1- IL RINVIO A GIUDIZIO DI PAOLETTO PER FURTO è IL PROLOGO DELLA INCHIESTA “VERA” 2- IL COMANDANTE DELLA GENDARMERIA GIANI HA SPORTO “DENUNCIA CONTRO IGNOTI” PER “DELITTI CONTRO LO STATO E I POTERI DELLO STESSO, CALUNNIA E DIFFAMAZIONE, VILIPENDIO DELLE ISTITUZIONI, INVIOLABILITÀ DEI SEGRETI”. E “CONCORSO DI PIÙ PERSONE IN REATO” 2- LA REQUISITORIA PARLA DI PERSONAGGI COME “W.” O “X.” CHE AVREBBERO PREPARATO DOCUMENTI PER GABRIELE, CHE VOLEVA INCONTRARE “W.” PER CONOSCERE “Y.” 3- IL VATICANO NON HA AFFATTO RINUNCIATO A INVIARE ROGATORIE ALL'ITALIA. UN LAVORO DELICATO E DIFFICILE, COPERTO DAL PIÙ IMPENETRABILE DEI SEGRETI ISTRUTTORI

Gian Guido Vecchi per il Corriere della Sera

Dire che le indagini su Vatileaks non sono ancora finite non rende l'idea. «Siamo solo all'inizio», spiegano Oltretevere. Tanto che già si prospetta un secondo e più corposo processo che potrebbe coinvolgere anche altre persone. Di certo ci sono altri indiziati. E per reati ben più gravi del «furto aggravato» per il quale l'ex maggiordomo del Papa, Paolo Gabriele, sarà processato dopo il 20 settembre - il collegio di tre giudici si riunirà fissando l'inizio di lì a poco - assieme al tecnico informatico Claudio Sciarpelletti, accusato di «favoreggiamento» e il cui ruolo, peraltro, viene considerato «marginale».

Gli indiziati sotto osservazione non sono (ancora) indagati formalmente, beninteso: si tratterà di vedere se verranno raccolti elementi sufficienti ad andare in giudizio. Senza contare che il Vaticano non ha affatto rinunciato a inviare rogatorie all'Italia.
Un lavoro delicato e difficile, coperto dal più impenetrabile dei segreti istruttori.

Per capire cosa accadrà nei prossimi mesi bisogna partire dalla requisitoria firmata il 4 agosto dal Promotore di giustizia vaticano, Nicola Picardi: che spiega come le indagini risalgano al rapporto preparato il 3 febbraio 2012 dal comandante della gendarmeria Domenico Giani, una «denuncia contro ignoti» per «delitti contro lo Stato e i poteri dello stesso, calunnia e diffamazione».

Qui sta tuttora il cuore dell'indagine. Si è data la «precedenza» al reato di «furto aggravato» perché già c'erano tutti gli elementi per andare subito a giudizio: due arresti, l'«enorme quantità di documenti» fotocopiati trovata in casa dell'ex maggiordomo più i 37 scovati nell'appartamento che «Paoletto» usava a Castelgandolfo, la confessione, le testimonianze.

Anche per questo, spiegano in Vaticano, finora non sono state chieste rogatorie: la via diplomatica, il passaggio dalla nunziatura ai ministeri degli Esteri e poi della Giustizia, la Corte d'appello, la nomina di un giudice e ritorno, «non si sarebbe potuto fare il rinvio a giudizio, si sarebbe perso tempo». Se per il furto non era necessario, «nel corso dell'istruttoria potrebbe diventarlo e allora le rogatorie si faranno, non ci sono problemi».

Perché con il rinvio a giudizio del 13 agosto, il giudice istruttore Piero Antonio Bonnet ha dichiarato «la chiusura parziale» di un'istruttoria che «resta aperta per i restanti fatti costituenti reato nei confronti dei predetti imputati e/o di altri». E i reati che restano sono i più gravi: delitti contro lo Stato e i poteri dello Stato, vilipendio delle istituzioni, calunnia, diffamazione, inviolabilità dei segreti.

E «concorso di più persone in reato». In Vaticano si spiega che «è probabile si debba andare avanti ancora mesi», ci sono vari indiziati e «profili a valutare» e «altre testimonianze» da raccogliere oltre a quelle già citate finora, si compulsano pc e email e tabulati telefonici, si cercano prove e riscontri: se alla fine dell'istruttoria arriveranno «si dovrà fare un altro processo».

Questo è l'obiettivo. Del resto, la stessa figura e ruolo di Gabriele, l'appassionato di intelligence e complotti che si sentiva «infiltrato dello Spirito Santo», non sono chiariti. Un «esecutore» sul lavoro descritto dalle perizie come «manipolabile» e «in grado di commettere anche azioni eterodirette», che ambiva ad essere in confidenza «anche con prelati d'alto rango» e parlava troppo con buona pace dei «doveri di riservatezza». A cominciare dal «padre spirituale B.» al quale consegna copia dei documenti e che dice di averli bruciati «dopo qualche giorno».

Paoletto ha sostenuto di aver fatto tutto da sé contattando il giornalista Gianluigi Nuzzi, ma nel libro Sua Santità vengono pubblicate carte con notizie riservate già filtrate mesi prima, altre lettere sono uscite sui giornali. Nella requisitoria si parla di personaggi come «W.» o «X.» che avrebbero preparato buste di documenti per Gabriele, che voleva incontrare «W.» per conoscere «Y.» e così via. Non è insomma tempo di bilanci, il difficile arriva adesso. Il Papa vuole sia fatta chiarezza e ha invitato la magistratura vaticana a «proseguire il lavoro con solerzia».

Ha ricevuto il rapporto preparato dalla commissione cardinalizia guidata da Julián Herranz dopo tre mesi e una trentina di «audizioni» a prelati e laici per sondare complicità e connivenze. Non tutte le responsabilità, del resto, sono perseguibili penalmente. E alla fine sarà Benedetto XVI a decidere che cosa è opportuno fare.

 

 

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