VIVA, VIVA LA TRATTATIVA! - IL GIUDICE MOROSINI SENTIRA’ IL BOSS PENTITO BRUSCA, IL CAPO DEI SERVIZI DE GENNARO E L’EX ESTREMISTA NERO PAOLO BELLINI - GLI ATTENTATI ALLE CITTA’ D’ARTE “STRATEGIA DEL TERRORE” PER AMMORBIDIRE LO STATO: “SE AMMAZZI UN GIUDICE NE ARRIVA UN ALTRO, MA SE SALTA IN ARIA LA TORRE DI PISA…” - GLI INQUIRENTI A CACCIA DEI RAPPORTI TRA MAFIA, SERVIZIETTI E EXTRAPARLAMENTARI DI DESTRA…
Giovanni Bianconi per il "Corriere della Sera"
Al mosaico della presunta trattativa mancano alcune tessere. O sono ancora confuse. Meglio provare a inserirle, o chiarirle, prima di decidere se e quali imputati dovranno essere processati. Ecco perché bisogna ascoltare un paio di testimoni sui contatti veri o presunti di vent'anni fa tra esponenti della mafia e delle istituzioni, mentre scoppiavano le bombe in Sicilia e sul continente. E poi un investigatore che svolse analisi e indicò piste che parevano aver intuito l'esistenza di quei contatti.
O almeno il tentativo di intrecciarli.
Il giudice palermitano Piergiorgio Morosini ha dunque stabilito di interrogare l'ex mafioso Giovanni Brusca - il killer di Capaci pentitosi all'indomani dell'arresto, nel 1996 - e l'ex estremista nero, nonché trafficante di opere d'arte Paolo Bellini, divenuto anche lui collaboratore di giustizia.
Convocato anche l'ex capo della Direzione investigativa antimafia Gianni De Gennaro, oggi sottosegretario con delega ai servizi segreti. Brusca è uno degli imputati per la trattativa; Bellini risulta inquisito in procedimenti connessi; De Gennaro è parte offesa della calunnia attribuita a Massimo Ciancimino. Da ciascuna delle tre testimonianze il giudice s'aspetta di comprendere meglio i fatti. Di trovare i pezzi mancanti di un'indagine lunga e articolata, che però s'è conclusa senza illuminare tutti i suoi aspetti.
Brusca è l'«uomo d'onore» che per primo ha fatto cenno alla trattativa. Ha riempito decine di verbali, centellinato particolari, aggiunto dettagli nel corso del tempo. Da lui il giudice vorrebbe una ricostruzione definitiva. Era vicinissimo a Riina, e può spiegare ogni passaggio: dalla strategia corleonese avviata prima dell'omicidio di Salvo Lima (che per l'accusa è il presupposto del ricatto mafioso allo Stato, 12 marzo 1992) fino alle «dinamiche interne a Cosa nostra dopo la cattura di Riina, e il ruolo svolto da Bernardo Provenzano», il quale avrebbe portato a termine l'ultima fase della trattativa, nel 1994.
In mezzo ci sono le scelte fra un attentato e l'altro, in particolare Capaci e via D'Amelio dove morirono Falcone e Borsellino. E ancora, «gli eventuali rapporti tra Cosa nostra e altre realtà criminali, di stampo non solo mafioso», fra il 1991 e il 1993.
Tra le tante storie raccontate da Brusca c'è pure quella del trafficante Paolo Bellini, considerato dai mafiosi legato ai servizi segreti, che aveva suggerito ad Antonino Gioè, «picciotto» di Altofonte conosciuto in carcere, di ricattare lo Stato non più attraverso omicidi ma con attentati al patrimonio artistico: «Se uccidi un giudice ne arriva un altro, se invece metti in difficoltà lo Stato con il turismo e le opere d'arte, automaticamente lo Stato corre ai ripari. Pensa che succederebbe se venisse distrutta la torre di Pisa».
A quel personaggio i mafiosi avrebbero proposto il recupero di quadri di valore che interessavano i carabinieri in cambio di un «ammorbidimento» delle condizioni di alcuni boss detenuti. Su questo punto - fondamentale nella ricostruzione della cosiddetta trattativa - Bellini non è mai stato interrogato dopo che, una decina di anni fa, decise di collaborare e svelare (con molti chiaroscuri, per la verità ) i suoi mutevoli traffici criminali; tra i quali l'omicidio di un giovane comunista che sostiene di aver ucciso nel 1975.
Infine l'ex prefetto De Gennaro (altro testimone mai ascoltato in istruttoria) sarà chiamato a spiegare i presupposti di alcuni ipotesi investigative seguite dalla Dia al tempo delle stragi. In particolare un appunto redatto all'indomani delle bombe di Firenze e Milano del luglio '93, in cui si sosteneva che l'obiettivo degli attentati sembrava quello di «insinuare nell'opinione pubblica il convincimento che, in fondo, potrebbe essere più conveniente abbandonare una linea eccessivamente dura per cercare soluzioni che conducano ugualmente alla resa di Cosa nostra, a condizioni più accettabili da parte dei mafiosi». In pratica, costringere lo Stato alla trattativa.







