CHI HA MANDATO I PACCHI BOMBA A ROMA? PER LA PROCURA LA PISTA PIÙ ACCREDITATA È QUELLA DI UNA CELLULA ANARCHICA. PER ORA NON C'E' NESSUNA RIVENDICAZIONE - L’UNICA CERTEZZA E’ CHE A PREPARARE LE BUSTE ESPLOSIVE SIA STATA LA STESSA MANO. NON SI ESCLUDE LA RITORSIONE O IL GESTO DI UN FOLLE - TRE DONNE. TRE VITE DIVERSE. E NESSUN DETTAGLIO CHE APPARENTEMENTE LE UNISCA. LO SCONCERTO DI UNA DELLE DONNE FERITE: “NON CAPISCO IL PERCHÉ, MI SENTO DEVASTATA”

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Michela Allegri per “il Messaggero”

 

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L'unica certezza è che a preparare i pacchi bomba sia stata la stessa mano. Le indagini sono complicate, perché, almeno in apparenza, le tre donne alle quali erano indirizzati plichi esplosivi (due di loro sono rimaste ferite) hanno veramente pochissimo in comune. Per la Procura di Roma la pista più accreditata è quella di una cellula anarchica antimilitarista. Ma l'inchiesta, in realtà, è molto più ampia.

 

LE IPOTESI

Nell'indagine di Digos e Ros, coordinata dal procuratore aggiunto Francesco Caporale dal pm Francesco Dall'Olio, la pista anarchica non ha escluso le altre. Persino la ritorsione o il gesto studiato di un folle non sono esclusi. Anche per la cura dei dettagli. I plichi esplosivi erano stati confezionati con buste gialle commerciali, dimensione A4, regolarmente affrancate. E, soprattutto, su ogni busta era stato indicato un mittente: persone che le vittime effettivamente conoscevano. Il sospetto è che i responsabili dell'attentato abbiano cercato sui social i nomi di possibili amici delle destinatarie, in modo da spingerle ad aprire i plichi.

 

Ieri in Procura si è svolta una riunione tra i pm che ipotizzano i reati di attentato con finalità di terrorismo e lesioni, Ros e Digos. Il timore è che ci siano altre buste incendiarie in circolazione: gli inquirenti hanno avvistato Poste Italiane in modo che i controlli diventino più accurati, in particolare per i pacchi che passano per il Centro di smistamento di Fiumicino, dove domenica sera è rimasta ferita un'impiegata. Un attentato non andato a buon fine: non era lei la destinataria della busta.

 

IL PERITO

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Oltre alla mancanza di legami chiari tra le vittime, un'altra circostanza complica le indagini: è difficile capire cosa ci fosse scritto nelle lettere, completamente distrutte. Il compito di ricostruire il contenuto delle buste verrà affidato a un perito. Intanto sono stati effettuati esami batteriologici. La pista anarchica è la prima su cui sta facendo accertamenti la Procura. Non è arrivata alcuna rivendicazione, ma dietro all'iniziativa potrebbe esserci, spiegano i pm, una frangia «antimilitarista della galassia anarchica».

 

La busta esplosa domenica sera al centro di smistamento era destinata ad una ex dipendete dell'Università di Tor Vergata e il mittente era proprio l'Ateneo dove la donna, prima della pensione, lavorava nel settore amministrativo. I caratteri utilizzati per scrivere gli indirizzi erano uguali in tutti e tre i plichi. Un'ipotesi è che il gruppo eversivo abbia preso di mira non direttamente la donna, ma l'Ateneo, per un accordo siglato nell'ottobre scorso con l'Aeronautica Militare. Identica ipotesi per la donna di 54 anni, ex docente di biotecnologie dell'università Cattolica del Sacro Cuore, a cui è stato spedita la busta a casa, alla Balduina. Dietro l'attentato ci potrebbe essere l'intesa di cooperazione siglata nel dicembre 2017 con una struttura della Nato: il Corpo d'armata di reazione rapida in Italia. Resterebbe però da chiarire la scelta di inviare il plico a una dipendente Inail di 54 anni, che lunedì l'ha ricevuto a casa. L'ordigno utilizzato, artigianale ma ben fatto, non è di un tipo tradizionalmente usato dagli anarchici. Era idoneo a ferire, e non ad uccidere. Un avvertimento, insomma. Oppure una minaccia.

