOLLAH E L’IRAN…

Domenico Quirico per "la Stampa"

È lo scenario libico: il tiranno ogni giorno si guarda attorno e scopre di essere sempre più solo. Il potere, ovvero le sue possibilità di controllare uomini e cose, di dare ordini, si raggrinzisce, lo costringe a complicati contorsionismi per non cadere nel vuoto che è già proprietà degli Altri, dei nemici, dei «terroristi».

Nel palazzo di Damasco, dove si intendono esplosioni e spari, si fanno discorsi da notte di Amleto vicino alla tomba di Yorick. Bashar grida, bestemmia, inveisce, minaccia, Come Gheddafi nella caserma di Tripoli. Ma le stanze si fanno ogni giorno più vuote: non rispondono gli ambasciatori che, pure, per anni hanno tessuto gli epicedi del regime e officiato i suoi sudici maneggi diplomatici e commerciali; si proclamano democratici seppure della venticinquesima ora; i militari, prima i quadri medi poi i generali, fanno la questua per avere i gradi, ma nell'Armata siriana libera, invocando «il dovere di non sparare sul popolo». Che fino al giorno prima hanno allegramente massacrato.

Ora è la volta dei ministri, baciavano la bandiera del Ba'ath, li ha folgorati, improvvisa, la necessità della terza via, del negoziato e del dialogo, denunciano «il genocidio» come se non fosse iniziato ventimila, sì ventimila esseri umani fa. Una umanità, questa dei convertiti, dei defezionanti, greve, disfatta, accigliata, che cerca un altro domani confortevole, con il rancore del potere e dell' autorità.

Dopo più di 500 giorni di rivolta e di guerra, il Giano di Damasco dalle mani insanguinate ripercorre, orma su orma, il cammino del Colonnello. Resterà (ma quanto? Quanti morti saranno ancora necessari?) con il suo clan alawita che gli deve una solidarietà di sangue, con gli shabiha, le brigate nere macchiatesi di tali delitti che per loro non c'è possibile remissione. All'ultimo forse anche costoro gli mancheranno, sarà solo con i suoi alleati Hezbollah libanesi che hanno messo a sua disposizione, sciaguratamente, un'arte bellica che ha tenuto testa a Israele; e forse i pasdaran degli ayatollah iraniani. Sarà travestito con le loro divise che tenterà la fuga finale.

Ma nascosto dietro lo scudo del veto e delle armi russe e cinesi e del denaro iraniano ha ancora un esercito da lanciare contro il suo popolo: è quanto sta facendo ad Aleppo, in queste ore. Attenzione a immaginare scorci distrattamente azzardati: il regime può ancora uccidere massacrare nuocere. Ci vorrà tempo.

Sono già più di ventimila i quadri che sono fuggiti, funzionari civili, quadri medi e superiori, militari. L'apparato dello Stato cigola nei suoi meccanismi, rischia di incepparsi perché troppe rotelle sono fuori uso o sono state strappate via. La Siria, come tutti i regimi arabi che le rivoluzioni stanno tentando di smontare, è costruita attorno all'apparato della Sicurezza: spionaggio interno, repressione, terrore, sono le uniche voci dell'attività statale cui si presta attenzione. Ma ora persino la repressione si fa difficile. Ad Aleppo mancano i sergenti, gli ufficiali sperimentati per guidare i rinforzi all'assalto dei quartieri in mano ai ribelli: hanno disertato.

Le defezioni come quelle di ieri ormai hanno raggiunto i livelli più elevati, facilitate, finanziate dalla Cia, dagli altri servizi occidentali e dai Paesi arabi, Arabia Saudita e Qatar, con i forzieri sempre aperti. Come in Libia, questi uomini hanno spesso le mani sudicie di 40 anni di regime, le tasche gonfie di denaro guadagnato con i borseggi e le ruberie che Bashar aveva ribattezzato «liberalizzazione economica».

Ma sono per il presidente il segnale di una china tutta infocata dal sempre più veloce ingranaggio dell'angoscia. Perché nelle dittature la linea di non ritorno si frange quando i satrapi, i gerarchi, i pescecani che hanno gavazzato per decenni nel Potere giudicano il proprio interesse improvvisamente separato da quello del Capo, del Padrone. Allora l'esercito può essere ancora possente, i boia ancora disponibili, gli avversari come noi Occidente tiepidi e vili, ma nulla potrà essere fatto per rimediare.

Ogni giorno, d'ora in avanti, Assad il giovane, che credevamo un fatuo Baby doc o un complessato Somoza junior e invece si è dimostrato di sangue fanatico e irato, convinto di potere aggiustare i conti della Storia col filo della spada, constaterà l'inizio della fine. In fondo Bashar è anche lui un prigioniero del sistema, anzi ne è l'Arciprigioniero,fra lui e il sistema esiste una identità assoluta cui non può sfuggire senza smarrirsi.

L'intellettuale egiziano Saad Eddin Ibrahim ha inventato un neologismo per descrivere alcuni regimi arabi: «Jumlakia». L'inizio della parola repubblica, la fine della parola monarchia. L'inizio di un mandato. La fine di un regno. Il re-presidente è nudo. Si è svelato nel massacro. Il suo Paese lo ha abbandonato.

 

 

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