antonio capuano

NAPULE È…ANTONIO CAPUANO – AUTORE E REGISTA GENIALE DI FILM FOLLI, STRAZIANTI, URTICANTI, SNOBBATO DA PRODUTTORI E CRITICA, CON LA CELEBRAZIONE CHE NE FA IL SUO ALLIEVO PAOLO SORRENTINO IN ‘’È STATA LA MANO DI DIO’’, A 81 ANNI CAPUANO OTTIENE FINALMENTE 15 MINUTI DI GLORIA – SERVE UN GRANDE DOLORE PER RACCONTARE, ALTRIMENTI NON TI IDENTIFICHI NELL'ALTRO. IL PERSONAGGIO LO DEVI AMARE ANCHE SE È PESSIMO. ANCHE TOTÒ SENTIVA IL DOLORE” - “IL MIO RAPPORTO CON NAPOLI? COME QUELLO DI UN UOMO CHE SI È INNAMORATO DI UNA ZOCCOLA. È UN GUAIO, MA NON POSSO FARCI NIENTE” - VIDEO

antonio capuano paolo sorrentino foto di bacco

 

CE L'HO UNA COSA DA RACCONTARE: LA NOTTE SOGNO SORRENTINO

Concetto Vecchio per “il Venerdì di Repubblica”

 

Diluvia su una Napoli metafisica. Il regista Antonio Capuano, 81 anni, l'aria da folletto, osserva il Vesuvio imbiancato pigiando il naso contro il vetro del bar di Posillipo. «Sto cess 'e tiemp», mormora. Il barista gli ha appena servito un caffè ristretto, «talmente» dice con aria teatrale «che la tazza è solo sporca». 

 

È stato il maestro di Paolo Sorrentino, ma in tanti se ne erano dimenticati. «A tien'na cosa a 'raccuntà?» gli fa dire in È stata la mano di Dio. «E dimmèll!». 

Antonio Capuano

 

Qual è il suo primo ricordo di Sorrentino? 

«Il produttore Nicola Giuliano mi disse che c'era un giovane bravo del Vomero che aveva scritto una sceneggiatura. Me la fece leggere. Gli proposi di scrivere insieme Polvere di Napoli. Era tenero, Paolo, trepidante». 

 

Le disse mai che aveva perso i genitori? 

«No, lo seppi da altri. Con me non ne ha mai parlato. Il suo dolore era trattenuto, nascosto». 

 

PAOLO SORRENTINO E ANTONIO CAPUANO

Perché tacque? 

«Me lo sono chiesto tante volte. Fa parte della sua natura borghese di non aprirsi mai del tutto. Noi proletari siamo più liberi, più scoperti, e magari pure più fessi». 

 

Serve davvero un grande dolore per raccontare? 

«Per forza, altrimenti non ti identifichi nell'altro. Bisogna mettere le mani dentro i grovigli, avere compassione. Il personaggio lo devi amare anche se è pessimo. Anche Totò sentiva il dolore». 

 

 

E il suo qual è?

 «Sono io stesso il mio dolore». 

 

FILIPPO SCOTTI CIRO CAPANO - E' STATA LA MANO DI DIO

In che senso?

«Sono stato vittima del mio brutto carattere. Nel mondo del cinema certe cose le paghi. A volte non mi sopporto più. Mi dico: "Cambia, Capuà! Esci da te. Vattenne! Pijate 'na vacanza"».

 

 Come vorrebbe essere? 

«Più formale, bugiardo. "Travestiti, Capuano!". Non ci sono mai riuscito. Non ho mezzi toni». 

 

Ha sempre polemizzato con i borghesi. 

antonio capuano barbara Bouchet

«Prenda il rapporto con Paolo. È fraterno. C'è stima. Ma siamo diversi. È come se io fossi rimasto selvaggio, e loro educati, loro sono come bisogna essere, e io no». 

 

Non è mai andato via da Napoli. 

