CAFONALINO ARTSPIA - “ART OR SOUND” PIU' CHE UNA MOSTRA, UNA SFIDA PER GLI OCCHI E PER LE ORECCHIE. NELLA“ DIVERSAMENTE MODERNA” BIENNALE DI REM KOOLHAAS, LA FONDAZIONE PRADA TORNA DRITTA AL BAROCCO. E VINCE
Alessandra Mammì per Dagospia
S'ode a destra uno squillo di tromba e a sinistra risponde un canarino meccanico. Ca' Corner della Regina, sede della veneziana Fondazione Prada da ieri, è diventata un' immensa scatola di rumori, suoni, trilli, latrati di cani, voci angeliche, vibrazioni di organi e flauti. Una messa in scena in pieno spirito barocco tra inquietudine e meraviglia.Un futuristico concerto intonarumori che accoglieva ospiti e celebrities. Una sorpresa per tutti.Bella sorpresa.
Perchè si era capito che il White Cube, dittatore di ogni spazio espositivo fino all'altro ieri, se non morto di certo é invecchiato parecchio e che l'arte dei nostri giorni si trova più a suo agio in antichi palazzi, stazioni, garage, parchi, giardinetti, baracche e persino supermercati (Documenta insegna) che tra le algide mura del minimalismo. S'era anche capito che la scoperta del luogo faceva parte del gioco per il visitatore e per l'artista sfidato al confronto con le funzioni del presente o le memorie del passato.
Quello che invece si scopre qui (e per qui s'intende “Art or Sound” curata da Germano Celant a Venezia nel palazzo sul Canal Grande e in coincidenza con l' anti- moderna biennale di Koolhaas) è che si può anche andare oltre la reggia e/o il giardinetto mescolando antico,passato, opere per gli occhi, strumenti per le orecchie, meccanismi,invenzioni e soprattutto ibridi. Oggetti inquieti che non sono strumenti musicali e neanche opere d'arte, ma come le chitarre di marmo del XVI secolo esposte senza corde in tutta la loro lucida meraviglia, sono dei trans che vagano tra la pupilla e il timpano.
In pratica: salita la scalea il visitatore si trova immerso in una folla di trombe che si attorcigliano come animali marini, automi imprigionati in orologi, violini di ferro e carillon, cornetti tenori a forma di serpente con testa di drago ( XVII secolo), ottocenteschi carrettini che portavano un tempo la musica per le strade, grammofoni con petali e cilindri colorati pronti a trasformarsi in canzone.
E in mezzo a tanta meraviglia i metronomi di Dalì, le trombe del giudizio di Pistoletto, i violoncelli Frankestein di Kienholz, l'abbaiar del cane di Mattiacci, gli strumenti fantasma di Rebecca Horn che suonan da soli, la meravigliosa intera e improbabile orchestra degna del Mago di Oz, fatta di latta e oggetti di recupero firmata Robert Rauschenberg, gelosamente conservata al Pompidou e raramente esposta alla vista ( più orecchie) del popolo.
E fin qui il visivo. Ma a questo c'è da aggiungere un paesaggio sonoro che usa i suoni degli strumenti (molti dei quali necessariamente vista l'età e le assicurazioni richieste dai musei prestatori restano per lo più muti), li rielabora, li assembla e li sparge nello spazio che si dilata e si restringe a seconda delle note e di chi- cosa- come le emette. A tratti alcune opere si animano e all'improvviso una dolcissima voce soprano parte da un'angolo di una stanza. Mentre altrettanto all'improvviso suona un telefono, o da una scultura Fluxus ,squilla un allarme.
E per concludere l'esperienza val la pena anche di accettare il rischio e sdraiarsi su lettini di artisti/scienziati che usano il suono per indurre il sonno o dimostrare che può essere trasmesso direttamente nel corpo attraverso le cavità delle ossa senza passare per le orecchie. Vibrazioni che il cervello elabora e trasforma. Provare per credere. Vedere per ascoltare. Ascoltare per capire. Comunque vada più che una mostra un'immersione totale. Da non perdere
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