1- ALTRO CHE TUTTI ROTTAMATI, AI PIANI ALTI DEL PD SI GIOCA LA PARTITA DELLE POLTRONE! 2- PERCHÉ IL MAGO DALEMIX NON MOLLA DI UN PASSO SULLA CANDIDATURA? PERCHÉ PUNTA ALLA POLTRONISSIMA DEL QUIRINALE, E CI PUÒ ARRIVARE SOLO DAL PARLAMENTO 3- PERCHÉ BERSANI L’HA SPEDITO AI GIARDINETTI? PER GUADAGNARE PALAZZO CHIGI DEVE SVENTARE IL “COLLE COI BAFFI”: DUE EX COMUNISTI AL COMANDO NON SONO AMMESSI 4- PERCHÉ VELTRONI SE N’È ANDATO NEL TEMPO DI UN SPOT PUBBLICITARIO (AL SUO LIBRO)? HA MESSO GLI OCCHI SU UNA POLTRONA EUROPEA, DA SOFFIARE AL SOLITO D’ALEMA 5- LA LUNGA MARCIA DEI “FIGLI” DI BERLINGUER: COOPTATI AL POTERE 40 ANNI FA, D’ALEMA, VELTRONI, BERSANI, FASSINO, VENDOLA, FINOCCHIARO NON L’HANNO PIÙ LASCIATO

1 - BERSANI VS. D'ALEMA: BAFFINO VUOLE IL SEGGIO PERCHE' PUNTA AL QUIRINALE, CULATELLO VUOLE FARLO FUORI PER ENTRARE A PALAZZO CHIGI
Perché Massimo D'Alema non arretra di un passo sulla sua candidatura, a costo di passare per il notabile attaccato alla poltrona? E perché Culatello Bersani lo manda così a cuor leggero ai giardinetti, mettendo a rischio l'appoggio dell'apparato diessino (fedelmente dalemiano da sempre) alla sua corsa per le primarie? Ecco le voci che circolano nei palazzi romani per spiegare queste mosse che possono sembrare politicamente incomprensibili.

D'Alema vuole tornare a tutti i costi in Parlamento per un motivo molto semplice: l'obiettivo del mago Dalemix è il Colle più alto della politica italiana, la presidenza della Repubblica. Per arrivarci, però, serve un seggio, che vale bene la mobilitazione delle centinaia di firme dei maggiorenti meridionali apparse domenica sull'Unità. E perché Culatello oggi l'ha mandato a farsi benedire con così tanta facilità?

Perché il segretario punta alla presidenza del Consiglio, è risaputo. Ma chiaramente è impossibile che due ex comunisti possano stare al comando, uno al Quirinale e uno a Palazzo Chigi. E allora, che lo scontro fratricida abbia inizio. Anzi, è già iniziato... Il terzo incomodo, Mario Monti, è pronto a occupare la poltrona, delle due, che rimane libera.

2 - VELTRONI PUNTA A UNA POLTRONA UE O A UN SUPER-MINISTERO NEL MONTI BIS...
Scrive Maria Teresa Meli per "Il Corriere della Sera": ‘'Chi lo conosce bene dice che Veltroni ha amato molto il suo lavoro di sindaco, ma che ormai considera chiusa quella partita, a qualsiasi condizione. Piuttosto, l'ex segretario del Partito democratico pensa ad altro. I "suoi" azzardano una previsione: nel caso di un Monti bis, questa volta politico, Veltroni potrebbe andare al governo, in un ministero che accorpi i Beni culturali e la Comunicazione.

Ma questo suo insistere quasi quotidianamente sui temi della legalità e della criminalità organizzata suggerisce un'altra ipotesi: un incarico internazionale in questo campo. Se così fosse, per l'ennesima volta i destini di Walter Veltroni e Massimo D'Alema tornerebbero a incrociarsi. Anche al presidente del Copasir, infatti, piacerebbe lasciare la ribalta italiana, magari per la poltrona di commissario''.

3- PD: D'ALEMA, NON DECIDE BERSANI MA PARTITO...
(ANSA) - "Non decide Bersani ma il partito. Questo prevede lo statuto". Massimo D'Alema torna così sulla sua candidatura ma glissa sulla domanda se chiederà al pd una deroga al limite dei tre mandati.

4- LA LUNGA MARCIA DEI FIGLI DI BERLINGUER, INVECCHIATI AL COMANDO...
Fabio Martini per "La Stampa"


A cose fatte, si potrebbe dimostrare che una certa tendenza alla «gerontocrazia» nella sinistra italiana ebbe la sua origine una quarantina di anni fa: nei primi anni Settanta.
La base del Pci non era convinta della politica del compromesso storico e, per favorire quella svolta, il suo artefice Enrico Berlinguer promosse un profondo rinnovamento della classe dirigente intermedia, il più profondo nella storia della sinistra italiana.

