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QUANDO IL PALLONE FINI’ IN MANETTE – 40 ANNI FA LO SCANDALO DEL CALCIOSCOMMESSE: GLI ARRESTI NEGLI SPOGLIATOI (TRA GLI ALTRI BRUNO GIORDANO, LIONELLO MANFREDONIA DELLA LAZIO; RICKY ALBERTOSI E GIORGIO MORINI DEL MILAN), IL PROCESSO, LE SQUALIFICHE, LE DIMISSIONI DA PRESIDENTE DELLA FIGC DEL GRANDE ARTEMIO FRANCHI, ALL' EPOCA NUMERO 1 ANCHE DELLA UEFA. E PAOLO ROSSI... - L' INCHIESTA ERA NATA DALLE RIVELAZIONI DI UN FRUTTIVENDOLO, MASSIMO CRUCIANI, E DI UN RISTORATORE, ALVARO TRINCA…

Roberto De Ponti per il “Corriere della Sera”

 

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Un' auto della Guardia di Finanza. E un taxi giallo. Quando il 23 marzo 1980, tra una punizione di Zaccarelli al Milan e un gol di Fanna all' Inter irruppe senza preavviso Giampiero Galeazzi, interrompendo Paolo Valenti durante 90° minuto, il calcio italiano perse la sua innocenza.

 

Letteralmente.

 

L' immagine di quelle due auto ferme, in attesa, sulla pista di atletica dello stadio Olimpico al termine di Roma-Perugia (finita 4-0, per gli almanacchi), divenne l' icona del primo grande scandalo del nostro pallone. Il cellulare della Finanza era lì per Luciano Zecchini, Mauro Della Martira e Gianfranco Casarsa, calciatori del Perugia, che vennero scortati fuori dagli spogliatoi in manette e condotti in caserma per essere interrogati. In stato d' arresto.

 

«Avevo appena finito di arbitrare una delle partite più facili che mi fosse capitata quando entrò nella mia stanza Dino Viola, il presidente della Roma, bianco come un lenzuolo» ricorda Paolo Casarin, il decano dei fischietti all' epoca. «Che succede, gli chiesi, avete appena vinto. Mi rispose: "È la fine del calcio, è arrivata la Finanza negli spogliatoi". Prima di andare in aeroporto dovetti chiamare mia moglie e tranquillizzarla: non sono coinvolto, le spiegai. Aveva visto le immagini in tv ed era molto preoccupata».

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Zecchini, Della Martira e Casarsa finirono dunque in manette. E in altri stadi d' Italia la Guardia di Finanza faceva lo stesso con altri giocatori: a Pescara vennero arrestati Bruno Giordano, Lionello Manfredonia, Pino Wilson e Massimo Cacciatori, calciatori della Lazio; a Milano, al termine di Milan-Torino, stessa sorte toccò ai rossoneri Ricky Albertosi e Giorgio Morini. E ancora Guido Magherini (Palermo), Claudio Merlo (Lecce), Stefano Pellegrini (Avellino), Sergio Girardi (Genoa).

 

Poi, a cascata, vennero coinvolti altri calciatori, tra cui Paolo Rossi, Beppe Savoldi, Dossena, Agostinelli e Damiani, e dirigenti vari, in primo luogo il presidente del Milan Felice Colombo. Uno scandalo che portò alle dimissioni da presidente della Federcalcio di Artemio Franchi, all' epoca numero 1 anche della Uefa.

 

I tifosi si risvegliarono scoprendo l' esistenza dei termini totonero e calcioscommesse.

 

E di un' inchiesta nata dopo le rivelazioni di un fruttivendolo, Massimo Cruciani, e di un ristoratore, Alvaro Trinca, che messi in mezzo da Magherini avevano cominciato a perdere centinaia di milioni di lire a causa di soffiate sbagliate su risultati combinati. Inseguito dagli allibratori, Cruciani decise di denunciare tutto alla Finanza, salvo poi ritrattare.

 

Ma l' inchiesta era partita, e alle cinque della sera di domenica 23 marzo 1980 il calcio italiano conobbe le manette.

 

Per paradosso, il procedimento giudiziario si concluse con un' assoluzione generale (a parte una pena pecuniaria per Cruciani) «perché il fatto non sussiste»: la frode sportiva ancora non costitutiva reato. La giustizia sportiva invece non andò troppo per il sottile: Milan e Lazio retrocessi in B, 5 punti di penalizzazione per Avellino, Bologna e Perugia.

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Più una serie di squalifiche durissime: giusto per citarne qualcuna, sei anni a Pellegrini, cinque a Cacciatori e Della Martira, quattro per Albertosi, tre e mezzo per Petrini e Manfredonia. Ne presero tre e mezzo anche Savoldi e Giordano, che oggi affrontano la sentenza in modo diverso. Savoldi: «Avrei troppe cose da dire, sono amareggiato ancora oggi. Mi è mancato il calcio, la mia carriera è stata interrotta per una cosa che non ho cercato io». Giordano: «Ancora oggi, dopo 40 anni, non ho capito perché sono stato condannato».

 

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Venne squalificato per due anni anche Paolo Rossi, quello che al rientro sarebbe diventato l' eroe del Mundial di Spagna. «Ho vissuto come se tutto accadesse a un altro. Ero convinto di essere innocente, non avrei mai immaginato di avere nemmeno un giorno di squalifica», raccontò. E invece. Solo grazie a Enzo Bearzot, che lo volle in azzurro contro tutti, Paolo Rossi divenne Paolorossi, Pablito per tutti. La redenzione, 27 mesi e 19 giorni dopo la domenica più nera del calcio italiano.

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