RIUSCIRà OBAMA A TENERE A BADA HILLARY? - LO SBARACKATO SI RIBUTTA A SINISTRA: ARRIVA LA “REGOLA BUFFETT”, PER COLPIRE I MEGA-REDDITI DEI MILIONARI, CONDITA DA TASSE E TAGLI ALLA SPESA (TREMILA MILIARDI $ IN 10 ANNI) - LA RIVINCITA DELLA CLINTON: MENTRE IL PRESIDENTE AFFONDA, LEI VOLA NEI SONDAGGI (GRADIMENTO AL 64%), E LA BASE DEMOCRATICA SI PENTE DI NON AVERLA ELETTA. LA SUA CANDIDATURA NEL 2012 NON È PIÙ IMPOSSIBILE…

1 - OBAMA: «PIÙ TASSE PER I MILIONARI» - IL PRESIDENTE ACCOGLIE L'IDEA DI WARREN BUFFETT: I RICCHI DEVONO PAGARE...
Massimo Gaggi per il "Corriere della Sera"

Barack Obama mette la bandiera della «tassa sui milionari», già «venduta» alla stampa come «regola Buffett», in cima alla sua proposta di riduzione del debito pubblico e i repubblicani insorgono, accusandolo di voler scatenare una nuova lotta di classe. Più che nuova sarebbe la prima, visto che negli Usa il marxismo non ha mai attecchito.

E la proposta che il presidente presenterà stamattina nel «Rose Garden» della Casa Bianca è tutt'altro che rivoluzionaria: una norma destinata a sostituire la vecchia «alternative minimum tax», concepita molti anni fa per evitare che i ricchi finiscano per non pagare le tasse grazie a sapienti giochi di detrazioni e esenzioni fiscali. Ora il governo la vuole rimpiazzare con una tassa minima da applicare solo a chi guadagna più di un milione l'anno.

Non una nuova aliquota, ma un meccanismo che costringerà i ricchi a versare almeno quanto i ceti a reddito medio (prelievo federale del 25-35%) anche quando i loro guadagni provengono da investimenti o da altri compensi (come i «bonus» erogati a manager e banchieri) sui quali oggi pagano solo il 15%. La stroncatura decretata ieri, davanti alle prime indiscrezioni, dal senatore Lindsay Graham e da Paul Ryan, l'«uomo del bilancio» del partito repubblicano, sembra, dunque, eccessiva e prematura.

Ma Obama se l'è cercata, facendo trapelare la notizia in anticipo e soprannominando il nuovo tributo «regola Buffett», il miliardario democratico che denuncia dal 2007 le distorsioni di un sistema tributario nel quale lui paga mediamente sui suoi guadagni (lavoro più capitale) il 17-18%: molto meno della segretaria e degli altri suoi dipendenti. Una definizione considerata «populista» dallo stesso giornale (il «New York Times») che ha beneficiato dell'anticipazione.

Insomma il presidente - che già nei giorni scorsi aveva proposto di coprire il costo del suo «piano per il lavoro» da 450 miliardi di dollari con un taglio delle detrazioni per i redditi più elevati - ha definitivamente abbandonato la linea della prudenza. Niente più concessioni continue ai repubblicani sperando di far passare le sue proposte con un consenso «bipartisan».

Accusato di non avere una piattaforma precisa, Obama si prepara alla battaglia coi candidati repubblicani che, soprattutto nel caso di Rick Perry, le idee mostrano di averle chiare. Forse anche troppo, come per il sistema pensionistico e sanitario pubblico (per poveri e anziani) che il governatore del Texas vuole ridimensionare drasticamente.

Il presidente si è reso conto che non è possibile riformare davvero la spesa pubblica senza toccare quella sociale: oggi, formulando la sua proposta di riduzione del deficit pubblico di almeno 1200 miliardi in dieci anni, Obama proporrà anche almeno 300 miliardi di dollari tagli alla sanità.

Ma con i sondaggi che danno la sua popolarità ai minimi ha rinunciato a intervenire anche sulla «Social Security» (le pensioni pubbliche) e alza il vessillo delle tasse sui ricchi. Così facendo costringe i repubblicani a un'impopolare difesa di pochi (la tassa-Buffett si applicherebbe allo 0,3% dei contribuenti), mentre al resto del Paese, impoverito dalla crisi, vengono tolte altre risorse attraverso i tagli di spesa.

I repubblicani si difenderanno sostenendo che il problema non è salvare i ricchi, ma evitare di colpire gli unici soggetti che oggi creano posti di lavoro nel settore privato. Sanno, però, che stavolta Obama ha scelto un campo a lui favorevole per dare battaglia: così i leader alla Camera e al Senato Boehner e McConnell respingono le tasse, ma non chiudono la porta al dialogo col presidente.


2 - LA RIVINCITA DI HILLARY SU OBAMA È LEI LA POLITICA PIÙ AMATA D'AMERICA...

Alessandra Farkas per "Corriere.it" - «La figura politica oggi più popolare d'America è la stessa che tre anni fa fu ripudiata dal suo stesso partito: Hillary Clinton». Nel commentare l'ultimo sondaggio Bloomberg, John McCormick non ha dubbi: «L'America oggi è affetta da rimorso del compratore» per aver spedito alla Casa Bianca Barack Obama al posto dell'ex first lady. Quasi due terzi degli americani (il 64%) ha un'opinione favorevole dell'attuale Segretario di Stato e un americano su tre pensa che il Paese starebbe meglio, oggi, se il presidente fosse Hillary.

In un analogo sondaggio realizzato da Bloomberg nel luglio 2010, solo un quarto degli interpellati esprimeva rimorso per la vittoria di Obama su Hillary alle primarie democratiche del 2008. Mentre gli indici di gradimento di Obama crollano ai minimi storici, oggi persino il 39% dei repubblicani afferma che l'America starebbe meglio con Hillary presidente (tra i Tea Party si arriva al 44%).

Se quest'ondata di nostalgia dovesse continuare, a dar retta alla blogosfera, Hillary potrebbe essere costretta dal partito a riconsiderare la decisione di gettare la spugna («le chance che mi ricandidi sono meno di zero», ha dichiarato alla Cnn). Ma da qui al novembre 2012 tutto può succedere.

 

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