Maria Pirro per “il Messaggero”
«Mio figlio era un compagno di classe del bimbo che si è lanciato dal balcone. E sembrerebbe che anche altri bambini e ragazzi più grandi avessero già sentito parlare di quell' uomo nero con la faccia di Pippo perché almeno altri due adolescenti, dello stesso ambiente, erano stati contattati sui social network da tal Jonathan Galindo, il profilo fake associato al personaggio della Disney. Prima della tragedia, certo».
Essere madre è più difficile ai tempi del web e dei contatti veri ridotti dal Covid-19: «Vorrei dire questo alla donna meravigliosa che conosco e che ora non si regge in piedi: non deve sentirsi in colpa. Come avrebbe potuto rendersi conto dei pericoli? Gli stessi ragazzi non li riconoscono, come dimostra quanto mi hanno appena riferito i miei». Ma la mamma, che è anche una psicologa, è pronta a ripetere il suo racconto davanti agli investigatori, se può risultare utile nell' ambito dell' inchiesta in corso per istigazione al suicidio.
«Ma è sbagliato parlare di suicidio...», spiega lei. «Il bambino era semplicemente in fuga da un pericolo...». E, probabilmente, già da mesi, non era l' unico tra i suoi compagni e amici di Napoli. «Il primo episodio che mi è stato riferito risalirebbe al periodo del lockdown: una ragazzina, 14 anni da compiere, è stata contattata su Instagram». Ecco come.
I PRECEDENTI «So dove abiti», il messaggio ricevuto. «Ma lei, sveglia anche perché di tre anni più grande, gli ha chiesto di indicare esattamente dove. Da quel momento, non è stata più importunata».
L' altro episodio, appena un mese fa. «A riferirlo un altro 14enne, che ha un fratello minore, coetaneo del bambino che è morto. Il più piccolo gli ha detto di essere stato contattato da Jonathan Galindo per sapere come comportarsi. Sempre su Instagram». Risposta? «Di lasciare stare, di non perdere tempo con queste sciocchezze... Altro che sciocchezze» aggiunge la mamma, che non può avere la certezza che dietro lo schermo ci sia la stessa persona, sempre che le indagini confermino quanto in base ai primi messaggi esaminati dopo la caduta nel vuoto.
«Ma quello che manca - ribadisce - è la concezione del pericolo tra i nostri ragazzi che non hanno pensato di dirlo». Ora suo figlio ha paura: «Non vuole andare nemmeno in bagno da solo. Sa tutto: ho preferito affrontare io l' argomento al posto di altri anche se inizialmente con altre mamme avevo concordato di parlare solo di un incidente. Gli ho mostrato i profili fake e ho detto che, fisicamente, nessuno ha quelle sembianze mostruose. Ma il tormento virtuale sarebbe più reale, ovvero diffuso, anche di quanto dicono gli stessi genitori fuori scuola».
Il motivo? «Il timore di essere tacciati come inadeguati. Per non aver vietato i social o controllato abbastanza. Ma una madre e un padre non possono fare più di tanto. Più di quello che in questo caso hanno fatto».
GLI ACCORGIMENTI Quasi tutti cercano di adottare gli stessi accorgimenti: limitare gli account, perché siano solo privati e mai pubblici, escludere funzioni. «Io controllo lo smartphone di mia figlia, ho la sua password, perché a questa età la privacy non può esistere. Lo faccio davanti a lei. Ma internet è una porta di casa, purtroppo aperta, la sera: può entrare chiunque».
«Ma si può fare una cosa del genere?» Incredulità e ingenuità. Tenerezza e terrore. «Mio figlio in mattinata è tornato in classe, dopo il lutto: l' insegnante è stata brava, li ha fatti sfogare. Ma tanti suoi amichetti prima di vivere tutto questo mi hanno detto che avrebbero fatto lo stesso. Sarebbero scappati anche loro, spingendosi giù...»
Adesso non resta che il dolore. Muto, nella notte più buia: «La famiglia comprende il difficile lavoro di tutti gli organi di comunicazione ma, in questo momento di grande dolore, chiede un rispettoso silenzio», è l' appello alla riservatezza rivolto tramite gli avvocati Maurizio Sica e Lucilla Longone, che stanno assistendo la coppia di stimati professionisti napoletani travolti dal dolore. Sabato i funerali.
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