juve napoli empoli roma

CALCIO DOTTO - "TRA LA JUVE E LE ALTRE C’E’ UN ABISSO: LA SIGNORA VINCE SOPRATTUTTO QUANDO NON LO MERITA (L’ULTIMA, COL NAPOLI), LA ROMA RIESCE A NON VINCERE ANCHE QUANDO LO STRAMERITA (IN TRASFERTA A EMPOLI): ANCHE QUEST’ANNO REGGEREMO L’ABITO DELLA SOLITA SPOSA - I CASI BONUCCI E ALLEGRI: DUE MAMMOLETTE CHE ALLA JUVE DIVENTANO DUE BELVE DA COMBATTIMENTO"

skorupskiskorupski

Giancarlo Dotto (Rabdoman) per Dagospia

 

L’ultima giornata di campionato la dice lunga sull’abisso che divide la Juventus dalla Roma (e da qualunque altra squadra italiana). E spiega bene perché anche quest’anno marciremo nella solita storia e reggeremo l’abito della solita sposa. La Juventus vince sempre, vince soprattutto quando non merita di vincere (l’ultima, in casa con il Napoli), la Roma riesce a non vincere anche quando stramerita di stravincere (in trasferta a Empoli).

 

Non credendo al destino o a una metafisica del nome, proviamo a spiegare, oltre la scontatissima considerazione geo/ambientale di quanto sia più facile focalizzarsi da bipede calciatore a Torino, piuttosto che in una città dispersiva come Roma, dove i tentacoli sono tanti e a ogni tentacolo corrisponde una tentazione e ogni tentazione compensa l’eventuale frustrazione. Detto altrimenti, se fallisci a Torino ti senti una calpestabile merda, se fallisci a Roma il dramma è sempre opinabile, astratto, poiché resta comunque dolce la vita.

higuainhiguain

 

Ventidue anni dopo, questa di oggi resta nell’anima e nei codici la Juventus di Moggi, Giraudo e Antonio Conte. Che all’epoca era solo un mastino da campo ma, da mastino di campo, incorporò più di ogni altro giocatore la matrice Moggiraudesca della ferocia applicata al calcio, che portò alle conseguenze estreme il motto bonipertiano del “vincere non è importante, è l’unica cosa che conta”.

 

Luciano Moggi arriva alla Juve nel ’94, guarda caso dalle morbidezze ponentine della capitale, come “lo stalliere del re che deve conoscere tutti i ladri di cavalli”, copyright Gianni Agnelli. Resterà dodici anni a Torino, il tempo di vincere 7 scudetti, 1 Champions e 1 Coppa Intercontinentale, più non so quante altre coppe sparse e finali perse. Il tempo soprattutto d’iniettare nel mondo bianconero il primo comandamento che vincere non può essere un opzione legata ai capricci ingovernabili del pallone, ma deve diventare un destino.

 

higuain sarrihiguain sarri

La Juventus deve vincere in qualunque modo e, quando si dice “qualunque”, vuol dire qualunque. Così, mentre si consentiva all’Avvocato di continuare a esibire la sua visione dandy del calcio, Moggi e Giraudo facevano il “lavoro sporco”.  I due s’incaricano di far sì che questo “qualunque” non ammetta eccezioni, curano i dettagli, inesorabili, dentro e fuori il campo, tra uffici, corridoi e cellulari. Moggi, in particolare, instaura una dittatura della disciplina ai confini del terrore. Chi “non è da Juve”, i giocatori che non stanno in riga, finiscono in un tableau alle sue spalle, dietro la mega scrivania del suo ufficio allora a piazza Crimea.

 

empoli romaempoli roma

La vittoria diventa destino. Un logo e un logos spietato del mondo juventino. Tutto si allinea. La Juve vince sempre o quasi. Se non sono i giocatori, sono gli arbitri, non necessariamente dolosi. Anche quando sono onesti obbediscono al richiamo del destino. Qualcosa di più sofisticato della banale “sudditanza”. Nel dubbio fischiano pro Juve, anche loro ammaliati dall’imperioso appeal del marchio bianconero. Non possono ammetterlo a se stessi, ma interiormente sanno di essere anche loro soldati al servizio di quel destino. Anche gli avversari si allineano. Scendono spesso già rassegnati in campo. Sanno che in ogni modo la sconfitta è certa. Vedi l’ultima Sampdoria di Giampaolo, che si presenta senza i quattro titolari più importanti.

