LA VERA STORIA DI “THE SERPENT”: IL SERIAL KILLER DEGLI HIPPIE RACCONTATO IN UNA SERIE TV SU NETFLIX CON TAHAR RAHIM COME ATTORE PRINCIPALE - UNA STORIA DI VIOLENZA E IMPUNITÀ VERA, CHE HA PER PROTAGONISTA CHARLES SOBHRAJ. ALLA FINE DEGLI ANNI 70 TROVA IL MODO DI GARANTIRSI UNA VITA AGIATA: INSIEME CON LA SUA COMPAGNA ATTIRA IN TRAPPOLA RAGAZZI OCCIDENTALI IN VIAGGIO SULLE STRADE DELL’ASIA, LI DERUBA E UCCIDE - L’ULTIMA SFIDA, AL CASINÒ DI KATHMANDU - VIDEO

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Federico Ferrero per Sette – www.corriere.it

 

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Crudele, spietato, maliardo, manipolatore. Abbastanza astuto da sfuggire più volte alla cattura e garantirsi una vita di agi, non tanto da non sentirsi imprendibile. La serie romanzata The Serpent, ospitata su Netflix con Tahar Rahim come attore principale, è ispirata a una storia di violenza e impunità vera, che ha per protagonista un uomo dalla vicenda concitata e contorta: Charles Sobhraj. Charles nacque nel 1944 nella Saigon occupata dai francesi, da padre indiano e mamma vietnamita, e fu un bambino triste.

 

All’età di tre anni, subì il divorzio dei genitori; qualche tempo dopo, la madre se lo portò via a Marsiglia. Ignorato dal patrigno, trascurato dalla mamma, crebbe con la nostalgia della patria natale e una crescente volontà di rivalsa. A dieci anni, i primi furtarelli nei negozi e un’estate di abbandono in un collegio parigino, che gli fece maturare ulteriori sentimenti di disagio e rancore nei confronti del prossimo.

 

 

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Sobhraj fu un adolescente problematico, senza amici. Tanto che, a 16 anni, tornò dal padre per tentare una ripartenza: ma non funzionò, anzi. Intorno ai vent’anni era già tornato a Parigi, dove rimediò la prima condanna per furto.

 

Nei tre anni di detenzione, grazie a indubbie abilità persuasive, ottenne il privilegio di poter studiare in cella e si dedicò a varie discipline, dalla psicologia alle lingue. Scontata la pena, Charles incontrò Chantal Compagnon, una ragazza rimasta incantata dai suoi modi suadenti e dall’innegabile carisma, e le propose di sposarlo.

 

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Nonostante un altro arresto per tentato furto d’auto e la contrarietà dei genitori per quella storia con un giovane discutibile, la donna gli rimase fedele e i due si sposarono: poco dopo nacque la loro unica figlia, Usha. Soprattutto, era nato un legame criminale: la moglie era consapevole delle attività illegali del marito e quando, nel 1970, la famiglia emigrò in India, a Bombay, Sobhraj entrò come professionista nel giro delle automobili ricettate, sviluppando nel contempo una forte attrazione per il gioco d’azzardo. E un’altra dote, sempre più affinata: la capacità di puntare i turisti occidentali. Di circuirli e stordirli con l’uso di narcotici.

 

 

Dall’India all’Afghanistan

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L’espediente, almeno agli inizi, era utilizzato solo per rendere le vittime inoffensive e derubarle più facilmente ma per Sobhraj, complici anche le somme di denaro sempre più ingenti e una crescente pulsione a provare emozioni forti, gli assegni a vuoto e le automobili rubate non potevano più bastare. Venne arrestato per rapina in una gioielleria. Riuscì a evadere, con l’aiuto della moglie, fingendo un malore e narcotizzando un’infermiera.

 

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Nel 1972, un’altra fuga: quella volta la meta fu Kabul, Afghanistan. Nel mentre, aveva sviluppato l’ultimo filone criminale: abbordava turisti occidentali che percorrevano il cosiddetto Hippie Trail, il cammino che dall’Occidente porta all’Oriente passando per Turchia e Iran fino alla Thailandia. Grazie al fascino e alla facilità nel parlare le lingue, li avvicinava fingendosi un uomo d’affari. Come avrebbe poi raccontato, Charles odiava quei giovani privilegiati, che cercavano la spiritualità a buon mercato pur essendo nati nella ricchezza. Trovava fossero dei dissoluti, dediti alle droghe. Forse, gli ricordavano soltanto la giovinezza solitaria e mesta in Francia.

