DOPO PALERMO, CI MANCAVA SOLO LA “TRATTATIVA” TRA LA CAMORRA E LO STATO! - IL PENTITO SCHIAVONE: “I NOSTRI REFERENTI ERANO L’ALLORA MINISTRO CONSO E POI IL VESCOVO DON RIBOLDI. NE PARLAI ANCHE CON COSENTINO” - E TIRA IN BALLO DON PEPPE DIANA, IL PARROCO AMMAZZATO DALLA CAMORRA - “CHIESI A DON PEPPINO DI SOSTENERE COSENTINO ALLE ELEZIONI PROVINCIALI DEL 1991”: BAGARRE IN AULA…

Conchita Sannino per "la Repubblica"

Ora spunta nei dettagli la storia di un "papello" segreto per i benifici alla camorra. L'embrione di quella che è stata una trattativa tra lo Stato e i più pericolosi boss campani delle cosche dei casalesi, dei Moccia, dei Mallardo, degli Alfieri - trattativa che fu avallata «dalle promesse dell'allora Forza Italia» - affiora tra le pieghe del processo a carico dell'imputato Nicola Cosentino.

La raccontano ieri i pentiti di camorra nella stessa aula del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere dove Cosentino, l'ex vincente di Forza Italia e del Pdl, ex sottosegretario all'Economia e plenipotenziario di Silvio Berlusconi in Campania (ormai scaricato dalle liste per esigenza di immagine), deve rispondere di concorso esterno in associazione di stampo mafioso.

Un'udienza shock. In cui un collaboratore di giustizia come Carmine Schiavone, tra l'altro, riesce a tirare per la giacca la memoria di una vittima innocente del clan, il prete anticamorra don Peppino Diana, ucciso nel '94 con tre colpi di pistola alla testa, proprio in sacrestia, nel cuore di Casal di Principe. «Chiesi a don Peppino di sostenere Nicola Cosentino alle elezioni provinciali del 1991. E fu Cosentino a chiedermelo, don Peppino portava voti, era seguito». Obiezioni indignate in aula, anche da parte dello stesso avvocato di Cosentino, Agostino De Caro.

«Don Peppino era un sacerdote integro, era impegnato contro i clan, come può dire che accettasse i vostri diktat?». E Schiavone, non meno adirato, ribatte: «Che c'entra? Lui era contro i camorristi, difatti si esponeva. Ma io non sono mai stato un camorrista, io ero un uomo d'onore». Leggi: mafioso.

Esisteva un «papello», dunque. Il pentito Dario De Simone, altro pezzo da novanta del gotha dei casalesi, un criminale che ha compiuto numerosi omicidi e che oggi, collegato in videoconferenza, racconta: «Noi sostenemmo Nicola Cosentino alle elezioni regionali del 1995. Comunque per noi un candidato valeva l'altro».

Cosentino ascolta in silenzio. Accanto a lui, gli avvocati De Caro e Stefano Montone. A sostenere la pubblica accusa, il pm già da tempo nel mirino del clan dei casalesi, ormai sotto protezione, Alessandro Milita. «C'era una trattativa in corso, una specie di papello, ma non coincidente con quello dei siciliani. I nostri referenti erano l'allora ministro Giovanni Conso e poi il vescovo don Riboldi. Tutti i più grossi boss della Campania, da Alfieri ai Moccia e ai Mallardo e ai Licciardi, tutti erano d'accordo in questo senso: noi dovevamo far trovare armi, pistole, eccetera, ci dovevamo arrendere insomma, ma in cambio cadevano gli ergastoli, o il carcere duro e i sequestri così continuavano le nostre cose insomma. Di queste cose parlai anche con Cosentino. E lui mi disse che Forza Italia poteva intervenire con delle leggi»
.
De Simone affronta poi il tema dell'impegno anticamorra di quei pochi «politici che davano fastidio». Spiega: «Ne parlai con Cosentino e mi disse che Lorenzo Diana e Renato Natale si lamentavano con Luciano Violante e lui mandava più controlli. É chiaro che a noi dava fastidio quella pubblicità. Perciò per esempio quello che ha fatto Saviano ha fatto tanto rumore». Come finì la trattativa? «Non se ne fece più nulla perché Francesco Schiavone detto Sandokan (il padrino dei casalesi oggi all'ergastolo) disse che lui non era d'accordo: lui non voleva consegnare allo Stato neanche un temperino».

 

NICOLA COSENTINO jpegcarmine schiavoneGiovanni Conso boss Francesco Schiavone

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