QUANDO I GIOVANI SAPEVANO RIBELLARSI - 50 ANNI FA A ALL’UNIVERSITÀ DI BERKELEY SI IMPOSE IL “FREE SPEECH MOVEMENT”, CHE DETTE VITA AL ’68 GLOBALE: “PER TANTI DI NOI IL MURO DI BERLINO È COMINCIATO A CADERE IN QUEGLI ANNI”

Umberto Gentiloni per “la Stampa

 

free  speech  movement  berkeley free speech movement berkeley

«Ribellione nel Campus» titola il 30 settembre 1964 il «San Francisco Chronicle»; ventiquattro ore dopo il «Daily Cal», periodico dell’Università di California: «È guerra a Berkeley»; in pochi giorni la rivolta conquista le prime pagine, irrompe nei notiziari; la più grande università pubblica degli Stati Uniti si scopre d’improvviso inquieta e ribelle. È l’inizio di una nuova conflittualità che dal cuore dei campus americani si spinge oltre il perimetro del sistema formativo.

 

Dal mese di marzo l’autorità accademica aveva posto limiti e divieti alle attività studentesche: iniziative pubbliche studentesche: iniziative pubbliche e manifestazioni politiche potevano turbare il regolare svolgimento dei corsi. Un tavolino all’ingresso principale diventa il simbolo degli studenti: comizi volanti, distribuzioni di volantini e raccolta di firme che chiedono la riduzione delle tasse d’iscrizione.

 

free  speech  movement  berkeley  free speech movement berkeley

Poche settimane e lo scontro si acuisce: ai divieti del rettore seguono proteste e sit-in; nei caffè, nei viali che costeggiano l’università si susseguono incontri e cortei spontanei; da un microfono nella piazza principale Sproul Plaza, si alternano interventi di tre minuti con cui il neonato movimento muove i primi passi comunicando a voce alta idee e slogan.

 

Nasce così nelle turbolente settimane di autunno di 50 anni fa il Free Speech Movement (Fsm); la Bay area di San Francisco diventa laboratorio della nuova sinistra americana. «Per la prima volta non eravamo l’élite privilegiata che poteva permettersi di studiare a lungo, ci sentivamo l’avanguardia di un movimento che voleva cambiare nel profondo la società americana», così John Searle, protagonista di allora, a lungo docente di filosofia nel campus californiano.

 

free  speech  movement  berkeley   free speech movement berkeley

«I divieti erano solo la causa scatenante, noi chiedevamo di poter esprimere liberamente le nostre idee sugli argomenti più diversi, dai libri di testo alla musica rock, dal sesso alla politica del governo. Ma la cosa che ricordo con più piacere è la voglia di stare insieme, di riempire i luoghi dell’università di un senso di comunità che ancora oggi lega molti di noi a questo luogo».

 

Gli ultimi mesi di quell’anno speciale sono segnati da nuove proteste e arresti a catena fino a quando gli studenti non ottengono il riconoscimento della libera espressione fuori e dentro l’università. L’onda non si placa, il simbolo della rivolta scuote convenzioni e luoghi del sapere lungo tutti gli Anni Sessanta; le ragioni più profonde non si esauriscono nella richiesta dei free speeches, della libertà di espressione senza limiti o restrizioni: l’università fa esplodere le contraddizioni vecchie e nuove della società statunitense.

free  speech  movement  berkeley     free speech movement berkeley

 

I luoghi di allora conservano il fascino sbiadito della memoria: nella grande piazza si alternano tre volte alla settimana oratori improvvisati che propongono argomenti e riflessioni e se ci si allontana per poche decine di metri imboccando Telegraph Avenue si arriva a People’s Park un piccolo giardino di proprietà dell’università dove alloggiavano campeggiatori e musicisti incuriositi dalle aspirazioni del movimento.

 

Nel 1966 le autorità accademiche decidono di costruirci un dormitorio e un parcheggio; gli studenti e gli attivisti del Berkeley Peace Brigade oppositori della guerra in Vietnam prendono possesso del parco. Si va allo scontro.

