BEIRUT SULL’ORLO DI UNA GUERRA CIVILE - SEI MORTI E DECINE DI FERITI NELLA CAPITALE LIBANESE: DAI TETTI I CECCHINI HANNO SPARATO SUI MILIZIANI DI HEZBOLLAH, CHE MARCIAVANO VERSO IL PALAZZO DI GIUSTIZIA PER TENTARE DI BLOCCARE L’INCHIESTA SULLA STRAGE AL PORTO DI QUATTORDICI MESI FA – IL “PARTITO DI DIO” CE L’HA CON IL GIUDICE TAREQ BITAR, CHE POTREBBE SCOPRIRE LA VERITÀ SU CHI PORTÒ IL CARICO DI NITRATO DI AMMONIO AL PORTO… - VIDEO

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1 HEZBOLLAH CERCA DI BLOCCARE L'INCHIESTA SULLA STRAGE AL PORTO A BEIRUT SI SCATENA LA BATTAGLIA

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Davide Frattini per il "Corriere della Sera"

 

Alla rotonda di Tayouneh la crisi libanese svolta verso la guerra civile. Almeno per quattro ore. I manifestanti sciiti - guidati dai capibastone di Hezbollah e Amal - stanno marciando per raggiungere il palazzo di Giustizia, protestano perché la Corte di Cassazione ha dato il via libera a Tareq Bitar per proseguire nella sua inchiesta e provare a capire che cosa sia successo al porto di Beirut quattordici mesi fa.

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Provare a capire che cosa abbia potuto trasformare quel deposito in una bomba ultrapotente che ha ucciso almeno 215 persone e distrutto un terzo della città, quali materiali potrebbero essere stati nascosti lì assieme al nitrato d'ammonio sequestrato a una nave mercantile.

 

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O perché quel composto chimico usato come fertilizzante ma anche per imbottire di esplosivo i camion e le auto non fosse stato spostato lontano dalle zone abitate. Il magistrato è acclamato da una parte dei libanesi per la sua lotta contro la corruzione, secondo i sostenitori di Hezbollah sta abusando del potere e persegue obiettivi politici. Così la manifestazione e le minacce contro i giudici, una dimostrazione di forza che tracima anche verso le aree cristiane.

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Dai tetti - all'incrocio che già segnava le linee religiose e belliche durante il conflitto durato quindici anni fino al 1990 - i cecchini sparano sulla folla, i miliziani sciiti rispondono, le armi già pronte, colpi a raffica dai kalashnikov, i lanciagranate usati per le strade. Restano uccisi in sei, tra loro una donna ammazzata nel suo appartamento da un proiettile vagante.

 

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Hezbollah accusa le Forze libanesi di Samir Geagea, quei tetti su cui si sono appostati i tiratori stanno dall'altra parte della prima linea, coprono i palazzi di un quartiere nemico. Il leader cristiano-maronita smentisce che siano stati i suoi uomini a sparare, risponde che il problema restano «le troppe armi illegali in circolazione», pensa all'arsenale accumulato dall'organizzazione filo-iraniana.

 

Il premier Najib Mikati è riuscito un mese fa a mettere insieme il governo, la priorità dovrebbe essere la crisi economica: in due anni di caos finanziario i poveri sono raddoppiati, la lira libanese si è ridotta al valore di fogli di carta, le scorte di gasolio e benzina sono prosciugate, l'elettricità più va che viene.

 

ESPLOSIONE A BEIRUT

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Mikati ripete che «non possono essere i politici a decidere di rimuovere un giudice», sono stati i parlamentari di Hezbollah e Amal a chiedere che l'indagine venga fermata, due ex ministri convocati con l'accusa di negligenza criminale per la strage al porto avevano presentato la petizione alla Corte di Cassazione.

 

Anche il presidente Michel Aoun, cristiano, ha ribadito che l'inchiesta deve andare avanti, una posizione più netta rispetto ai tentennamenti del passato che gli è stata imposta dagli scontri di oggi. Mikati adesso deve affrontare le pressioni militarizzate dei gruppi che continuano a spartirsi il Paese e vogliono tenere i libanesi al buio.

Cecchini contro Hezbollah e Amal mentre sfilano contro l'inchiesta del giudice Bitar accuse ai miliziani cristiani, poi parte la rappresaglia dei filo-iraniani: sei le vittime

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2 - SPARI SUL CORTEO SCIITA VENTI DI GUERRA CIVILE NELLE STRADE DI BEIRUT

Giordano Stabile per "la Stampa"

 

Gli uomini in maglietta nera, le barbe corte a incorniciare i visi, marciavano dai quartieri sciiti, su, verso il Palazzo di Giustizia, all'estrema propaggine della collina cristiana di Ashrafieh. Alcune centinaia, non un esercito, ma compatti.