«Provai a stabilirmi a Roma, nel 1973. Presi casa a Largo Argentina, ma già dopo pochi mesi mi sentivo perduto. Non c'è il mare e nel tempo libero giravo a vuoto». 

 

«Solo gli strunz vanno a Roma», le fa dire Sorrentino nel film. 

«Mi ci riconosco (ride di gusto). Credo che Paolo faccia un po' di autocritica con quella frase, lui deve tutto a Napoli». 

 

ANTONIO CAPUANO

È pentito? 

«I registi della mia generazione sono andati via tutti, la frase di Eduardo "Fuitevenne" a me stava sulle palle. Oggi penso che avesse ragione».

 

Qual è il suo rapporto con Napoli? 

«Come quello di un uomo che si è innamorato di una zoccola. È un guaio, ma non posso farci niente». 

 

Conosce Ciro Capano, l'attore che la interpreta? 

«No. Mi ha fatto troppo piantato. Non sono così. Ma forse Paolo non voleva proprio una mia copia». 

 

paolo sorrentino antonio capuano

«Non ti disunire» è diventata una frase cult. 

«È una frase che si diceva giocando a calcio: "Non ti disunire!"». 

 

Che cosa ricorda dei primi tempi con Sorrentino? 

«Passeggiavamo qua, sul lungomare Caracciolo, su e giù, a discutere del film, della sceneggiatura. È stata l'unica volta che ho condiviso la scrittura con qualcuno». 

 

Quanti film ha fatto?

POLVERE DI NAPOLI

«Sette, otto. E sono altrettante palle al piede». 

 

Però la critica le ha sempre riconosciuto il grande talento, lo sguardo sociale. 

«Sì, ma i produttori mi hanno sempre accolto con un sorrisetto. Ricordo il giro delle sette chiese che feci con il copione di Pianese Nunzio, 14 anni a maggio. "Ah, lei è quello che ha fatto Vito e gli altri". E subito aggiungevano: "Bello, però..."». 

POLVERE DI NAPOLI

 

Però che cosa? 

«Non ha incassato». 

 

Avrebbe meritato di più?

 «Non ho mai guadagnato. Mi sento ridicolo». 

 

Con Sorrentino avete in comune un padre comunista. 

«Il suo però era borghese. Il mio, Salvatore, tranviere, era molto sindacalizzato, fu allontanato e sospeso dal lavoro. I soldi in casa li portava allora mio fratello Vittorio, barbiere. Capirai quanto poteva guadagnare». 

ANTONIO CAPUANO 1

 

Dov' è nato? 

«Qui a Posillipo, in via Ferdinando Russo, davanti al mare. Infatti, ho fatto il bagnino, il barcaiolo, il marinaio. Il mare è il mio continente». 

 

Quanti figli eravate?

«Cinque, tutti maschi. Mia madre aveva una natura contadina, governava con pugno di ferro questi uomini che le giravano attorno. Di notte poi faceva la sarta». 

 

Che rapporto avevano i suoi? 

«Papà era il suo servo. Lei teneramente lo comandava. Del resto quando ti piace una donna ti consegni, hai bisogno di essere protetto, noi uomini, si sa, siamo un po' coglioni. Le donne sono più serie, più forti». 

 

L'uomo ha bisogno di essere accudito? 

«Sì, dai calzini ai pensieri». 

 

Il buco in testa Teresa Saponangelo

Lei vive da sessant' anni con la stessa donna. 

«Willye. È olandese. Era venuta a Napoli per imparare l'italiano, alta, bionda, occhi verdi, indossava pantaloni stretti, maronna quanto era bella, e tutti i pappagalli di Posillipo le correvano dietro». 

 

Come l'ha conquistata? 

«Facendo i tuffi. Non mi aveva calcolato per mesi, un giorno la vidi qui in spiaggia, che prendeva il sole. Cominciai a buttarmi, al terzo tuffo vidi che aveva alzato la testa. Mi sorrideva. Mi gasai. "Mo' t facc'vedé", mi dissi, e mi buttai ancora e ancora e ancora». 