 

Il governatore della California Ronald Reagan invia centinaia di soldati, studenti e forze dell’ordine si affrontano in quello che molti ancora ricordano come il martedì di sangue; oltre cento feriti e una nuvola di fumo, un misto di lacrimogeni e auto bruciate che copre per ore la città. «Il parco non si tocca» è lo slogan unificante; Joan Baez si unisce agli studenti cantando da Sproul Plaza. Oggi è un piccolo angolo della memoria ritrovo abbandonato per homeless che vi si trasferiscono da mezza America in cerca di sostegni e amicizie.

free  speech  movement  berkeley      free speech movement berkeley

 

Harold vive nel parco da decenni, è il padrone di casa, annaffia le piante, custodisce le aiuole sorveglia con orgoglio il museo di foto e murales degli anni d’oro. Per lui l’orologio del tempo è ancora fermo al 1964: «Ho nostalgia della rivolta degli Anni 60, delle tante persone che ogni giorno arrivavano da tante università del Paese, eravamo un simbolo e una speranza per tutti; poi la violenza ha rovinato tutto e la droga ha distrutto anche le menti». I bilanci sono un esercizio complicato.

 

free  speech  movement  berkeley       free speech movement berkeley

Carlos Munoz docente di storia contemporanea a Berkeley va oltre le ricorrenze: «Tra luci e ombre la memoria di 50 anni fa appare lontana anche se è indubbio che le lotte studentesche, il movimento dei diritti civili e il Vietnam hanno cambiato tradizioni e cultura della società americana. E quelle spinte sono giunte fino agli angoli più diversi del pianeta. Dopo il settembre 1964 niente è tornato come prima. L’università era cambiata e, nonostante i nostri tanti errori, era cambiata in meglio.

 

Quella stagione ha lasciato una grande eredità: l’idea di una generazione che non si riconosceva nelle categorie e nelle analisi della guerra fredda. Il rock, la critica all’autoritarismo e di lì a poco la dimensione internazionale della protesta superavano cortine e divieti. Per tanti di noi il muro di Berlino è cominciato a cadere in quegli anni. Siamo stati i figli di un mondo nuovo che oggi ancora non c’è».

 

Nel manifesto degli studenti - conservato nella Bancroft Library - si legge: «Il mondo del 1964 è lo stesso del 1945-46, stessi odi, stesse divisioni, stessi pericoli di guerre. Se non facciamo qualcosa adesso rischiamo di essere in colpevole ritardo».

 

free  speech  movement  berkeley         free speech movement berkeley

Quarant’anni sono il tempo di due generazioni. Il sogno irrealizzato di un’America più giusta vive di nuovi stimoli e interessi. «Questa università è la coscienza viva di una possibile civiltà degli Stati Uniti che, dal bordo dell’oceano può arrivare nel cuore del Paese», così Martin Luther King saluta nel maggio 1967 gli studenti riuniti a Sproul Plaza. Una coscienza inquieta e ribelle fatta di memorie e speranze, ma forse più di ogni altra cosa di un desiderio continuo di guardare avanti.

 

 

Ultimi Dagoreport

giorgia meloni matteo salvini elly schlein luca zaia

C’È UN ENORME NON DETTO INTORNO ALLE REGIONALI IN VENETO E CAMPANIA, E RIGUARDA LE AMBIZIONI DI ZAIA E DE LUCA DI...RIPRENDERSI LA GUIDA DELLE RISPETTIVE REGIONI! - NULLA VIETA AL “DOGE” E ALLO SCERIFFO DI SALERNO DI RICANDIDARSI, DOPO AVER “SALTATO” UN GIRO (GLI ERA VIETATO IL TERZO MANDATO CONSECUTIVO) – IN CAMPANIA PER DE LUCA SAREBBE UN GIOCO DA RAGAZZI: GLI BASTEREBBERO 5-6 CONSIGLIERI FEDELISSIMI PER TENERE PER LE PALLE FICO E POI FARLO CADERE PER RICANDIDARSI. IDEM PER IL "DOGE", CHE PERO' NON AVRA' DALLA SUA UNA LISTA DI "SUOI" CANDIDATI - A CONTARE SARANNO I VOTI RACCOLTI DAI SINGOLI PARTITI NECESSARI A "PESARSI" IN VISTA DELLE POLITICHE 2027: SE FRATELLI D’ITALIA SUPERASSE LA LEGA IN VENETO, CHE FINE FAREBBE SALVINI? E SE IN CAMPANIA, FORZA ITALIA OTTENESSE UN RISULTATO MIGLIORE DI QUELLO DI LEGA E FRATELLI D'ITALIA, COME CAMBIEREBBERO GLI EQUILIBRI ALL'INTERNO DELLA COALIZIONE DI MAGGIORANZA?

