1. LA VITTORIA DI PIRRO: LA SCOZIA RESTA NELL’UNION JACK MA NULLA SARÀ COME PRIMA 2. DA OGGI IL REGNO UNITO È DIVERSO. L’ESITO DEL REFERENDUM AVRÀ IMPORTANTI RICADUTE COSTITUZIONALI. E PESERÀ SUL FUTURO SIA DEI CONSERVATORI SIA DEI LABURISTI 3. SCONGIURATA LA SECESSIONE, SARÀ INEVITABILE ALLARGARE GLI SPAZI DI SOVRANITÀ DELLA SCOZIA, DALLE TASSE AL WELFARE. E CIÒ SIGNIFICA VIAGGIARE VERSO UN ASSETTO FEDERALE. UNA STORIA, UNA BELLA STORIA, È ALLE SPALLE. E UN’ALTRA STA PER COMINCIARE

1 - SCOZIA, IL REFERENDUM DICE NO ALL'INDIPENDENZA. E LA STERLINA VOLA

Da www.ansa.it

 

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La Scozia ha detto no all'indipendenza e la sterlina vola. Nella notte più lunga sfuma la battaglia per staccarsi da Londra e il Regno resta Unito, cos' come sancito oltre 300 anni fa. Poco ha potuto la passione, la campagna fino all'ultimo voto combattuta dagli indipendentisti. Si allontana quella ''occasione della vita'' sulla quale il premier di Edimburgo, Alex Salmond, capofila del fronte del Sì, aveva puntato tutto. 

''Accettiamo la vittoria del no'', dice stamattina Salmond parlando a Edimburgo, quando ormai non ci sono più dubbi: ''Riconosciamo la scelta democratica degli scozzesi''. Ringrazia però la Scozia per quel milione e seicentomila voti che ha fatto sopravvivere il sogno. E adesso, incalza, ''si onorino lo promesse. Lo chiedano tutti gli scozzesi''.

 

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Si rivolge già a Londra, promette a sua volta di lavorare con e nel Regno rimasto Unito, ma non dimentica che è stato preso un impegno: se votate No avrete più poteri, ha detto Westminster compatta fino all'ultimo accorato appello. Ha promesso cambiamento. 

Per gli indipendentisti, la prima doccia fredda era giunta a seggi appena chiusi: un sondaggio YouGov che, pur su un campione limitato, dava il No chiaramente in testa al 54% e il Sì in affanno, al 46%. Con una distanza di poco ma più definita rispetto ai sondaggi che per giorni si erano trincerati dietro il 'too close to call'. E il direttore dell'istituto di rilevamenti che scandiva, sicuro, ''al 99% vincerà il No''. Coraggioso secondo alcuni, un azzardo per altri. Tutti cauti, anche dopo i primi risultati, con i No delle contee più piccole e di quelle più prevedibili. 

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Per la prima affermazione del Sì si è dovuto aspettare Dundee, la 'Yes City'. Ma che la corsa era stata frenata lo ha dimostrato Aberdeen, la prima grande città con un 'bottino' di voti per il 'No'. ''Verso la salvezza dell'Unione'', hanno cominciato a mormorare a quel punto gli unionisti, perché se il Sì di Glasgow era scontato, la voglia di indipendenza così evidente per le strade tappezzate di bandiere, nel segreto dell'urna ha subito alla fine una battuta d'arresto: deve avere accusato il colpo delle incognite che il sogno, forse troppo grande, portava con sé. 

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Finché - dopo il largo successo di No (60%) fatto segnare da Edimburgo, la capitale - a fare i conti arriva la Bbc: calcolando il superamento della soglia matematica dei No con cui la Scozia ha respinto l'indipendenza. La percentuale risulta pari al 55% contro un 45% di Sì, sullo sfondo di un'affluenza record dell'84%. Un risultato che scatena subito il sollievo sui mercati, con la sterlina spinta subito al suo massimo dal 2012.

 

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LE PAROLE DI DAVID CAMERON - 'E'il tempo per il nostro Regno Unito di andare avanti''. Lo ha detto il primo ministro britannico David Cameron parlando davanti a Downing Street dopo l'esito del referendum in Scozia. ''La questione ora è stata risolta per una generazione o, come ha detto Salmond, per una vita''. 

 

''Ho appena parlato con Salmond e mi sono congratulato con lui per la campagna combattuta con forza'', ha scritto il premier britannico sul suo profilo Twitter. ''Sono felicissimo che il suo Snp parteciperà ai colloqui per una ulteriore devolution''. 

 

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''Rispetteremo le promesse fatte alla Scozia in pieno'', ha quindi dichiarato Cameron che ha parlato di una bozza di legge al riguardo "entro gennaio". ''Gli scozzesi hanno mantenuto unito il nostro Paese formato da quattro nazioni e come milioni di altre persone sono felicissimo'', ha concluso Cameron assicurando che gli scozzesi "avranno più poteri sulla gestione dei loro affari", ma che questo varrà "ugualmente per gli abitanti di Inghilterra, Galles e Irlanda del nord".

