PaTa per “il Giornale”
Il Covid, con l'aumento del rischio di mortalità determinato dalla pandemia, ha portato a un netto calo dell'aspettativa di vita, interrompendo bruscamente il trend di crescita che si registrava dal 2019. Nel 2020 la speranza di vita alla nascita si è ridotta di 1,2 anni, attestandosi a 82 anni. Più penalizzati gli uomini (79,7 anni) delle donne (84,4 anni). Per osservare un tale valore nelle tabelle dell'Istat bisogna risalire al 2012.
Gli effetti collaterali del Covid hanno impattato pesantemente non solo sulle condizioni di salute degli italiani, ma anche su una serie di fattori economici e sociali facendo calare il tasso di occupazione e crescere il numero dei giovani che non studiano e non lavorano.
L'aggiornamento annuale dell'istituto nazionale di statistica fotografa gli effetti del Covid sulla popolazione e mostra come, soprattutto nelle aeree maggiormente colpite dal virus durante la prima fase dell'epidemia, ci sia stato un abbassamento del livello di sopravvivenza.
Nelle province di Bergamo, Cremona e Lodi, in particolare, la speranza di vita per gli uomini si è ridotta di 4,3 anni rispetto al 2019, in quelle di Cremona e Lodi di 4,5 anni. Segue la provincia di Piacenza, con 3,8 anni in meno. In questi territori è come se le lancette del tempo si fossero fermate al 2003. Si riscontrano ingenti variazioni anche tra le donne (-3,2 anni per Bergamo, -2,9 anni per Cremona e Lodi e -2,8 anni per Piacenza).
«Lavoriamo perché aumenti nuovamente l'aspettativa di vita su tutta la regione», ha detto la vicepresidente e assessore al Welfare della Regione Lombardia, Letizia Moratti, commentando i dati dell'Istat. L'emergenza Covid ha avuto ripercussioni rilevanti anche sul mercato del lavoro, in particolare sui più vulnerabili, come i giovani, le donne e gli stranieri, che già partivano da condizioni più difficili.
Nel 2020 il tasso di occupazione della popolazione tra i 20 e i 64 anni è scesa dal 63,5% al 62,6%. Un calo che ha riguardato maggiormente il nord, più colpito nella prima ondata, anche se l'Istat sottolinea come lo svantaggio del Mezzogiorno rimanga elevatissimo, con un tasso di occupazione al 48% rispetto al 71,5% del nord e al 67,4% del centro. La pandemia ha interrotto un andamento positivo nel mercato del lavoro che tra il 2010 e il 2020 aveva visto il tasso di occupazione aumentare nella maggioranza delle province.
È tornata a salire, dopo anni in cui si era segnalata una contrazione, anche la percentuale di giovani che non lavorano e non studiano (Neet). Nel 2020 ha raggiunto il 23,3% (+1,1 punti percentuali rispetto al 2019).
Un trend accentuato al nord (16,8%) e al centro (19,9%). Il Mezzogiorno, che registra invece una contrazione modesta (-0,4 punti), resta comunque su livelli doppi rispetto al Nord, con circa un giovane di 15-29 anni su tre che non è inserito in un percorso di istruzione o formazione né è occupato (32,6%).