emmanuel macron giorgia meloni volodymyr zelensky vladimir putin

DAGOREPORT – MACRON E MELONI QUESTA VOLTA SONO ALLEATI: ENTRAMBI SI OPPONGONO ALL’USO DEGLI ASSET RUSSI CONGELATI IN EUROPA, MA PER RAGIONI DIVERSE. SE IL TOYBOY DELL’ELISEO NE FA UNA QUESTIONE DI DIRITTO (TEME LE RIPERCUSSIONI PER LE AZIENDE FRANCESI, IL CROLLO DELLA CREDIBILITÀ DEGLI INVESTIMENTI UE E IL RISCHIO DI SEQUESTRI FUTURI DI CAPITALI EUROPEI), PER LA DUCETTA È UNA QUESTIONE SOLO POLITICA. LA SORA GIORGIA NON VUOLE SCOPRIRSI A DESTRA, LASCIANDO CAMPO A SALVINI – CON LE REGIONALI TRA CINQUE GIORNI, IL TEMA UCRAINA NON DEVE DIVENTARE PRIORITARIO IN CAMPAGNA ELETTORALE: LA QUESTIONE ARMI VA RIMANDATA (PER QUESTO ZELENSKY NON VISITA ROMA, E CROSETTO NON È ANDATO A WASHINGTON)

edmondo cirielli giovambattista fazzolari giorgia meloni

DAGOREPORT - C’È UN MISTERO NEL GOVERNO ITALIANO: CHE “FAZZO” FA FAZZOLARI? – IL SOTTOSEGRETARIO ALL’ATTUAZIONE DEL PROGRAMMA FA IL TUTTOLOGO, TRANNE OCCUPARSI DELL’UNICA COSA CHE GLI COMPETE, CIOE' L’ATTUAZIONE DEL PROGRAMMA - SI INDUSTRIA CON LE NOMINE, SI OCCUPA DI QUERELE TEMERARIE AI GIORNALISTI (NEL SENSO CHE LE FA), METTE IL NASO SULLE VICENDE RAI, MA NON FA NIENTE PER PLACARE GLI SCAZZI NEL CENTRODESTRA, DOVE SI LITIGA SU TUTTO, DALL'UCRAINA ALLA POLITICA ECONOMICA FINO ALLE REGIONALI – LO SHOW TRASH IN CAMPANIA E EDMONDO CIRIELLI IN VERSIONE ACHILLE LAURO: L’ULTIMA PROPOSTA? IL CONDONO…

trump epstein

DAGOREPORT - CHE FINE HANNO FATTO LE DUE FOTOGRAFIE DI TRUMP CON IN BRACCIO RAGAZZE GIOVANISSIME A SENO NUDO? A WASHINGTON, FONTI BEN INFORMATE ASSICURANO CHE LE DUE FOTO HOT SIANO TRA LE MIGLIAIA DI FILE DI JEFFREY EPSTEIN, ANCORA DA PUBBLICARE - NEI PROSSIMI GIORNI, GRAZIE AL PASSAGGIO DI UNA PETIZIONE PARLAMENTARE FIRMATA DA 218 DEPUTATI DEMOCRATICI, MA AI QUALI SI SONO AGGIUNTI QUATTRO REPUBBLICANI, LA DIFFUSIONE COMPLETA DEI FILE DEL FINANZIERE PORCELLONE, VERRÀ SOTTOPOSTA AL VOTO DELLA CAMERA. E I VOTI REP POSSONO ESSERE DETERMINANTI PER IL SUCCESSO DELL’INIZIATIVA PARLAMENTARE DEM - SE DA UN LATO L’EVENTUALE DIVULGAZIONE DELLE DUE CALIENTI FOTOGRAFIE NON AGGIUNGEREBBE NIENTE DI NUOVO ALLA SUA FAMA DI PUTTANIERE, CHE SI VANTAVA DI POTER “PRENDERE LE DONNE PER LA FIGA” GRAZIE AL SUO STATUS DI CELEBRITÀ, DALL’ALTRO UN “PUSSY-GATE” DETERMINEREBBE UNO DURO SCOSSONE A CIÒ CHE RESTA DELLA SUA CREDIBILITÀ, IN VISTA ANCHE DEL DECISIVO VOTO DI METÀ MANDATO IN AGENDA IL PROSSIMO ANNO...