 

Li si lascia riposare per il match successivo, perché i punti si fanno altrove dove il copione non è scritto a monte. Se non sono i giocatori, gli arbitri (il cui inconscio è ultimamente ridisegnato dagli scandali e dalle nuove tecnologie) o gli avversari, ci si mette la sorte, che sarà bendata ma ci vede benissimo, ed ecco (vedi Napoli) il caso più unico che raro di un difensore nemico che rincitrullisce all’improvviso e s’inventa due assist da oratorio a vantaggio Juve.

 

bonuccibonucci

La costruzione di un destino, ecco quando si dice la “forza di una società”. Chi finisce dentro questa tela, che non è quella di Moggi, subisce uno stravolgimento psichico e antropologico. Un vero lavaggio del cervello. Questo è l’aspetto più impressionante. Due casi tra i tanti. Leonardo Bonucci e Max Allegri. Quando arrivano alla Juve sono due tiepide mammolette.

 

Un viterbese bravino ma anonimo (era Ranocchia, dei due, quello forte al Bari) e un sempliciotto affabile con molti denti e quella furbizia toscana che lo aiuta a navigare in tutti mari. In poco tempo i due si trasformano. Diventano due belve da combattimento. Chi ha conosciuto Allegri al Milan non lo riconosce alla Juve. Ha imparato, nel frattempo, a portare la voce in conferenza stampa, tuonando sulle masse inermi dei giornalisti. Memorabili e comici i suoi siparietti da tarantolato a fine partita, quando la Juve vince quattro a zero e lui dà di matto perché Sturaro perde un pallone.

 

allegri juve napoliallegri juve napoli

Prendi Hernanes, un altro animo mite all’origine, inquadrato più volte sabato in primi piani di purissima ferocia agonistica. Manca ancora il blando Pjanic all’appello, ma è questione di tempo. Tutti gli altri sono imbevuti del dogma juventino, chi da leader, i Buffon, i Chiellini e i Barzagli, prima ancora Cannavaro e Ferrara, chi da gregario. Guardateli una volta fuori dalla suggestione Juve: tornano quello che erano prima, faticano a emergere anche come commentatori televisivi o allenatori della parodia calcistica made in Cina. Cambiano i nomi e le facce, ma restano Moggi, Giraudo e Conte gli autori di questa invincibile Juve.

juventus napolijuventus napoli

 

Contro questa corazzata (l’aggettivo vale quanto il sostantivo) sublimata dal potere fondante del logos uguale destino si battono fragili e ondivaghe navicelle. La Roma degli americani. Fin troppo esplicitamente focalizzati sul business da stadio. Sbranata peraltro da beghe interne, assatanati censori al microfono nell’ora del dilettante, che a Roma dure 24 ore. Tenuta in piedi da un eroe omerico e solitario, quel Luciano Spalletti da Certaldo, uno contro tutti, una specie di Custer romanticamente votato alla sconfitta che, quando le frecce piovono da ogni dove, arriva al punto di testimoniare il suo malessere con lo show teatralmente superbo del cranio più volte flagellato sul tavolo.

 

juve napoli empoli romajuve napoli empoli roma

O il Napoli che non ha la forza di trattenere il suo giocatore migliore e affida le sue sorti a un uomo intelligente ma naif come Sarri, bukowskianamente e provincialmente ossessionato dalla verità, al punto di non rendersi conto che definire affettuosamente il suo “assassino” di giornata, Higuain, come un suo figlio prediletto, sarà anche bello ma è uno sfregio a una città ferita, che invece lo vive, “il prediletto”, come un odioso traditore. 

