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1 - LA PREMIER LEAGUE DI RENZI
Filippo Sensi per "Europa quotidiano"


Il primo punto del faccia-a-faccia di Matteo Renzi con Angela Merkel (e di quelli che probabilmente seguiranno nel giro di accreditamento internazionale del sindaco di Firenze) è che, intanto, l'incontro gli è stato accordato. Al netto delle modalità con cui si è mosso e delle polemiche, prevedibili, che ha scatenato, il fatto è che la Cancelliera tedesca, in pista verso la riconferma di qui a qualche settimana, ha riservato a Renzi una apertura di credito senza precedenti per un leader politico, figurarsi per un primo cittadino seppure di una grande città internazionale come Firenze.

Non, quindi, che l'incontro sia stato chiesto, ma che sia stato concesso, cosa tutt'altro che scontata. E da leggere, da una parte, con la volontà renziana di muoversi quasi in riserva di Stato (polemicamente, Lara Comi ieri parlava di «premier-ombra», per mettere un pizzico di zizzania, ove mai ce ne fosse bisogno, in casa democratica), andando a parlare da pari a pari con i leader europei, e non solo. Ma anche, e converso, con una curiosità ed una attenzione niente affatto formale, in giro per le cancellerie, nei confronti del fenomeno-Renzi.

Tra l'altro, non che questa rete di rapporti internazionali sia nata oggi, basti pensare alle visite oltreoceano del sindaco, da ultimo in occasione della convention democratica di Charlotte. E non a caso sarà proprio l'America, a meno di altri blitz come quello a Berlino, la prossima tappa della tournée mondiale di Renzi che, al solito, va veloce.

Tra fine luglio e inizio agosto è prevista una nuova puntata americana del sindaco, forte, certo, delle buone entrature nella ambasciata Usa a Roma, già con Thorne e a maggior ragione oggi che arriva un suo buon amico come John Phillips. Ma che poggia già sui buoni uffici del giro di Kerry Kennedy, del National Democratic Institute, guidato da Madeleine Albright, da sempre braccio internazionale del partito di Obama, e del Center for American Progress di John Podesta.

A Charlotte, tra l'altro, Renzi aveva avuto occasione di mangiare un boccone con Ed Miliband, un habitué assieme al fratello David - che con Matteo ha una buona chimica personale - delle convention democratiche a stelle e strisce.
Ragion per cui anche l'Inghilterra ci sarà, eccome, nel giro internazionale del sindaco, anche se al momento è la tappa meno abbozzata (Bruxelles, per ora, non è presa in considerazione).

Resta da vedere chi potrebbe incontrare a Londra, Labour a parte: in altri termini, se, nell'ottica dell'accreditamento internazionale, si cercherà o meno un passaggio con l'attuale premier conservatore David Cameron. E se alla fine, dopo tanta insistenza mai andata a buon fine, quell'incontro che Boris Johnson aveva più volte sollecitato ci sarà, a riprova della trasversalità post-ideologica del "sindaco" Renzi.

Che se ne va in Germania a incontrare Merkel, e non perde tempo a vedere i vertici del partito-fratello, la Spd, che pure fino a ieri era stabilmente nell'orbita dei rapporti intessuti dal Nazareno. Quasi a suggerire che si parla con chi conta e conterà in futuro, leggasi Merkel, e non con i cugini socialdemocratici che difficilmente toccheranno palla.

Ce n'è abbastanza, certo, per suggerire permali e insidie, per gonfiare qualche polemica interna (tanto più in vista del congresso); e sicuramente Renzi non si spingerebbe a sostenere che il riformismo della Cancelliera gli potrebbe corrispondere anche di più rispetto all'ortodossia socialdemocratica dei vari Gabriel e Steinbrück.

Ma tant'è che forse l'approccio ai problemi del lavoro della ministra Ursula von der Leyen - si è parlato di competitività e di occupazione, aveva twittato il portavoce della Cancelliera, rispondendo a chi gli chiedeva i contenuti del meeting con Merkel - gli risulterebbe più congeniale, in linea con una Neue Mitte schröderiana che oggi difficilmente si iscriverebbe nelle proposte per il governo della Spd.

Prossima tappa Washington, dunque (e New York, a trovare un altro trasversale come Michael Bloomberg e a fare un po' di diplomazia culturale grazie al biglietto da visita di Firenze). Dove il sindaco può arrivare con facilità al segretario di Stato John Kerry (lì ritroverà anche l'ambasciatore uscente Thorne, legato a doppio filo all'ex-candidato presidente del 2004). A recuperare, magari, quell'incontro mancato con Bill Clinton e a rivedere Hillary, che conobbe qualche anno addietro con Francesco Rutelli. E chissà, a bissare quel faccia-a-faccia che ebbe alla Casa Bianca con Obama, allora in delegazione tra i sindaci, oggi hai visto mai come leader emergente.

Enrico Letta, da premier, si muove con grande nonchalance tra i grandi della terra (oggi è a Londra, dove vedrà Cameron e lo stesso Miliband); se a Matteo riuscisse il colpaccio - ma il suo entourage vola bassissimo al riguardo, per non alzare l'asticella delle attese che, nel caso del vertice sfumato con Clinton, fu deleteria - sarebbe, dopo Merkel, un uno-due davvero formidabile, da premier - già in quel senso - league.

Resta la Francia. Che, dopo la tappa americana, sarebbe quella più delineata nella testa del sindaco e del suo staff. Con qualche problema in più, però. Perché il legame tra il partito socialista francese e il Nazareno è molto, molto solido, non solo con l'attuale segretario, Harlem Desir, ma con lo stesso entourage dell'Eliseo. Tanto che un incontro con Hollande, altrimenti spalancato dall'accoglienza ricevuta da Merkel, potrebbe essere un po' più complicato da scalettare autonomamente.