 

È molto devoto a sua moglie, dicono. 

Il buco in testa Teresa Saponangelo

«Le devo tutto. Quelli della mia cerchia si sono separati, noi abbiamo resistito. A un certo punto abbiamo capito che un matrimonio ha bisogno di una continua manutenzione». 

 

Willye parla il napoletano? 

«Ormai sì, ma è una strana lingua, divertente da sentire». 

 

Lei ricorre spesso al dialetto. 

«L'italiano non ci appartiene a noi napoletani, e il nostro dialetto è a sua volta come rigirato, reinventato». 

 

È anche pittore. 

«Sì, ma non ho mai venduto un mio quadro, mai fatto una mostra». 

 

paolo sorrentino

E perché? 

«Mi vergogno». 

 

Ma È stata la mano di Dio le è piaciuto? 

«Non l'ho visto, solo il trailer». 

 

Come no? 

«È come se ne avessi paura». 

 

«La realtà è scadente», dice Fabietto Schisa nel film. 

«Non è vero. La realtà ci nutre. "Prendete il tram se volete scrivere", esortavano Age & Scarpelli. Se non guardi il reale che cosa vuoi raccontare? Anche Paolo è partito dal suo dolore». 

paolo sorrentino, il fratello e la sorella nel giorno del matrimonio

 

Le fa piacere che lui la reputi il suo maestro? 

«Non so se lo pensi, né io del resto mi ritengo tale. Paolo lo sogno spesso». 

 

Come?

 «Con la camicia azzurra. Con il bavero di pelliccia. E poi lo chiamo, e gli racconto il sogno».

 

E lui? 

«Ne ride. È strano, vero?» 

 

Che cosa? 

«Questo sognare. Che vuol dire, secondo lei?».

 

 

 

ANTONIO CAPUANO. ECCO QUAL È LA SUA STORIA E CHE COSA LO UNISCE A PAOLO SORRENTINO.

Carolina Iacuccihttps://www.cinematographe.it/rubriche-cinema/focus/antonio-capuano-paolo-sorrentino-e-stata-la-mano-di-dio/

 

 

antonio capuano

In È stata la mano di Dio, il film di Sorrentino vincitore del Leone d’Argento a Venezia, candidato ai Golden Globes e dal 15 dicembre disponibile alla visione su Netflix, verso la fine, compare un uomo paffuto e tarchiato: si alza dal suo posto, nel buio di una sala teatrale, e rivolge all’attrice in scena – una giovane straniera che lo idolatra e che sta, proprio in quel momento, interpretando il riadattamento di una qualche tragedia greca – parole ingiuriose, in condanna di uno stile troppo artificiale, decorativo, lontano da quella verità che sempre dovrebbe preservare, pur nella finzione, l’atto teatrale. 

 

Fabietto Schisa, alter ego di Sorrentino da giovane, lo segue all’uscita del teatro: tra i due, poco dopo, si accende una discussione. Capuano, che di professione fa il regista teatrale, rivolge all’altro, che gli ha appena confessato di voler diventare anche lui regista e di essere in procinto di andarsene a Roma per studiare cinema, un monito dal significato opaco: “Non ti disunire!”.

antonio capuano

 

Cosa vorrà intendere? Probabilmente, sta consigliando al giovane che ha davanti di non lasciare la sua città, di cercare lì le storie da raccontare. È quanto ha sempre fatto il vero Antonio Capuano, che Sorrentino ha voluto, nel suo film, interpretato da Ciro Capano, attore che, a rigore, non gli somiglia affatto: l’originale è, infatti, alto e segaligno, con gli occhi chiari e stretti, il volto magro e appuntito. La tempra, però, è ben replicata: il personaggio non nasconde i suoi modi grevi, che sono gli stessi del Capuano autentico. 

