Pierluigi Battista per il “Corriere della Sera”
Per carità, ringraziamo di avere una splendida e operosa città come Bolzano, meritatamente al primo posto nella classifica delle città più vivibili. E nulla sia tolto alla strepitosa fama di gioielli urbani come Cuneo e Treviso, di Sondrio e Parma, Siena e Aosta e tante altre che surclassano Roma, sprofondata apocalitticamente all'ottantacinquesima posizione, e persino Milano, che pure con il suo rinascimentale rilancio si attesta su un mediocre numero cinquantacinque, ma siamo certi che le metropoli siano questo orrore, che soltanto il piccolo è bello? Lindo, ordinato, efficiente, funzionante, curatissimo, ma pur sempre piccolo? Forse Francesco Guccini ha esagerato, ma «piccola città bastardo posto» era proprio così esagerato?
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Un tempo bella era la metropoli. Poi certo, tanti hanno abbandonato il centro per spostarsi un po' fuori, perché si sentivano imprigionati nei fumi mefitici dell'urbanesimo, da qui un sacco di film con le famiglie sub-urbane tipo American Beauty, con il prato davanti casa, le siepi per nascondersi dai vicini, il barbecue, il garage, il canestro per giocare a basket con i figli.
Nanni Moretti si chiedeva in Caro diario cos'è che avesse di così brutto Roma da giustificare esodi e vagheggiamenti tardo-bucolici in direzione Casal Palocco.
Eppure il richiamo della piccola città «vivibile» sembra irresistibile. Anche se non molto tempo fa, diciamo dai tempi del passaggio dell'Italia da Paese agricolo e arretrato a Nazione industriale e gettata dentro i furori galvanizzanti della modernità, era proprio la metropoli ad esercitare un fascino irresistibile. Ora Roma fa un po' pietà, è vero. Ma qualche decennio fa dalla provincia si riversavano a Roma un numero impressionante di persone e di famiglie. Cosa cercavano? A Milano o a Torino cercavano il lavoro nella grande industria.
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Ma a Roma, a Napoli? Cercavano la conferma di quella sentenza che diceva: «L'aria della città rende liberi». Prima dell'esibizionismo di massa dei selfie e di Instagram, cercavano un posto dove nessuno ti controllasse, un posto che garantisse l'anonimato, la libertà dal pettegolezzo e dal controllo sociale. Una terra di opportunità, dove sembrava che dominasse l'atmosfera elettrica delle novità. Un posto dove c'erano tantissimi cinema, di prima, seconda e terza visione, tantissimi teatri, caffè, eventi sportivi, musicali, musei, gallerie. E anche negozi, vetrine scintillanti, il consumo, il benessere.
Ecco, quell'epoca è finita. Nelle classifiche della vivibilità una metropoli, anche se ben amministrata come Milano, ineluttabilmente perde colpi e posizioni. L'ideale del piccolo sembra più smagliante del caos dell'infinitamente grande. Forse, ma solo forse per carità, un po' noioso, ripetitivo, senza grandi ambizioni, ma comunque molto più attraente della straziante invivibilità romana con quelle periferie da incubo, l'immondizia, eccetera eccetera. La metropoli era bella. Rendeva liberi. O almeno, dava questa impressione. Era il futuro, adesso è il passato, al posto numero ottantacinque.