SIAMO RITORNATI DI MODA! - LA SITCOM AMERICANA "BLUNT TALK" ESALTA I COLLEGHI NEVROTICI E CIALTRONI, SCANSAFATICHE O COMPULSIVI, ARROGANTI O ACCONDISCENDENTI NEI CONFRONTI DI OGNI POSSIBILE CAPORALATO AZIENDALE: STIMOLANO LA CREATIVITÀ

Il termine disfunzionale è solitamente applicato alle famiglie più disgraziate, quelle realtà marginali in cui i comportamenti border line, come dipendenze e abusi. Sembra che invece le relazioni disfunzionali abbiano un effetto positivo negli ambienti di lavoro…

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Gianluca Nicoletti per “la Stampa”

 

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Evviva gli ambienti di lavoro disfunzionali. Sono quelli, per intenderci, farciti di colleghi nevrotici e cialtroni, scansafatiche o compulsivi, arroganti o accondiscendenti nei confronti di ogni possibile caporalato aziendale.

 

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Robert Giacalone, professore con cattedra di Etica degli Affari presso l' Università di Denver, in un' intervista al magazine «Salon» sembra annunciare una vera controriforma rispetto ai concetti di ergonomia delle relazioni tra colleghi, quelle per capirci che avevamo maturato negli ultimi anni sfogliando riviste patinate e sognando su quanto ci aveva rivelato la sacra triade Steve Jobs, Bill Gates, Mark Zuckerberg, solo per citare i profeti più noti della paradisiaca visione di chi lavora divertendosi, guadagnando cifre folli e digitalizzando l' universo.

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Il professore di Etica Per il professor Giacalone è nel «disfunzionale» invece la chiave del successo di un' azienda. Il termine disfunzionale è solitamente applicato alle famiglie più disgraziate, quelle realtà marginali in cui i comportamenti border line, come dipendenze e abusi, sono considerati prassi quotidiana. Sembra che invece le relazioni disfunzionali abbiano un effetto positivo negli ambienti di lavoro: essere costretti a combattere con il machete in mano nella giungla aziendale dei colleghi tagliagole, stimola realmente creatività e conseguente produttività.

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Si direbbe quindi che l' innovazione, reale e non tarocca, si sviluppi molto più facilmente dove persista il modello Fantozzi e Filini, piuttosto che nei simulacri in cui, nelle fantasie emulative più logore, svolazzano gli arcangeli di quella che da decenni, chiamiamo ancora new economy.

Sarebbe come dire che il «dott. Ing. gran mascalzon di gran croce visconte Cobram» aveva capito molto più dello spirito del futuro di tutte le strategie collaborative, della condivisione dei saperi, del brain storming e dell' open space.

 

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La sitcom Il valore del lavoro in ambiente disfunzionale sta passando anche attraverso la nuova sitcom «Blunt Talk», trasmessa da sabato scorso nel canale televisivo a pagamento Starz. Il protagonista è il giornalista inglese Walter Blunt, cocainomane, alcolista dedito alla frequentazione di trans e prostitute, che si trasferisce a Los Angeles per lanciare una tv di news notturne via cavo; il suo staff di conseguenza è una rassegna umana del più possibile politicamente scorretto.

 

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Ancora più impressiona il fatto che tale pessimo esempio di anti guru mediatico sia interpretato da Patrick Stewart, solito a ruoli di tecno eroe dalla parte dei buoni come Jean-Luc Picard capitano dell' Enterprise di «Star Trek», o il Professor X, direttore della scuola dei mutanti «X-Men».

 

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Ironia anti-start up E' evidente che esista più di un sintomo dell' autodistruzione imminente della rappresentazione dell' idillio produttivo che si consuma tra colleghi uniti da passione e non da competizione, in un francescano open space, nel grande loft o nella fabbrica dismessa. Tempio dove si omaggia il passato vetero tecnologico, ma si celebra la liturgia del futuro digitale. Sacrario delle sinapsi condivise arredato solo di lap top arroventati, dove si riproducono per partenogenesi sempregiovanili e casti nerd, naturalmente digital skillati e ancora in maglietta e jeans, sorridenti sprizzano startup da ogni poro dei loro volti diafani per mistica vegan osservanza.

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Un modello che ha suscitato l' ironia dei creatori del movimento #startupdimerda che soprattutto su Facebook si è scatenato a staffilare per lo meno la versione italiana del ribollente mondo delle startup, molto spesso incubatori di fuffa, tenuti in piedi da stagisti sottopagati e sfruttati.

 

Non se ne può più della democrazia delle menti brillanti che mentre impegnano nel progettare il futuro non si sono accorte di essere già icone del passato. Presto c' è chi ironizzerà dell' hipster infarcito di tecnologia wearable in ogni suo possibile interstizio corporeo, che si aggira nell' ennesima location perifericofiga post industriale per progettare app di cui nessuno sentiva la mancanza.

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Di lui si faranno beffe i nativi digitali che andranno a lavorare in spigato siberiano, come da tempo immemore, noi baby boomers politicamente svantaggiati, abbiamo sbeffeggiato il radical chic in giacca di tweed con le toppe e i pantaloni di velluto, quello che al liceo comandava le occupazioni e che ancora oggi parla di socialismo reale, magari sorseggiando Cubalibre dalla sua terrazza con vista sui tetti dei quartieri alti.

 

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