sandro veronesi sergio claudio perroni

“A GUIDARCI E’ SOLO LA MEMORIA DELLA LUCE” – SANDRO VERONESI RICORDA LO SCRITTORE E EDITOR SERGIO CLAUDIO PERRONI, MORTO SUICIDA IL 25 MAGGIO: “IL GIRO DI FRASE SEMPRE PERFETTO…ERA BRAVO. COME TROVAVA I MIEI, DI ERRORI, TROVAVA ANCHE I PROPRI. POI DI COLPO ABBIAMO LITIGATO. LUI ERA DURO, E SE SI LITIGA CON UNO DURO DI SOLITO L’AMICIZIA SI ROMPE" - TRA LE TANTE PERLE DELLO SCRITTORE  IL RACCONTO CONTENUTO NEL SUO LIBRO-GIOIELLO, “ENTRO A VOLTE NEL TUO SONNO”, DI QUELLE VOLTE IN CUI DI NOTTE, CI SI ALZA DAL LETTO E...

Sandro Veronesi per www.corriere.it

 

sandro veronesi

 

Il giro di frase sempre perfetto. Perfetto. Quando ha lavorato con me, come editor, tra il 1995 e il 2005, mi avrà fatto risparmiare, non so, diecimila virgole, tagliare o cambiare due o tremila parole. Vedeva l’errore, subito, e subito lo correggeva. A volte io lo sapevo che c’era una parola sbagliata nel capitolo che gli mandavo — quella giusta l’avevo cercata per due giorni ma non l’avevo trovata, allora avevo messo quella sbagliata, tanto per andare avanti.

 

Era sbagliata, d’accordo, ma almeno il discorso proseguiva, la frase finiva, si arrivava a un senso: e, pensavo, è l’unica parola sbagliata in tutto il capitolo, mica se ne accorgerà. Se ne accorgeva. Non solo: mi porgeva, come suggerimento (tra parentesi: i suggerimenti li porgeva tra parentesi), la parola giusta. Non solo: non c’era mai solo quella, di parola sbagliata: ce n’erano sempre altre due o tre, di cui non mi ero accorto, per ognuna delle quali mi rimandava indietro il testo con quella giusta impacchettata nelle parentesi.

sergio claudio perroni

 

 

Gli dicevo: «Perché non scrivi? Perché traduci solamente — traduceva benissimo, meravigliosamente, dall’inglese e dal francese, ha tradotto meravigliosamente David Foster Wallace, La scopa del sistema, e lì dentro ha tradotto l’acronimo G.O.D. (cioè Great Ohio Desert) con D.I.O (Deserto incommensurabile dell’Ohio) —, e si vede benissimo che vorresti scrivere, perché non scrivi dei libri tuoi?». No, diceva, è fuori questione. Poi però un giorno mi fece leggere un racconto che aveva pubblicato, sotto pseudonimo. Parlava di un uomo che comincia a dimenticarsi le cose della sua vita, quelle importanti ma anche quelle stupide, e continua a dimenticarsele, tutte, inesorabilmente, tutte tranne il nome del chitarrista della Premiata Forneria Marconi, «Francone» Mussida, finché quel nome rimane solo, l’unica foglia rimasta all’albero della sua memoria — Francone Mussida. Era molto bello, e gli dissi hai visto? Tu devi scrivere. E lui macché, è fuori questione. Eravamo molto amici.

 

sandro veronesisergio claudio perroni cover

Poi di colpo abbiamo litigato. Lui era duro, e se si litiga con uno duro di solito l’amicizia si rompe. Infatti l’amicizia si ruppe. Io ho ricominciato a scrivere libri con molte più virgole del necessario, e anche parecchie parole in più. (Parole sbagliate no, almeno per quello che so: ma c’è il problema di quello che non so, che sapeva lui, e perciò anche un po’ di parole sbagliate mi sa che sono rimaste). Lui, invece, cominciò a scrivere. Cioè, continuò a tradurre benissimo dall’inglese e dal francese ma cominciò anche a pubblicare libri suoi. Il primo, nel 2007, si chiamava Non muore nessuno, nel quale un uomo esemplare, scrittore affascinante e talentuoso, scompare. Poi altri. Mi piacquero, ma soprattutto piacquero in giro: lui diventò un autore di culto e io avrei voluto dirgli «hai visto, bischero? Te lo dicevo che dovevi scrivere». Ma avevamo litigato e non ci parlavamo più. Poi abbiamo fatto pace, abbiamo ricominciato a parlare, ma non gliel’ho detto lo stesso.

 

sergio claudio perroni

Tanto, che era bravo lo sapeva. Come trovava i miei, di errori, trovava anche i propri, e come correggeva gli uni correggeva gli altri. (Perché esser bravi questo è: trovare gli errori e correggerli). Io gliel’ho detto in faccia tantissime volte quando ancora non scriveva, sei bravo, devi scrivere, ma quando ha cominciato a scrivere davvero in faccia non gliel’ho mai detto. Quella lite, anche se superata, ingombrava. Però l’anno scorso gliel’ho detto per iscritto, nella postfazione che mi chiese di scrivere al suo libro-gioiello, Entro a volte nel tuo sonno.

 

Tra tutte le prose poetiche che contiene, perle vere, pezzi straordinari, una mi aveva colpito in particolare, perché parlava di tutti noi e allo stesso tempo sembrava contenere una qualche premonizione: parla di quelle volte in cui ci si alza dal letto, di notte, nella nostra stanza, ma chissà perché facciamo fatica a riconoscere lo spazio che conosciamo a memoria, e arrivati al muro accendiamo la luce per un attimo e poi la spegniamo subito, e quell’attimo ci basta per individuarci, dice il testo, «per riconoscere il tragitto un istante prima che scompaia», e da lì in poi ricominciamo a sentirci padroni dei nostri gesti e del nostro buio, e sappiamo benissimo cosa fare, e a guidarci «è solo la memoria della luce».

 

sergio claudio perroni coverSandro Veronesi

Il 25 maggio mattina verso le nove è andato al Bam Bar, dove andava sempre — a Taormina, perché lì viveva —, ma per la prima volta ci è andato senza occhiali. Poi è uscito, ha camminato per cinque minuti fino a via Roma e ha proseguito fino al belvedere sotto piazza IX aprile. Lì si è fermato, ha preso la pistola dalla tasca e si è sparato.

 

Si chiamava Sergio Claudio Perroni. Eravamo, come ho detto, molto amici.

sergio claudio perroni Sandro Veronesi e Michele Serra

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