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L’incontro fatale a bangkok: identità rubate

Ormai professionista delle trasformazioni e delle truffe, abituato al dentro-fuori in prigione, nel 1975 Charles Sobhraj si è appena lasciato alle spalle un’altra evasione: stavolta è scappato dal terribile carcere di Atene, dove ha addirittura dato fuoco al pulmino del suo trasferimento. Delle sue fughe così improbabili avrebbe detto che «i poliziotti hanno meno desiderio di tenermi dentro di quanto ne abbia io di uscire». Purtroppo, la sua vittoria contro i secondini è foriera di morte.

 

Ormai fuori controllo e maturo per il salto di qualità, si divide dalla moglie che ripara in Francia e, a Bangkok, conosce Marie Andrée Leclerc, un’infermiera canadese. La convince a diventare suo partner, anche criminale; assoldano un altro complice e vanno a caccia di vittime, di cui poi assumere l’identità per sfuggire alla cattura. Incontra Teresa Knowlton, studentessa di Seattle che desidera raggiungere un monastero tibetano a Katmandu. La circuisce e non si accontenta dei suoi averi.

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La ragazza viene ritrovata morta, il 18 ottobre 1975, a Pattaya Beach. Per mesi, non viene riconosciuta né si sospetta un omicidio: viene rinvenuta in bikini - da qui uno dei soprannomi di Sobhraj, il Bikini killer - e la polizia pensa a un’overdose. Per giustificarsi, anni dopo, Charles sosterrà che la donna fosse una spacciatrice, una cattiva persona. Tutte falsità.

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Il piacere di uccidere, senza pietà

Rotto l’argine, il Serpente - quest’altro soprannome gli era stato dato dalle forze dell’ordine, per il suo essere così sfuggente - non si ferma più. Ha capito che gli piace uccidere. Ammazza senza pietà Vitali Hakim, un giovane turista turco, bruciandolo vivo. A Hong Kong conosce una coppia di turisti olandesi, Henk Bintanja e Cornelia Hemker, li attira a casa sua in Thailandia, li rapina e fa fare loro la stessa fine di Hakim. La ragazza, in particolare, è ammaliata dai preziosi posseduti da quel fascinoso Alain Gautier, uno dei tanti nomi falsi di Charles. Dopodiché è il turno della fidanzata di Vitali, arrivata nel Paese per cercarlo, Charmayne. Viene affogata prima che possa scoprire chi ha fatto del male al suo uomo.

 

Il primo errore: l’avvelenamento di Delhi

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Sobhraj inizia a scrivere la sua fine quando sbaglia la dose di narcotico da somministrare a studenti francesi in gita a Nuova Delhi, nel 1976. Il piano era fingersi una guida turistica e offrire delle pillole anti-dissenteria agli ignari ragazzi. Che iniziano a svenire nella hall, si accorgono dell’avvelenamento e chiedono soccorso. Viene arrestato e condannato anche per l’omicidio di un turista francese, Jean-Luc Solomon, forse l’unico che non voleva uccidere ma stordire a scopo di rapina. Anche in quel caso, aveva esagerato con le dosi.

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Le due complici di Charles confessano, la fidanzata Marie viene rilasciata dopo qualche anno, appena in tempo per andare a morire di cancro in Canada. Lui, nel 1986, sta per uscire da una prigione di Nuova Delhi che pare un albergo: manipolando e corrompendo il personale si è garantito un televisore, cibo di qualità, incontri, interviste a 5.000 dollari l’una, scrive i testi di un libro e una sceneggiatura sulla sua vita. Si fa chiamare Sir Charles, e se la gode quasi come quando era a piede libero.

 

 

Gli anni passano, Sobhraj fa i conti e capisce che la scarcerazione gli aprirebbe le porte di un’altra gabbia, per i crimini in Thailandia. Ha ucciso almeno 12 persone. Escogita un piano: tiene una festa illegale, mette dei narcotici - cos’altro? - nei cesti di frutta e manda al tappeto alcuni secondini, appositamente per poter espiare un altro po’ di pena in quelle condizioni di assoluto privilegio ed eludere la prigione thailandese. Dieci anni dopo, è libero e le accuse sono cadute.

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Tutte tranne quelle maturate in Nepal, dove decide di tornare nel 2003 dopo aver vissuto da gran signore a Parigi, accumulando denaro per servizi giornalistici e fotografici a pagamento. Un reporter lo nota in un casinò di Katmandu e lo segnala alla polizia.

 

Viene processato e mandato all’ergastolo per il doppio omicidio del 1975, grazie al lavoro del diplomatico olandese Herman Knippenberg, della moglie Angela e di due ex vicini di casa del serial killer, Nadine e Remi Gires. Tradito dalla convinzione di essere un passo avanti al resto del mondo, è chiuso per sempre in una vera cella di una vera prigione. Per quanti morti, non si sa.

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