IL VERO GRILLINO È AL VATICANO: LO TSUNAMI DI PAPA FRANCESCO

Emiliano Fittipaldi e Paolo Rodari per "l'Espresso"

«Papa Francesco ci sta facendo diventare matti, sta stravolgendo tutto, non ce la facciamo più». Il sacerdote non scherza, è davvero angosciato. Perché Jorge Mario Bergoglio, eletto poco più di un mese fa, è entrato in curia come uno tsunami, sconvolgendo protocolli secolari, antiche abitudini e ammuffiti galatei della diplomazia. «Fa come meglio crede, non rispetta la tradizione, è un populista!», va ripetendo da settimane un altro anziano monsignore che rimpiange il tran tran dei tempi di Benedetto XVI e teme che il nuovo corso spazzi via, oltre la routine, i vecchi potentati di cui la curia è ancora composta.

Bergoglio sa che il suo compito è difficile, ma lo sta affrontando come nessuno si aspettava. È il primo papa non europeo della storia, è argentino, e ha strategie e ritmi sudamericani. Assai diversi da quelli praticati nelle liturgie romane. Zero burocrazia, zero intermediazioni, il vescovo di Roma che non si fa mai chiamare papa ha ribaltato le vecchie consuetudini e sta facendo letteralmente impazzire i tradizionalisti della corte pontificia. In primis, Francesco ha chiarito a tutti che non vuole rimanere isolato.

Sia perché non ama la solitudine sia perché - dopo lo scandalo VatiLeaks causato dalle guerre di potere dei cardinali - preferisce restare a stretto contatto con la curia, marcandola a uomo. Ecco spiegata la decisione di snobbare il lussuoso palazzo apostolico preferendogli Santa Marta, una sorta di albergo vaticano dove risiedono i preti e i vescovi che lavorano alla Santa Sede, in particolare alla segreteria di Stato, e i viaggiatori saltuari come nunzi e cardinali stranieri.

«Quando ha annunciato la scelta di restare tra noi, qualche prete ha avuto un mancamento», racconta il sacerdote. Già: con il papa che dorme nella stanza 201, al secondo piano della Domus, la vita degli ospiti è profondamente cambiata. Il Santo Padre si sveglia alle 4 di mattina, telefona con il suo cellulare svegliando monsignori in mezzo mondo («Pronto, sono papa Francisco», s'annuncia senza passare per centralini e segreterie, in molti hanno creduto si trattasse di uno scherzo), poi va a fare colazione alle 6 nel refettorio comune.

In mensa non vuole che gli venga riservato un posto, preferisce sedersi dove capita. «Ora siamo costretti a vestirci sempre come si deve, sempre eleganti, perché c'è il rischio di incontrare Sua Santità in ogni momento», spiega uno dei residenti ricordando i bei tempi in cui, smesso l'abito talare, girava in albergo con indosso comodi pantaloncini sportivi. Anche i controlli sono molto più rigorosi di prima: a nessuno viene più in mente di portare ospiti o oggetti che potrebbero creare imbarazzo.

Alle 7 Bergoglio serve messa, tutte le mattine che Dio comanda. «Prima la cappella qui era praticamente deserta, non ci officiava nessuno. Ora si fatica a trovare un posto in piedi, i poveretti sono costretti a svegliarsi alle sei», spiega il sacerdote, testimone oculare della rivoluzione. Il papa entra in sagrestia con largo anticipo, verso le sei e mezza, per vestirsi di tutto punto aiutato da qualche prete, vescovo o cardinale che poi concelebra con lui.

Gli abiti, anche quelli, sono semplici: alcuni amici argentini volevano regalargli un paio di scarpe nere nuove ma lui non le ha volute preferendo tenere le sue, mentre in molti hanno notato che sotto la talare bianca Bergoglio continua ad usare pantaloni neri. «La sartoria Gammarelli può confezionarne un paio bianchi in pochi giorni», gli hanno spiegato. «Vanno benissimo questi: finché non si consumano non li cambio», ha risposto.
Ai residenti di Santa Marta - che hanno abdicato ai crocifissi in oro copiando quello di ferro indossato dal loro diretto superiore - chiede informazioni e chiacchiera del più e del meno.