Il suo gancio più forte a Parigi, neanche a dirlo, è quello del primo cittadino uscente, quel Bertrand Delanoë con cui Renzi ha un rapporto personale da diversi anni. Ma chissà che anche un consigliere influente dell'Eliseo come Aquilino Morelle, grande amante della Toscana dove trascorre spesso le sue vacanze, possa metterci una buona parola per spianare la strada a palazzo del sindaco di Firenze.

Improbabile, tuttavia, che in Francia Renzi possa bissare la diplomazia post-ideologica messa in pratica a Berlino e possibile anche a Londra (dove la relazione con Tony Blair giocherà, comunque, una parte importante). Ci sarà tempo, poi, per il Medio Oriente o per i Bric e la cosiddetta "nuova Europa», più periferica nella agenda molto comunicativa del sindaco. Che lascia scrivere del ruolo che gioca in questo calendario questo o quel consigliere, ma poi, come fa sempre, alza il telefono e si organizza il viaggio da solo.

2 - RENZI FA IL PIENO NEL TOUR IN EMILIA
Simona Poli per "La Repubblica"


Oltre duemila persone sotto il sole impietoso delle sei del pomeriggio invadono la festa del Pd di Carpi per ascoltare Matteo Renzi, e la sera, a Ferrara, il successo si replica. Il cuore rosso dell'Emilia comincia a sciogliersi, il muro di diffidenza nei confronti del sindaco fiorentino sta crollando, è dalle ex terre bersaniane che il leader in pectore inizia la conquista del partito. E lui sa come grattare la pancia ai compagni che lo sentivano un corpo estraneo.

«In parecchi mi guardavano male quando spiegavo che dovevamo attirare i voti dei delusi del centrodestra, adesso però ci tocca trattare ogni giorno con Brunetta e Schifani e capisco che sia dura. Dicono che io ce l'ho con Letta e che Letta ce l'ha con me, ma non è affatto vero.
Se il governo fa le cose per bene io, da cittadino italiano, sono il primo ad esserne contento».

Una frase sulla sopravvivenza dell'accordo dell'attuale maggioranza crea un giallo. "Non credo che l'accordo tra Pd e Pdl durerà molto. Dice Renzi alla platea di Carpi poi fa precisare al portavoce che questo non equivale ad augurarsi la fine del governo.
Ma già dalla segreteria nazionale Alfredo D'Attorre aveva reagito duramente sostenendo che «sottoporre il governo a docce scozzesi quotidiane non è certo il modo migliore per spronarlo a realizzare il programma economico e delle riforme per il quale è nato».

Polemiche a parte, Renzi si preoccupa di far capire come la sua non sia una sfida personale, ma il coronamento di un sogno collettivo: «Noi non ci candidiamo per partecipare ma per vincere e questo deve essere l'obiettivo del congresso, non certo i litigi tra le correnti, questi brutti termini come renziani, veltroniani e dalemiani sembrano malattie. Dobbiamo dare una speranza al paese, la mia non è una rivincita, questa è una nuova partita e non è in gioco la questione dell'uomo solo al comando».

Le regole però, ora come prima, sono importanti e Renzi stavolta chiede primarie aperte. «Trovo sbagliato cambiare le regole, io farei votare anche i sedicenni per dare un bel segnale».
La comunicazione ha le sue leggi, spiega: «Mi dicono che ci sto troppo attento ma se uno ha qualcosa da dire in politica tutto diventa comunicazione, è fondamentale spiegare cosa si vuole fare ed essere capiti... ».

Renzi lo sa e calibra ogni parola del suo lungo intervento applaudito più volte dal popolo democratico di Carpi, dove solo un paio di voci di contestazione si alzano dalla
platea interrompendo le domande rivolte al sindaco dal direttore di Radio Bruno Pierluigi Senatore. Che gli chiede dell'incontro con la Merkel. «Non ci sono andato certo di nascosto, quando incontri il primo ministro di uno Stato straniero lo dici al primo ministro del tuo paese e io l'ho detto a Letta, con cui ho un rapporto quotidiano, un mese fa».
Epifani invece confessa di non averne saputo nulla.

«Io vedo la Germania come principale alleato in Europa e non come un nemico», dice Renzi. «Berlusconi ha utilizzato la Merkel come l'ennesimo alibi per giustificare di non aver fatto quello che doveva. Ma se in Italia se ogni neonato ha sulle spalle 32 mila euro di debito pubblico la colpa è dei nostri politici». Nessuno insomma pensi che Renzi non attacchi il Cavaliere.

«Berlusconi ha governato per vent'anni e non ha fatto nulla di quello che aveva promesso. Quello che non perdono al gruppo dirigente del mio partito è di non essere riuscito a mandarlo a casa vincendo le elezioni, lo abbiamo piazzato sulla sedia di Santoro e lui è tornato in pista».

Ora però si cambia passo. Renzi vuole imporre il suo ritmo. «La situazione è peggiorata, ci sono più disoccupati e più famiglie che non sanno come mangiare. Il Pd ha il dovere morale di offrire una visione e non le solite divisioni interne. E noi siamo anti-De Coubertin, al congresso diremo che vogliamo vincere, non ne possiamo più di partecipare. Né possiamo dare l'impressione di stare insieme per sconfiggere Berlusconi, come se fosse lui il collante che ci unisce». Questo è il vero obiettivo e da qui ricomincia il giro d'Italia.

 

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