'A LUNA ROSSA ME PARLA 'E TE - “LE BARCHE DELL’AMERICA’S CUP SONO TROPPO ESTREME”, L’ALLARME DI PATRIZIO BERTELLI, PATRON DI LUNA ROSSA: “VA A FINIRE CHE NEL 2021 AD AUCKLAND CI RITROVEREMO IN QUATTRO. LE BARCHE NON MI PIACCIONO. LO AVEVO DETTO AI NEOZELANDESI, MA LORO VOLEVANO SCAFI IPERTECNOLOGICI. E’ COMPLICATA SOPRATTUTTO LA PARTE ELETTRONICA. NOI CI STIAMO LAVORANDO DA DUE ANNI…”

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FABIO POZZO per www.lastampa.it

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Patrizio Bertelli non lo nasconde. A lui queste nuove barche di Coppa America, quelle che vedremo nel 2021 ad Auckland, un monoscafo volante e iper-spinto, non piacciono. “Troppo difficili, troppo estreme”. Tanto da sbarrare la strada a quei team che vorrebbero scendere in campo e che probabilmente non ci riusciranno. “E’ complicata soprattutto la parte elettronica. Noi ci stiamo lavorando da due anni…”.

 

 

Siamo a margine della presentazione del team di Luna Rossa, la squadra di 100 donne e uomini a Cagliari e una quarantina a Bergamo nel cantiere Persico per costruire la sesta Luna (il varo il 25 agosto a Cagliari, sì) che stanno andando all’assalto - per Luna Rossa è la sesta volta - dell’America’s Cup. Mi avvicino a patron Bertelli, sotto i pini del Circolo della Vela Sicilia, che dà il guidone alla sesta Luna e che ospita l’evento. Gli chiedo se ha un’idea di quanti saranno i team che lanceranno il guanto della sfida ai kiwi, cercando di fare il possibile per portarde loro via la Coppa, che la detengono dopo averla strappata a loro volta agli americani in quel di Bermuda. “Mah, non so. Alla fine ci ritroveremo in quattro…”, mi dice.

 

Si riferisce ovviamente ai kiwi, a Luna Rossa, ad American Magic del New York Yacht Club e a Ineos Uk di Ben Ainslie. I team, insomma, già noti e già partiti. E gli outsider? Non c’è bisogno di risposta.

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Il team italo-maltese si è ritirato. Mah! Pasquale Cataldi è il ceo e partner di Altus Srl e chairman del board del fondo maltrese BitBull Fund. Altus è una società immobiliare con sedi a Firenze (dove ha comprato parte del Palazzo Guicciardini) e Brescia, che costruisce residenze di lusso e che è stata fondata dal business man italo-messicano Fabio Massimo Covarrubias, l’uomo che negli Anni Novanta cercò di acquistare Gft (che produceva per Armani, Ungaro e Valentino).

 

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Lui, Cataldi aveva avuto un paio di incontri con Renato Azara, il visionario di Adelasia di Torres, l’idea di una sfida sarda alla Coppa. Vanno sentite entrambe le campane: da una parte si dice che volevano comandare il sogno, dall’altra che non era la Coppa il vero obiettivo. Sta di fatto che il deal non quaglia. Cataldi, nel mentre, invia due suoi uomini all’isola di Wight, per l’evento di presentazione dell’America’s Cup, e cerca l’abboccamento con Luna Rossa. L’operazione potrebbe essere quella di diventare una sorta di team non ostile al team italiano, in cambio magari di know-how. Ma non pare abbia quagliato, anche in questo caso. Il manager punta quindi la prua su Malta e ottiene il via libera da Auckland.