 

2 - NESSUN LEGAME TRA LE VITTIME UNA DELLE FERITE: «PERCHÉ IO?»

Camilla Mozzetti per “il Messaggero”

 

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Tre donne. Tre vite diverse. E nessun dettaglio che - apparentemente - le unisca. Non sono amiche Rosa, Daniela ed Elisabetta, non si conoscono nemmeno, in una città enorme come la Capitale. Non vivono nello stesso quartiere, hanno abitudini diverse. E forse chissà, è pure possibile che si siano anche incontrate in qualche teatro, cinema, supermercato, a bordo di un autobus senza ovviamente riconoscersi.

 

A dividerle sono pure i chilometri tra il domicilio di una e quelli delle altre due. C'è di mezzo un pezzo di Raccordo anulare. Eppure una stessa mano - secondo le prime ricostruzioni degli inquirenti che indagano sul caso - ha confezionato tre pacchi-bomba facendoli poi recapitare alle donne. Forse un pazzo o un anarchico. Le ipotesi sono molte, le certezze molto poche.

 

In due casi le lettere sono esplose nelle mani delle destinatarie e solo Daniela si è salvata perché la busta è esplosa nel centro di smistamento delle poste di Fiumicino. «Non mi so spiegare quello che mi è successo, non capisco il perché, io le altre due signore neanche le conosco, mi sento devastata e voglio solo riprendermi». Da dietro la porta del suo appartamento Rosa, 54 anni, una delle vittime, ha la voce affannata. Le sue mani dopo che la busta ricevuta lunedì pomeriggio le è esplosa a pochi centimetri dal volto, sono fasciate. Anche il collo è fasciato dalle bende.

 

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«Non capisco la ragione», aggiunge con un filo di voce. La busta l'ha aperta perché il nome del mittente era quello di una sua amica e per questo si è fidata. Poi lo scoppio che le ha devastato le mani, ferendole anche il volto. Proprio a lei - dipendente dell'Inail nata in Calabria e residente a Roma da anni, nonna e appassionata di cucina - le è accaduta una cosa che non sa definire e per la quale non trova - né lei né i suoi familiari - una ragione. E lo stesso vale per Daniela un tempo impiegata nel settore informativo - alta formazione e ricerca dell'università Tor Vergata ma in quello di assistenza per i giovani.

 

L'INCREDULITÀ

L'Ateneo ieri non riusciva a crederci che fosse lei una delle donne del mistero dei pacchi bomba. «È una signora mansueta, tranquilla, e fino a che lavorava qui, prima di andare in pensione, era sempre molto attenta e disponibile», ricordano alcuni colleghi. «Non posso dire niente, c'è un'indagine in corso», ha detto senza però riuscire ancora a capire la logica di una storia apparentemente senza senso.

 

La sua busta - il cui mittente recitava proprio l'Ateneo di Tor Vergata - è rimasta bloccata a Fiumicino e lì è esplosa. Mentre la terza vittima - Elisabetta, 68 anni, docente di Biochimica all'università Cattolica Sacro Cuore è attualmente ricoverata per le ferite riportate al policlinico Gemelli. I medici stanno valutando la possibilità di un intervento chirurgico per velocizzare la ripresa della funzionalità delle mani, ferite a causa dello scoppio.

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Alla Balduina - quartiere dove vive da anni insieme al marito - ieri erano tutti sconvolti: «È una coppia - spiega un dipendente del bar sotto la loro abitazione - molto gentile, vengono ogni tanto a fare colazione, tutto pensavamo meno che quel pacco fosse indirizzato alla signora Elisabetta».

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