COLBRELLI AL BIVIO DOPO IL PROBLEMA AL CUORE: EMIGRARE COME ERIKSEN O MOLLARE TUTTO? CON UN DEFIBRILLATORE SOTTOCUTANEO, LO STESSO INNESTATO AL CALCIATORE DANESE, PER LE REGOLE ITALIANE LA CARRIERA DEL RE DELLA ROUBAIX È FINITA. L’ALTERNATIVA AL RITIRO È PRENDERE UNA LICENZA ESTERA. VALE LA PENA RISCHIARE LA PELLE, DOPO AVER RISCHIATO DI LASCIARCELA SUL CAMPO E SULLA STRADA?

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Riccardo Signori per “il Giornale”

 

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Va tutto bene finché segni il gol, ma se poi inciampi nell'autogol? Sei fantastico se fili in discesa a 100 all'ora, ma se poi buchi una gomma? Sono guai... Pallone e ciclismo ci raccontano due storie simili: due ragazzi in gamba che, da un momento all'altro, si sono ritrovati con un cuore traditore e un bivio da intraprendere. A quel punto una storia di cuore e batticuore. Sonny Colbrelli è un vecchio ragazzo (nel senso sportivo) di 31 anni, professionista da 10 anni, specialista delle classiche in bici.

 

Christian Eriksen ha tenuto avvinto lo sguardo del mondo per decine di minuti nel mezzo di un campo di calcio. Ne è uscito vivo, gli è stato innestato un defibrillatore ed ora è tornato a sgambettare e segnare come nel migliore dei sogni.

 

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Contro il Chelsea dell'amico Lukaku ha realizzato il terzo gol di questa seconda vita calcistica: Christian ha lasciato l'Inter perché le regole sanitarie non gli permettono più di giocare in Italia. Ed allora ci ha riprovato in Inghilterra dove sono più permissivi: gioca nel Brentford e quando la palla è entrata in rete, accompagnata da benevola magia, si è abbracciato Lukaku quasi fosse un compagno di squadra, anziché l'avversario del Chelsea.

 

Come dargli torto? In dieci giorni il pallone gli ha sussurrato che non c'è limite alla speranza: è tornato in nazionale ed ha realizzato due reti, una all'Olanda ed una alla Serbia. Infine questa ciliegina.

 

Eriksen ha lasciato l'Italia per costrizione, ha trovato un club disposto a rischiare con lui. Perché, ed è questo il problema, ogni partita è un rischio, ogni contrasto una scommessa sulla tenuta dell'apparecchio che porta nel corpo.

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Sonny Colbrelli si ritroverà davanti alla stessa problematica e, se vorrà gareggiare, dovrà prendere licenza estera: emigrato, italiano sotto altra tutela sanitaria, altra cittadinanza sportiva. Il defibrillatore, installato dopo l'arresto cardiocircolatorio del 21 marzo, gli permetterà di vivere ma i protocolli italiani impediscono di praticare sport pesanti dal punto di vista cardiaco: come appunto ciclismo e calcio.

 

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Forse l'Italia restringerà il campo dei divieti, ma solo per attività fisicamente meno impegnative. Colbrelli potrà fare l'Eriksen. Ma, per l'uno i contrasti, per l'altro le cadute dalla bici, saranno trappole in agguato. Non sono i primi a cui è successo, non saranno gli ultimi. E siamo alla solita domanda: val la pena rischiare la pelle, dopo aver rischiato di lasciarcela sul campo e sulla strada?

 

Quanti vorrebbero avere una seconda la chance. È così indispensabile vincere la sfida in nome dello sport piuttosto che vincere quella con la vita? Eriksen vivrà pure una favola, ma se finisse in autogol?

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Il bivio è chiaro: scegliere la sfida alla vita o cercarsi altro orizzonte. E come si suol dire: la vita è breve, l'arte è lunga.

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