 

Chi è Antonio Capuano

Nato a Napoli nel 1940, nella sua lunga carriera ha lavorato per teatro, televisione e cinema, ed è stato anche pittore, scenografo e insegnante all’Accademia di Belle Arti. Il suo debutto al cinema, dopo una faticosa gavetta, avviene nel 1991, con Vito e gli altri, storia di un padre di famiglia che massacra la moglie e un figlio, risparmiando l’altro, poi affidato a una zia e avviato alla vita di strada.

 

i genitori di paolo sorrentino

Privo di una guida, il ragazzino sopravvissuto, a seguito di una progressiva discesa agli Inferi, diviene sicario della camorra. Resoconto di un’infanzia terminata anzitempo e gettata in pasto alle fauci tentacolari di una città in fondo disperata, il film rivela il talento senza compromessi, volutamente disturbante, di un autore che sembra radicare nel realismo e invece s’apre al fantastico: alla realtà sociale di cui si fa reporter non fa comunque sconti, rappresentandone a tinte forti la ferocia senza appello.  

 

Dopo aver firmato un episodio del film collettivo L’unico paese al mondo, realizzato per sensibilizzare l’opinione pubblica, in piena epoca proto-berlusconiana, sulla deriva morale e politica dell’Italia, si dedica al lungometraggio Pianese Nunzio, 14 anni a maggio, costruito attorno alla figura di un prete che si ribella alla camorra e ha un’ambigua relazione con un chierichetto tredicenne. 

 

L’ultimo incontro tra Sorrentino e il suo mentore è avvenuto lo scorso novembre al Cinema Troisi di Roma in occasione della prèmiere di “È stata la mano di Dio”.

ANTONIO CAPUANO 2

Nel 1998 Antonio Capuano, che l’anno precedente aveva preso parte a un altro film collettivo, I vesuviani, lavora alla Polvere di Napoli, anch’esso antologico nell’articolazione, un omaggio all’amato De Sica. 

 

È per questo progetto che si avvale della collaborazione dell’allora regista ventottenne di belle speranze Paolo Sorrentino, a cui sceglie di fare da mentore: i due si mettono insieme a scrivere la sceneggiatura del film e cementano un’unione fondata sulla reciproca ammirazione (anche se, sia chiaro, Capuano resta il maestro e Sorrentino l’allievo). 

 

A Capuano Sorrentino, in occasione del loro ultimo incontro al Cinema Troisi di Roma, ha riconosciuto di essere stato colui che gli “ha trasmesso la gioia di fare cinema” e, se pure come maestro “l’ha spesso ucciso“, poi l’ha anche sempre “resuscitato“. 

 

Agli inizi del Duemila Capuano realizza Luna Rossa, riscrittura dell’Orestea di Eschilo, storia di una vendetta, maturata in ambito camorristico, che assume le proporzioni di una carneficina. Qualche anno dopo, nel 2005,  convoca Valeria Golino a interpretare una madre affidataria ne La guerra di Mario, il dramma di un bambino sottratto alla madre naturale e al problematico ambiente d’origine per essere violentemente immesso in un contesto borghese.

La Golino torna, in veste di psicologa penitenziaria, nel film L’amore buio, storia di uno stupro di gruppo, le cui conseguenze non sembrano esaurirsi nell’assunzione di responsabilità da parte dei colpevoli.

 

Gli ultimi lungometraggi diretti da Capuano sono, invece, a a sorpresa, una commedia farsesca dal titolo Achille Tarallo (2018) e un film drammatico, Il buco in testa (2020), ispirato alla vicenda dell’omicidio di Antonio Custra, poliziotto assassinato mentre prestava servizio durante una manifestazione di protesta organizzata da un gruppo di militanti di Sinistra: in questo suo ultimo lavoro, il regista, che sta pensando a un adattamento dell’Edipo Re di Sofocle, si misura con la memoria degli anni di piombo, di cui ha vissuto pienamente furori, angosce e contraddizioni.

paolo sorrentino premiato

 

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