Ultimi Dagoreport

ravello greta garbo humphrey bogart truman capote

DAGOREPORT: RAVELLO NIGHTS! LE TROMBATE ETERO DI GRETA GARBO, LE VACANZE LESBO DI VIRGINIA WOOLF, RICHARD WAGNER CHE S'INVENTA IL “PARSIFAL'', D.H. LAWRENCE CHE BUTTA GIU’ L'INCANDESCENTE “L’AMANTE DI LADY CHATTERLEY’’, I BAGORDI DI GORE VIDAL, JACKIE KENNEDY E GIANNI AGNELLI - UN DELIRIO ASSOLUTO CHE TOCCO’ IL CLIMAX NEL 1953 DURANTE LE RIPRESE DE “IL TESORO D’AFRICA” DI JOHN HUSTON, SCENEGGIATO DA TRUMAN CAPOTE, CON GINA LOLLOBRIGIDA E HUMPHREY BOGART (CHE IN UN CRASH D’AUTO PERSE I DENTI E VENNE DOPPIATO DA PETER SELLERS). SE ROBERT CAPA (SCORTATO DA INGRID BERGMAN) SCATTAVA LE FOTO SUL SET, A FARE CIAK CI PENSAVA STEPHEN SONDHEIM, FUTURO RE DI BROADWAY – L’EFFEMMINATO CAPOTE CHE SI RIVELÒ UN BULLDOG BATTENDO A BRACCIO DI FERRO IL “DURO” BOGART - HUSTON E BOGEY, SBRONZI DI GIORNO E UBRIACHI FRADICI LA NOTTE, SALVATI DAL CIUCCIO-TAXI DEL RISTORANTE ‘’CUMPÀ COSIMO’’ - QUANDO CAPOTE BECCÒ IL RE D’EGITTO FARUK CHE BALLAVA ALLE 6 DEL MATTINO L’HULA-HULA NELLA CAMERA DA LETTO DI BOGART… - VIDEO + FILM

marina pier silvio berlusconi giorgia meloni antonio tajani quirinale alfredo mantovano

DAGOREPORT - NON CI SARÀ ALCUNA ROTTURA TRA MARINA E PIER SILVIO: NONOSTANTE LA NETTA CONTRARIETÀ ALLA DISCESA IN POLITICA DEL FRATELLINO, SE DECIDESSE, UN GIORNO, DI PRENDERE LE REDINI DI FORZA ITALIA, LEI LO SOSTERRÀ. E L’INCONTRO CON LA CAVALIERA, SOLLECITATO DA UN ANTONIO TAJANI IN STATO DI CHOC PER LE LEGNATE RICEVUTE DA UN PIER SILVIO CARICATO A PALLETTONI, È SALTATO – LA MOLLA CHE FA VENIRE VOGLIA DI EMULARE LE GESTA DI PAPI E DI ‘’LICENZIARE’’ IL VERTICE DI FORZA ITALIA È SALTATA QUANDO IL PRINCIPE DEL BISCIONE HA SCOPERTO IL SEGRETO DI PULCINELLA: TAJANI SOGNA DI DIVENTARE PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA NEL 2029, INTORTATO DA GIORGIA MELONI CHE HA PROMESSO I VOTI DI FRATELLI D’ITALIA. UN SOGNO DESTINATO A SVANIRE QUANDO L’EX MONARCHICO SI RITROVERÀ COME CANDIDATO AL QUIRINALE UN ALTRO NOME CHE CIRCOLA NEI PALAZZI DEL POTERE ROMANO, QUELLO DI ALFREDO MANTOVANO…

giorgia meloni alfredo mantovano francesco lollobrigida carlo nordio andrea giambruno

