SE DYBALA, COME HA DETTO TOTTI, VOLEVA LA ROMA PERCHE’ L’AFFARE NON SI E’ CONCRETIZZATO? IL RETROSCENA DI ZAZZARONI: "TIAGO PINTO NON SI E' POTUTO ESPORRE PIU' DI TANTO CON L’ENTOURAGE DELL’ARGENTINO VISTO CHE IL CLUB E' IMPEGNATO NELLA RIDISCUSSIONE CON L'UEFA DEGLI OBBLIGHI IMPOSTI DAL FAIR PLAY FINANZIARIO. IL COSTO IPOTETICO DELL’INGAGGIO DI DYBALA (7 MILIONI A STAGIONE) LA ROMA, OGGI, NON SAREBBE IN GRADO DI SOSTENERLO. I CONTI UCCIDONO I SOGNI…"

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Ivan Zazzaroni per il Corriere dello Sport

 

 

TOTTI DYBALA TOTTI DYBALA

Francesco Totti non vuole parlare di Dybala «perché» spiega «lo so com’è andata, tuttora lo sento. Finita? Sì, è finita. Penso di sì». Ma poi non si trattiene e rivela che «non dipende solo da Paulo, dipendesse da lui ci sarebbe una buona speranza per la Roma». Conclude così: «Mi sono esposto un po’ di più». 

 

Si è esposto tanto, il Capitano. Le sue parole a Roma hanno fatto come sempre molto rumore, procurando perfino qualche imbarazzo. Aveva (ha) un sogno grande: l’arrivo dell’Erede, di un nuovo dieci degno di quel numero, per questo si è reso disponibile a fare addirittura da tramite. Dybala, che inizialmente non voleva sentir parlare della Roma, né dell’Inter, poiché si vedeva soltanto lontano dall’Italia e dalla Juve, a un certo punto ha fatto la bocca all’ipotesi di raggiungere Mourinho e l’ha confidato proprio a Francesco. 

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Com’è andata? È andata così. I due incontri di Tiago Pinto - il primo con Fabrizio De Vecchi, intermediario internazionale voluto da Paulo, e il successivo con Jorge Antun, l’agente-amico dell’argentino con la semiesclusiva per Inter e Barcellona - si sono risolti in altrettante esplorazioni del ds portoghese che, con il club impegnato nella ridiscussione del settlement agreement (FPF), non si è potuto esporre più di tanto. Di numeri non si è mai parlato: solo sensazioni, e sempre al rialzo. Un costo ipotetico (7 milioni a stagione) che la Roma, oggi, non sarebbe in grado di sostenere.

I conti uccidono i sogni. E da noi li uccidono all’alba.

 

Ci stanno togliendo anche quelli per colpa dei bisogni (delle società). A due mesi dall’inizio del campionato non si muove foglia che rosso di bilancio non voglia. Anche il leggendario “valzer delle panchine”, ad esempio, sul quale si riusciva a giocare per settimane, si è trasformato in un lento da Ca’ del Liscio. 

 

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Dodici mesi fa, giorno più giorno meno, Mourinho alla Roma spiazzava stampa e addetti ai lavori (e ai livori), Allegri tornava alla Juve rinunciando al Real Madrid, De Laurentiis sceglieva Spalletti, Simone Inzaghi mollava Lotito, che l’aveva fatto penare per mesi ritardando la discussione sul rinnovo, e andava a sostituire Conte all’Inter, Sarri apriva casa a Formello, Italiano lasciava il contratto con lo Spezia per abbracciare Firenze, De Zerbi partiva per l’Ucraina e a Sassuolo arrivava Dionisi, Juric firmava per Cairo. Pioli, Mihajlovic e Gasperini, tra i big, conservavano lo stesso indirizzo. 

 

Un anno dopo Pioli, Mourinho, Allegri, Spalletti, Inzaghi, Gasperini, Sarri, Juric e Italiano trascorrono le vacanze con la certezza di non essere costretti a fare le valigie ma anche con il dubbio di dover allenare una squadra non troppo diversa dalla precedente: il mercato degli acquisti ristagna, quello delle cessioni (necessarie e salvifiche) è ugualmente bloccato. Giocatori di qualità, costati milioni, come appunto Dybala, Bernardeschi, Insigne e Mertens sono stati serenamente dismessi, il money ha smesso di circolare e le idee sono state accantonate per il timore di doverle realizzare. 

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L’appassionato italiano sta facendo così la fine del passante a digiuno da giorni che, camminando per le vie del centro, si ferma davanti al miglior ristorante della città e schiacciando il naso contro la vetrata immagina odori e sapori. Il miliardo per trattenere Mbappé, gli 80/100 milioni del Real per Tchouaméni, i 100 del Liverpool per Darwin Nunez, gli oltre 300 del City per Haaland sono i piatti più preziosi serviti all’interno di un locale diventato inaccessibile per noi italiani.

 

E non ci consola il fatto che il presidente della Liga Tebas abbia denunciato la violazione del Fair Play Finanziario dei club-Stato (Psg, City). Perché l’istituzione che dovrebbe vigilare sulla corretta applicazione della norma costi-ricavi si volta sistematicamente dalla parte opposta. 

 

La domanda sorge spontanea: i signori che chiedono ogni anno all’appassionato di tirar fuori tanti quattrini per gli abbonamenti tv o allo stadio, quanto pensano che il poveretto possa reggere ancora, di fronte agli scaffali della qualità sempre più desolatamente vuoti?

 

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È vero che il rapporto fra club e tifosi è cambiato da quando Sergio Cragnotti li ribattezzò clienti, ma è altrettanto vero che almeno lui li trattò come tali - il cliente ha sempre ragione - mettendo in tavola (in campo) fior di campioni che arrivarono a un bellissimo scudetto.

 

Adesso - torno ai nomi dei ripudiati - al “cliente” viene sottratto anche il suo pupillo, gli si chiedono soldi e sacrifici a scatola chiusa, rimescolando un mercato risibile con nomi che spesso conosce solo google. Se le uniche novità sono le trovate di Collina, meglio darsi all’applicazione. Se questa è la globalizzazione, prepariamoci al Superflop. Torniamo nelle fabbriche della passione, nell’Italia dei campanili. I campionati cosiddetti minori - vedi quelli di Palermo e Bari - hanno trovato la fonte dell’emozione. 

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Fermate questo mondo, o a scendere saranno in tanti.

 

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