Bergoglio ascolta tutti, ma alla fine decide da solo, di testa sua. Non esistono ancora "consigliori" o "fedelissimi": la scelta di nominare i saggi per riformare la curia l'ha decisa in totale autonomia. Tra le persone a lui più vicine c'è di sicuro il segretario Alfred Xuereb, maltese, che con Joseph Ratzinger svolgeva il ruolo di "secondo" di Georg. Dopo la promozione di don Georg a prefetto della Casa pontificia e la rinuncia di Ratzinger (che ha voluto l'amico Gaenswein al suo fianco a Castel Gandolfo), Bergoglio ha deciso di tenere don Alfred come aiutante.

«Non gli fa toccare palla. Francesco in Argentina era abituato a fare tutto da solo (usava la metropolitana, nessun segretario personale, aveva solo una governante a cui non faceva nemmeno cucinare), e a Roma non sembra voler cambiare abitudini». Così al segretario permette di fare al massimo qualche telefonata, fa vagliare la corrispondenza («Non passarmi tutte le lettere, quasi tutte sono di persone che non conosco nemmeno», gli ripete) e compilare l'agenda di lavoro del giorno successivo.

Francesco è informale, alla mano, odia i rituali ampollosi. Le sue giornate non sono ingolfate da molti impegni: uno, due al massimo, perché il troppo stroppia. Con grave sdegno dei formalisti ha incontrato la presidente argentina Cristina Kirchner proprio a Santa Marta, nelle stanze al pian terreno, invece che negli spazi del palazzo apostolico preposti agli incontri istituzionali.

Per avere un colloquio con lui, d'altronde, vescovi e cardinali spesso chiedono un posto in prima fila durante le udienze generali del mercoledì: così quando Francesco (che per quest'occasione ha eliminato il rituale del baciamano) passa davanti alla folla per salutare loro domandano un appuntamento al volo. La sera, quando torna a Santa Marta, Francesco li fa puntualmente convocare.

Se il clero stenta ad abituarsi allo stile di Bergoglio, i modi affabili del papa che stringe mani e dispensa abbracci alla gente sono diventati l'incubo della gendarmeria e delle guardie del corpo. Francesco spesso e volentieri improvvisa l'agenda della giornata (riempie i "buchi" senza dare alcun preavviso, facendo impazzire chi deve organizzare i suoi spostamenti) e non segue i rigidi protocolli imposti dalla sicurezza.

«A marzo, a pochi giorni dalla sua elezione, ha avvertito che aveva dato appuntamento, dietro l'aula Paolo VI, a un gruppo di argentini amici suoi. Una delegazione improvvisata di decine di persone di cui nessuno sapeva nulla: li aveva sentiti lui direttamente al telefono, facendogli saltare tutto il protocollo per le udienze private», racconta un alto prelato.

Davanti a vescovi basiti, Bergoglio prima li ha fatti entrare, poi li ha salutati abbracciandoli uno ad uno e infine ha ordinato - visto che erano le tre di pomeriggio e gli ospiti sembravano affamati - di allestire un catering con sandwich e panini. In Vaticano non s'era mai vista una cosa così prima d'ora. Così come non s'era mai visto un papa - come ha raccontato "Vanity Fair" - che prepara un panino alla marmellata alla guardia svizzera provata dal turno di notte.

Su un punto, però, è stato costretto a fare marcia indietro: Bergoglio aveva fatto balenare l'idea di trasferirsi nel Palazzo pontificio del Laterano, accanto alla Basilica di San Giovanni. «È bellissimo, potrei vivere qui», ha detto, ricordando che Giovanni XXIII aveva fatto dello stabile la sede del vicariato. Qualcuno, però, gli ha spiegato che sarebbe stato logisticamente difficile organizzare ogni giorno i suoi viaggi in Vaticano. Non solo: se avesse paralizzato il traffico di Roma non avrebbe più avuto contro solo i tradizionalisti della curia, ma tutti gli automobilisti della Capitale.

 

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