VENTENNIO RENZIANO, GIORNO DUE - CON IL 40,8% IN TASCA, RENZI RIPARTE DALLE RIFORME: SENATO SUBITO, ITALICUM A LUGLIO. SE LO OSTACOLERANNO, SI VA ALLE ELEZIONI. ANCHE CON IL PROPORZIONALE, OLÈ!

Goffredo De Marchis per "La Repubblica"

Adesso ho il coltello dalla parte del manico. È finito il tempo dei ricatti. Nessuno deve fermare la legge elettorale e l'abolizione del Senato ». Matteo Renzi che quando vince segue una regola: «Metto subito i piedi per terra e mi occupo delle cose da fare». Quando stravince, uguale. «Devo capitalizzare il successo. Nel partito, in Europa e sulle riforme». Sono le prime tre mosse del dopo elezioni.

I tre dossier aperti sulla sua scrivania di Palazzo Chigi. È il giorno del rilancio, quindi, partendo dalle proposte in cantiere. Ne ha parlato già nella notte della festa al Nazareno. Circondato dalla nuova generazione, di correnti diverse, ma pronta a rompere il muro della conservazione. «Guardavamo i risultati e Matteo pensava alle strategie », è la testimonianza di uno di loro.

Si fa come dice lui o comunque sapendo che l'ultima parola tocca al premier. Il suo potere contrattuale è enorme. I veti di Forza Italia, i dubbi dentro il Partito democratico, le pressioni di Alfano hanno perso improvvisamente la loro forza. E se gli ostacoli rimangono, a Renzi basterà minacciare il voto anticipato. Con i dati delle Europee convengono solo al Pd.

Il premier vede davvero l'orizzonte del 2018 ora che la legittimazione popolare è arrivata. Però, non molla di un millimetro, anche dopo la breve festa di domenica notte. Non si fida e non sottovaluta neppure il consenso declinante di Beppe Grillo. Nel day after gli scenari vengono presi tutti in considerazione. Compreso quello di un ritorno alle urne con il Consultellum, la legge proporzionale uscita dalla sentenza della Consulta. Come se fosse nel novero delle cose possibili a breve.

Le proiezioni delle percentuali europee sul Senato non danno garanzie, anzi. Il Pd avrebbe 140 seggi, l'Ncd solo 4. Sono i calcoli affidati a Maria Elena Boschi. Ne mancherebbero altri 17 per avere la maggioranza assoluta in quell'aula. «Alle politiche, dov'è in gioco la governabilità, il voto a nostro favore potrebbe addirittura crescere», è il ragionamento che si fa a Palazzo Chigi. Ma la certezza non c'è mentre i numeri non mentono.

Allora, meglio andare spediti con le riforme. Cominciando dal Senato che Renzi pensa di portare a casa in poche settimane. «Le riforme istituzionali, i passi che abbiamo fatto sono una delle chiavi della vittoria. Non possiamo fermarci». Come quando diventò sindaco di Firenze. Aveva promesso la chiusura del centro storico e appena eletto lo chiuse davvero. Via le macchine tra le protesta dei commercianti.

In riva all'Arno se ne parlava da almeno 20 anni. Verranno così spazzate via le ultime resistenze di Vannino Chiti e dei seguaci di Augusto Minzolini. Berlusconi punta a rimanere attaccato al treno delle riforme. E una soluzione per superare il bicameralismo perfetto, non eleggere i senatori e non dargli l'indennità, è a portata di mano. È il modello francese: affidare a una platea larga di amministratori locali (sindaci e consiglieri comunali, governatori e consiglieri regionali) un'elezione a livello regionale dei loro rappresentati a Palazzo Madama. Sarebbero eletti di secondo grado senza stipendio, ma con una legittimazione maggiore.

L'Italicum è la seconda tappa. Non arriverà in discussione al Senato prima di luglio. Sull'onda dell'euforia Renzi domenica notte si è lasciato scappare: «Vogliono la soglia del ballottaggio al 40 per cento? Benissimo, noi ci siamo già». La partita ha tempi più lunghi, anche se uno strumento di voto che cancelli il proporzionale serve ancora al Pd e al suo segretario.

L'altro dossier è stabilizzare il partito. Non salterà il capogruppo della Camera Roberto Speranza. Con Renzi l'intesa è di ferro. Grazie a Speranza è stata compiuta l'operazione contro il governo Letta. Ma ai renziani va dato un posto. Matteo Richetti sostituirà la lettiana Paola De Micheli alla vicepresidenza vicaria. Poi toccherà al ruolo di presidente del Pd. Se prima del 25 maggio lo stesso Renzi aveva pensato a un "nome storico" per garantirsi la pace interna, adesso ha cambiato schema. Non c'è spazio per nomi del tipo Pierluigi Bersani o Piero Fassino.

Presidente sarà un volto nuovo. Una donna, con le chance maggiori per Roberta Pinotti, ministro della Difesa, nel cuore del premier dopo la prova di lealtà e buon senso offerta sui tagli per il bonus di 80 euro. Nella segreteria entreranno dirigenti di Area riformista e dei giovani turchi. La vecchia minoranza non ha più senso, il partito lo governerà insieme con il segretario.

Il banco di prova europeo è ancora più immediato. Stasera alla cena Renzi si presenterà come il leader più forte del fronte socialista. Un pari grado di Angela Merkel. «Passeremo dalla fase dell'accoglienza a quella di un riconoscimento pieno». Il rebus della presidenza della commissione, che sulla base dei seggi a Strasburgo si allontana sia per Schulz sia per Juncker, misurerà le capacità di trattativa del premier, in vista di una discussione sui Trattati, sull'allentamento dei vincoli di stabilità, sulla linea dell'austerity da abbandonare.

 

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