 

 

2 - IL REGNO UNITO CAMBIA PER SEMPRE - I TORY SULL’ORLO DI UNA CRISI DI NERVI

Fabio Cavalera per “Il Corriere della Sera

 

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Con la Scozia o senza la Scozia, da oggi il Regno Unito è diverso. L’esito del referendum avrà importanti ricadute costituzionali. E peserà sul futuro dei conservatori e dei laburisti. Se anche si scongiura la secessione, sarà inevitabile allargare gli spazi di sovranità della Scozia, a cominciare dalle tasse e dal welfare. E ciò significa viaggiare verso un assetto federale. Una storia, una bella storia, è alle spalle. E un’altra sta per cominciare.

Il Regno Unito da oggi è diverso.

 

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L’esito del voto, anche con la probabile vittoria del no che i sondaggi notturni danno avanti di 8 punti, avrà importanti ricadute costituzionali. E peserà sul futuro dei conservatori e dei laburisti. La retorica dei vincitori cancellerà per qualche ora la realtà che è comunque una: c’è un altro Regno Unito. David Cameron ha il merito di avere accettato la sfida, ritenendo il referendum separatista un esercizio naturale di democrazia, visto che lo chiedeva il primo partito scozzese.

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Ma sia il premier britannico sia il leader dell’opposizione Ed Miliband hanno commesso un grave errore: hanno sottovalutato gli indipendentisti, la loro crescente capacità, con toni moderati e pragmatici, mai volgari e folcloristici, di toccare le corde passionali del nazionalismo. Non un populismo verboso e arrogante, semmai l’orgoglio politico con solide radici storiche e culturali, unito a intelligenti strategie comunicative. 

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I più alti dirigenti della amministrazione statale avevano ammonito Downing Street sin da gennaio che l’abile Alex Salmond, il «first minister» di Scozia, stava recuperando terreno e che il quadro si stava modificando. E pure i leader laburisti scozzesi avevano riportato a Londra le medesime preoccupazioni, segnalando che una parte partito si andava schierando per il sì. Ma soltanto nelle ultime due settimane David Cameron e Ed Miliband si sono svegliati dal torpore promettendo una più ampia devoluzione alla Scozia, specie in materia fiscale. 

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Così, per i silenzi e per i ritardi di Londra, il risultato è rimasto in bilico fino all’ultimo e la Scozia si divide sostanzialmente a metà. A livello costituzionale e istituzionale la conseguenza è evidente: se anche si scongiura la secessione, sarà inevitabile allargare gli spazi di sovranità della Scozia (l’hanno giurato Cameron, Miliband e Clegg), a cominciare dalle tasse e dal welfare.

 

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E ciò significa viaggiare verso un assetto federale, una Londra e un parlamento di Westminster molto meno dominanti politicamente, tenuto pure conto delle inevitabili spinte che arriveranno dall’Irlanda del Nord e dal Galles e tenuto conto che molti fra gli unionisti scozzesi hanno votato «no» in forza della promessa di una più ampia delega di poteri. Con l’indipendenza nascerebbe un nuovo Regno Unito che non ha più la Scozia. Ma con la Scozia che resta nasce un nuovo Regno Unito federale.

 

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Non è un gioco di parole: nulla sarà come prima. Questa considerazione, condivisa da tutti gli analisti, porta a una seconda ricaduta che è politica e che tocca sia David Cameron sia Ed Miliband. La prospettiva di una devoluzione ampliata viene contestata da almeno un centinaio di deputati conservatori inglesi i quali prefigurano scenari di ribellione al loro premier e una dura opposizione ai Comuni. Dopo le insubordinazioni sui matrimoni gay, dopo le fibrillazioni antieuropee, dopo le rincorse allo Ukip, ora la devoluzione: i conservatori sono sull’orlo della crisi di nervi. Alla vigilia delle elezioni non è un segnale rassicurante per Cameron che punta alla riconferma. 

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E non è che stiano meglio i laburisti. L’incubo referendum li ha allarmati e divisi. Con la secessione Ed Miliband perderebbe ogni speranza di andare a Downing Street dato che la Scozia è un fortino laburista. Con l’unione confermata e con la devoluzione, invece, cresce e si moltiplica il «peso» condizionante dei 41 parlamentari laburisti scozzesi oggi presenti a Westminster: saranno determinanti negli equilibri numerici nel caso in cui Ed Miliband riuscisse a vincere le consultazioni generali della prossima primavera. 
Questo referendum cambierà gli equilibri costituzionali e politici del Regno Unito. Una storia, una bella storia, è alla spalle. E un’altra sta per cominciare. 

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