FINCHÉ LA CANOA VA - LE GIUSTIFICAZIONI DELLA IDEM FANNO ACQUA DA TUTTE LE PARTI E LETTA OGGI LA AFFONDA

Mario Giordano per "Libero"

Abitava in una palestra, ma a sua insaputa. Non pagava l'Ici, ma a sua insaputa. Aveva accanto allo scendiletto decine di attrezzi, tapis roulant, cyclette e macchine per lo step, ma a sua insaputa. Aveva due prime case, ma a sua insaputa. Aveva affittato il soggiorno a un'associazione sportiva, ma a sua insaputa. E probabilmente aveva qualche energumeno che faceva i pesi nel suo cucinino, ma sempre a sua insaputa.

È uno spasso leggere la difesa che Josefa Idem, la ministra canoista scivolata sul mattone, ha affidato alla penna intinta nella saliva di Concita De Gregorio: un'intera pagina di Repubblica per spiegare che lei non poteva sapere nulla di nulla della palestra e delle tasse. Il motivo? «Non mi sono mai occupata personalmente di queste cose». E perché? «Perché stavo in canoa».

Ma come abbiamo fatto a non pensarci prima? È evidente: chi sta in canoa, deve vogare. Mica pagare l'Ici. Se poi vince qualche medaglia olimpica, poffarbacco, si guadagna il diritto all'ignoranza assoluta. Possono anche costruirle una palestra in salotto, senza che lei debba esserne per forza informata. Come fate a non capirlo? Se siete rappresentanti di commercio, per dire, anche voi state fuori per buona parte dell'anno, più o meno come chi va in canoa, però mica vi viene in mente di dire «non so nulla della mia casa».

Se voi lavorate in fabbrica, poi magari avete da seguire i figli o la mamma malata, anche voi avete un sacco di impegni, più o meno come chi va in canoa, però mica vi viene in mente di dire «non so nulla della mia casa». A Josefa sì. Lei va in canoa. Anzi, andava in canoa. E dunque come vi permettete di chiederle di pagare le tasse? «È un gioco al massacro», «la tentazione di sporcare un lenzuolo pulito», la chiara dimostrazione della volontà di «farla a pezzi».

COLPA DEGLI ALTRI
Per altro, se mai è successo qualcosa di brutto tra un tapis roulant e l'altro, è chiaro che è tutta colpa del commercialista. O forse del geometra. Quando si dice essere sportivi: la campionessa olimpica nonché "lenzuolo pulito" Josefa è una che sa prendersi le sue responsabilità fino in fondo. E infatti le scarica sul primo che passa: «Delegavo ai tecnici le mie faccende», dice. E poi: «Mi sono affidata a persone che non hanno fatto il mio interesse». Brutti cattivoni.

Sembra uno di quei bambini che viene beccato con le mani nella marmellata: «Non è colpa mia». E di chi? Del gatto. Del cane. Del fratellino. Della sorellina. Di chiunque. Ma soprattutto del geometra o del commercialista che «ancora l'altro giorno a precisa domanda ha risposto che era tutto a posto».

Quasi quasi glielo dico alla mamma, che così lo mette in castigo. Non contenta di aver svicolato dalle proprie responsabilità, questa campionessa di sfacciataggine finisce pure per lamentarsi. Anzi, di più, finisce nel piagnisteo del ministro senza soldi e senza vita privata.

Da quando è entrata nel governo, infatti, ci ha rimesso molto «sul piano della vita affettiva e sul piano economico». Poveretta, come fate a non capire? «Vive lontana dal marito», «vede i figli una volta a settimana», soprattutto non può più «accettare alcuno sponsor». Insomma «guadagna meno e vive peggio».

CHE TORTURA
Ma allora perché non cogliere subito la palla al balzo? Perché non dimettersi in un amen mettendo fine a questa vita di stenti? «Ho pensato di lasciare», ammette. Ci ha pensato. Ma poi ha deciso di no. Guarda un po', a volte, la gente com'è masochista. Ama soffrire. Ma mica perché sia attaccata alla poltrona, macché, che cosa vi viene in mente? Lo fa «per spirito di servizio» e perché «le interessa il progetto».

Si capisce: le interessa il progetto. Alla fine persino Concita De Gregorio ha un sussulto di dignità giornalistica e, in mezzo a colate di piombo e melassa, le obietta con molta cautela: «Hanno scritto che se fosse stata in Germania si sarebbe già dimessa». E lei, il «lenzuolo candido» animato da «spirito di servizio», che fa? Ammette. Ma poi divaga subito. E attacca: «Non posso accettare che venga messa in dubbio la mia onestà». Ma certo: come vi permettete? Non ha pagato l'Ici, ma stava in canoa. Faceva la foto con gli attrezzi in salotto, ma non sapeva che era una palestra.

TESI TRABALLANTI
Chi osa mettere in dubbio la sua onestà? «Ho continuato a usare la vecchia casa sia come palestra sia, in alcune occasioni, come casa mia», balbetta. Ma com'è che quella palestra era gestita da un'associazione, con tanto di sito Internet, istruttori e iscrizioni a pagamento? Josefa non risponde. Anche perché la giornalista di Repubblica si guarda bene dall'insistere.

Si capisce: potrebbe essere sconveniente. E poi lei stava in canoa. E comunque è colpa dei tecnici. «Se ci sono state irregolarità, farò come qualunque cittadino», è costretta infine ad ammettere la Idem di fronte ai fatti grandi come una casa, anzi come una palestra. Qualcuno, però, potrebbe gentilmente spiegarle che un ministro non è un «qualunque cittadino»?

ULTIMA BEFFA
L'intervistatrice non ci pensa neppure, evidentemente: trattasi di impresa inadeguata ai mezzi della De Gregorio. La quale si limita ad abbondare di retorica fuori luogo e esagerata epopea sportiva: «Se in gara ti trovi davanti un ostacolo lo affronti», dice per esempio il «lenzuolo pulito» Josefa con toni degni di un podio olimpico.

Subito dopo annuncia che tornerà nel suo paese, in Germania, per una festa in famiglia. Solo due giorni, però. «Spero che non dicano che sono fuggita». E non si rende conto, poveretta, che nessuno dice che è fuggita, purtroppo. Al massimo in molti lo sperano. Perciò lei saluta tutti assicurando «Vado e torno». Praticamente una minaccia.

 

 

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