 

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La sfida si chiama Malta Altus Challenge, il guanto lo lancia il Royal Malta Yacht Club, il ceo di Team New Zealand dichiara che ora c’è un paese più piccolo della Nuova Zelanda in Coppa, lo stesso Cataldi annuncia che l’obiettivo “è di prendere parte alle prossime tre edizioni dell’America’s Cup”. I soldi, però? Chi doveva metterceli? Il governo maltese? Covarrubias? Bye bye Malta Altus Challenge

 

Saranno meteore anche la sfida degli olandesi, con Simeon Tienpont, veterano della Volvo Ocean Race, e quella degli americani della costa ovest che hanno riesumato il nome di Stars & Stripes che fu di Dennis Conner? I soldi, anzitutto. Ma anche il know-how e il tempo. Ecco il concetto di Bertelli. Queste sono barche difficili, complesse, e non basta avere i pezzi one design, uguali per tutti, messi a disposizione da Luna Rossa (arm-foil) e Neozed (cant system-il sistema che muove gli arm-foil). Quel “alla fine ci ritroveremo in quattro” del patron di Luna Rossa rende l’idea.

 

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Va ricordato che era stato proprio Patrizio Bertelli a volere il ritorno del monoscafo dopo l’era dei catamarani vissuta dalla Coppa a San Francisco e a Bermuda. “Sì, ma io avevo suggerito ai kiwi di scegliere una barca meno estrema di questa. Una sorta di moderno Vor60 (la barca dell’ex Volvo Ocean Race) su cui sviluppare due timoni con alette che considerata anche la pinna l’avrebbero fatta comunque volare, anche se non così tanto. Loro, invece, hanno voluto una soluzione ipertecnologica, hanno insistito…”.

 

Libera traduzione. I neozed sono andati troppo in la, hanno voluto alzare troppo l’asticella, puntando su una barca completamente nuova, ma anche molto estrema, che richiede grande ricerca e messa a punto per capirla e farla correre. E per fare questo servono conoscenze, uomini, tempo (“Questa volta abbiamo il tempo, la tecnologia e il team” ha detto Agostino Randazzo, il presidente del Circolo della vela Sicilia), soldi. Il che mette fuori gioco, o comunque rende molto difficile, l’esordio in Coppa a queste condizioni di un team agli inizi, che non può contare - come ad esempio Luna Rossa - su vent’anni di esperienza.

 

 

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Ne parlo con Francesco Checco Bruni. “L’Ac75 è una barca più difficile dei catamarani. Questi ultimi si alzavano sull’acqua poggiando su quattro punti, no? I due timoni e le due derive. Questi si poggiano solo su tre, i due timoni e l’arm-foil, con l’altro braccio che pesa una tonnellata e che si sporge dallo scafo per 5 metri. Capisci? E’ una questione di equilibrio. Devi inventarti un nuovo modo di navigare e non è semplice. Lo abbiamo visto dopo un anno al simulatore e con le prime uscite in mare con il prototipo (“una goduria, una delle mie più belle giornate di vela della mia vita” dice anche, per inciso). E’ una questione di velocità ed equilibrio, devi trovare la magia”. Checco parla anche di geometria, che rende ancora più per gli addetti ai lavori l’Ac75. “Ancor più dei catamarani di S. Francisco o Bermuda”. Ecco.

 

 

 

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“Ci ritroveremo in quattro”, dice Bertelli. Meglio, peggio? Sicuramente sarà uno scontro tra titani, tutti team fortissimi. Senza team materasso. Vela estrema, sofisticata, ingaggi da paura (gli arm alzati da una tonnellata di peso preoccupano nelle distanze ravvicinate). L’Olimpo, come sempre. Sul quale non c’è posto per tanti.

 

Magari non saranno contenti i neozed, che avrebbero voluto più team a spendere a casa loro. Del resto, hanno voluto alzare l’asticella della difficoltà della nuova barca per mantenere il vantaggio acquisito con il know-how dei catamarani (nessuno crede che abbiamo voluto azzerare tutto e fare in modo di partire tutti dallo stesso punto, dai), magari l’hanno messo anche in conto che non ci sarebbe stata la fila.

 

“Le nuove barche hanno dotazioni, intuizioni che probabilmente verranno sviluppate successivamente anche per il diporto - mi dice ancora Bertelli -. Ma saranno utilizzate su scafi che alla fine saranno più simili a quelli che avremmo voluto noi per la Coppa America…”.

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ps. Detto tutto questo, Luna Rossa darà anima cuore per vincere quella maledetta Coppa America e portarla in Italia, s’intende.

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