 

Militanti di Hezbollah e ancora più di Amal, l'altro partito alleato dell'Iran. Scandivano «con l'anima, con il sangue, difenderemo Nabih Berri», l'inamovibile e corrotto presidente del Parlamento. Il riferimento era alle indagini del giudice Tarek Bitar sull'esplosione nel porto del 4 agosto 2020, quando morirono oltre 200 persone. Bitar ha preso di mira, fra gli altri, deputati dei partiti sciiti, e in particolare il braccio destro di Berri.

 

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«Bi ruh, bi dam», gridavano. Uno slogan consueto alle manifestazioni arabe. Ma poi il sangue è stato versato sul serio. Uno, due, tre, i proiettili hanno cominciato a piovere sui manifestanti, dall'alto.

 

Un trentenne si è accasciato subito, colpito alla testa, un altro al petto, riverso per terra, gli altri nascosi dietro i cassonetti, le auto parcheggiate, in cerca di riparo. La testa del corteo era arrivata nell'area di Tayyune, dove c'è l'unico, minuscolo spazio verde di Beirut, e dove s' incrociano quartieri musulmani come Chiyah, e altri cristiani o misti, come Badaro, Fourn el-Shibbek e Ain nel-Remmeneh.

 

Nomi che adesso non dicono niente ma che durante la guerra civile erano al centro della cronaca, perché lì sono cominciati i massacri nel 1975, e lì correva la famigerata Linea verde. Era il regno dei cecchini ed è tornato a esserlo per l'intera mattinata di ieri.

 

I tiratori, misteriosi, sparavano dai tetti dei palazzi, ad alcune centinaia di metri di distanza. Hezbollah e Amal hanno chiamato alle armi i loro uomini, che sono sbucati, in massa, dalle strade laterali. Con kalashnikov e lanciarazzi. Hanno risposto al fuoco alla cieca, specie verso Ain al-Remmeneh, da sempre roccaforte delle Forces Libanaises di Samir Geagea. Falangisti cristiani maroniti.

 

Un proiettile vagante ha colpito una 24enne nella sua stanza che affacciava sulla strada. L'esercito, già dispiegato a protezione del Palazzo di Giustizia, ha cercato di creare un cordone di sicurezza, sono arrivate decine di blindati ma ci sono volute tre ore prima che cessasse il fuoco. Sul terreno sono rimaste sei persone. Quattro militanti di Amal, uno di Hezbollah, la giovane donna.

 

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Una trentina i feriti. Gli scontri settari più gravi dal 2008, quando Hezbollah si prese mezza Beirut e mezzo Libano. Anche allora c'era in gioco il controllo del porto, crocevia di tutti i traffici, compresi esplosivi e armi. Il giudice Bitar, l'uomo più popolare in Libano, vuole capire da dove sono arrivate le duemila tonnellate di nitrato d'ammonio che hanno devastato la città.

 

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Chi le gestiva, le spostava. Non guarda in faccia a nessuno. Ha chiesto di interrogare l'ex premier Hassan Diab, sunnita. Il potente capo dei Servizi, Abbas Ibrahim, sciita. E soprattutto il factotum del presidente del Parlamento Berri, Ali Hassan Khalil, che ha rifiutato l'interrogatorio e si è ritrovato sul capo un mandato di cattura. A quel punto i partiti Amal ed Hezbollah sono esplosi. Il segretario generale del Partito di Dio Hassan Nasrallah ha attaccato Bitar in un discorso in diretta tivù e lo ha bollato come «politicizzato».

 

Hezbollah e Amal, e gli alleati cristiano-ortodossi di Marada, hanno chiesto al governo del premier Najib Mikati di bloccare il giudice, ripristinare l'immunità parlamentare. Il governo si è spaccato. Tira aria da guerra civile e la lira è passata in tre giorni da 13 mila per un dollaro a 21 mila.

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Hezbollah e Amal temono soprattutto le indagini sul trio di uomini di affari russo-siriani che ha portato il carico di nitrato di ammonio nel porto. Ma adesso si è passati alle armi. In un comunicato congiunto Hezbollah e Amal hanno accusato Geagea di essere dietro l'agguato, «su mandato straniero», cioè di Usa e Israele. Geagea ha replicato che il problema è il «proliferare di gruppi armati», cioè le milizie legate all'Iran. In serata l'85enne presidente cristiano ha parlato alla nazione e difeso «l'indipendenza della magistratura» e la «libertà di manifestare». Sa che qualcuno vuole alzare il livello dello scontro. Non solo sul fronte sciita, anche fra le falangi. Un gioco molto pericoloso.

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