Una massiccia cooptazione che coinvolse tanti giovani (Massimo D'Alema fu collocato alla guida della Fgci, pur non essendone neppure iscritto) e negli anni successivi portò in prima linea una intera generazione, da Walter Veltroni a Pier Luigi Bersani, da Piero Fassino a Nichi Vendola. E una volta conquistata la prima linea, la generazione del compromesso storico non l'ha più lasciata: il gruppo che guida oggi il Pd (ma anche Sel) è lo stesso che è stato reclutato 40 anni orsono. Condannando il partito della sinistra italiana ad un destino unico al mondo: altrove «i nomi dei partiti tendono a conservarsi, mentre i nomi dei dirigenti cambiano», da noi «lo stesso partito continua a cambiar nome, i nomi dei dirigenti restano gli stessi».

E proprio al ceto politico più longevo dell'Occidente è dedicato un libro in uscita per Donzelli, "A vita", scritto da Antonio Funiciello, 36 anni, napoletano, direttore di "Libertà Eguale", cresciuto nell'ambiente "migliorista" della sua città, quello che ha i suoi progenitori in Giorgio Amendola e Giorgio Napolitano.

Libro ambizioso, perché, oltre ad approfondire la ricerca sul Dna del gruppo dirigente del Pd, Funiciello contrappone le virtù di una «cooptazione meritocratica» ed efficace (quella del Pci di Berlinguer, ma anche quella dell'attuale Labour Party inglese), ai vizi di una «cooptazione fidelizzante»: quella che negli ultimi 20 anni ha finito per premiare giovani "abatini" e conformisti, contribuendo a mantenere al potere quelli della generazione precedente.

Esemplare, tra tutte, la parabola di Massimo D'Alema, iniziata in anni nei quali nel Pci «il criterio di merito non prevaricava gli altri ma era decisamente considerato».
Nel 1975, per la guida della Fgci, l'uscente Renzo Imbeni è chiamato ad indicare - come usava allora - il suo successore. E' Amos Cecchi, che però è contrario al compromesso storico. Pregiudizio inammissibile per Berlinguer, che indirizza la scelta su D'Alema, che sposa subito la linea dei "grandi" e lancia anche per i giovani la proposta di un «movimento unitario».

Il capo dei giovani Dc Marco Follini manda al congresso Fgci il suo vice. Pure lui ha un nome che si farà: Pier Ferdinando Casini. Dalla tribuna Pier dirà no a D'Alema, il compromessino storico non si può fare. Era il 1978 e quel no giovanile è la prova che «il balletto tra D'Alema e Casini va avanti da 34 (trentaquattro) anni».

Sul primo numero periodico della Fgci si fa vivo anche il giovanissimo segretario del circolo di Terlizzi, di nome Nichi Vendola. Chiosa l'autore: «Il volenteroso figiciotto invia anche una orribile poesia sulla Resistenza, la cui prima parte sarà pubblicata, mentre la seconda - grazie al cielo - non vedrà mai la luce». Scrive Funiciello: «Si può cambiare mille volte nella vita» ma tra i 25 e i 35 anni si consolida «il modo d'essere» che resta per tutta la vita».

E gli ex ragazzi della generazione Berlinguer hanno introiettato una volta per sempre «la vecchia strategia togliattiana, poi berlingueriana dell'incontro tra (post) comunisti e (post) democristiani», al tempo stesso «sentendosi diversi» dai loro coetanei per effetto della nuova svolta nel frattempo intervenuta, ma soprattutto - ed è la tesi più originale e più forte - sono incapaci di scelte: «La linea d'ombra del comunismo attendeva di essere attraversata» e invece quella linea «non attende più di essere attraversata e attraversa loro: il comunismo, senza avvertire i giovani del compromesso, perde la guerra fredda».

E ancora: quando si apre la successione a Berlinguer, i giovani - D'Alema in testa - scartando altre scelte, si pronunciano per il «vecchio» Alessandro Natta, scelta nobile ma che accelererà la fine del Pci. Sentenzia Funiciello: «Diventare adulti per necessità e non per scelta è il peccato originale della generazione del compromesso storico: questo peccato ammorba ogni loro aspirazione e condanna i figli di ieri a vedersi riconosciuta la patente di padri grazie ad un lasciapassare che ha consegnato loro un messo della storia, in busta chiusa».

 

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