DAGOREPORT - NON SI PUO' DAVVERO MAI STARE TRANQUILLI: MANTOVANO, IL SAVONAROLA DI PALAZZO CHIGI – D'ACCORDO CON GIORGIA MELONI, PRESA LA BACCHETTA DEL FUSTIGATORE DI OGNI FONTE DI ''DISSOLUTEZZA'' E DI ''DEPRAVAZIONE'' SI È MESSO IN TESTA DI DETTARE L’ORTODOSSIA MORALE  NON SOLO NEL PARTITO E NEL GOVERNO, MA ANCHE SCONFINANDO NEL ''DEEP STATE''. E CHI SGARRA, FINISCE INCENERITO SUL "ROGO DELLE VANITÀ" - UN CODICE ETICO CHE NON POTEVA NON SCONTRARSI CON LA VIVACITÀ CAZZONA DI ALCUNI MELONIANI DI COMPLEMENTO: CI SAREBBE LO SGUARDO MORALIZZATORE DI MANTOVANO A FAR PRECIPITARE NEL CONO D’OMBRA PRIMA ANDREA GIAMBRUNO E POI FRANCESCO LOLLOBRIGIDA – IL PIO SOTTOSEGRETARIO PERÒ NON DORME SONNI TRANQUILLI: A TURBARLI, IL CASO ALMASRI E IL TURBOLENTO RAPPORTO CON I MAGISTRATI, MARTELLATI A TUTTA CALLARA DA RIFORME E PROCURE ALLA FIAMMA...

pier silvio berlusconi silvia toffanin

L’IMPRESA PIÙ ARDUA DI PIER SILVIO BERLUSCONI: TRASFORMARE SILVIA TOFFANIN IN UNA STAR DA PRIMA SERATA - ARCHIVIATA LA FAVOLETTA DELLA COMPAGNA RESTIA ALLE GRANDI OCCASIONI, PIER DUDI HA AFFIDATO ALL'EX LETTERINA DELLE SUCCULENTI PRIME SERATE: OLTRE A “THIS IS ME”, CON FASCINO E MARIA DE FILIPPI A MUOVERE I FILI E SALVARE LA BARACCA, C'E' “VERISSIMO” CHE OCCUPERÀ TRE/QUATTRO PRIME SERATE NELLA PRIMAVERA 2026. IL PROGRAMMA SARÀ PRODOTTO DA RTI E VIDEONEWS CON L’OK DELLA FASCINO A USARE LO “STUDIO-SCATOLA" UTILIZZATA DA MAURIZIO COSTANZO NEL FORMAT “L’INTERVISTA” - COSA C'E' DIETRO ALLE MANOVRE DI PIER SILVIO: E' LA TOFFANIN A COLTIVARE L'AMBIZIONE DI DIVENTARE LA NUOVA DIVA DI CANALE 5 (CON I CONSIGLI DELLA REGINA DE FILIPPI) O È LA VOLONTÀ DEL COMPAGNO DI INCORONARLA A TUTTI I COSTI, COME UN MIX DI LILLI GRUBER E MARA VENIER? 

wang

DAGOREPORT - CICLONE WANG SUL FESTIVAL DI RAVELLO! - PERCHÉ NEGARLO? E' COME VEDERE GIORGIA MELONI COL FAZZOLETTO ROSSO AL COLLO E ISCRITTA ALL’ASSOCIAZIONE DEI PARTIGIANI - YUJA WANG, LA STELLA PIU' LUMINOSA DEL PIANISMO CLASSICO, ENTRA IN SCENA STRIZZATA IN UN VESTITINO DI PAILLETTES CHE SCOPRE LE COSCE FINO ALL'INGUINE, TACCHI “ASSASSINI” E LA SCHIENA NUDA FINO ALL’OSSO SACRO. MA NON STIAMO ASSISTENDO ALLE SCIOCCHEZZE DA DISCOTECA DI CERTE “ZOCCOLETTE” DEL POP IN PREDA A SFOGHI DI TETTE, SCARICHI DI SEDERONI, SCONCEZZE DA VESPASIANO; NO, SIAMO NEL MONDO AUSTERO E SEVERO DEI CONCERTI DI “CLASSICA”: RACHMANINOFF, PROKOFIEV, MOZART, CHOPIN, CAJKOVSKIJ. MA ALLA WANG BASTA UN MINUTO PER FAR “SUONARE” LE COSCE DESNUDE METTENDOLE AL SERVIZIO DELLE EMOZIONI E DELL’INTERPRETAZIONE MUSICALE, CONFERMANDO IN PIENO LE PAROLE DI LUDWIG VON BEETHOVEN: “LA MUSICA È LA MEDIATRICE TRA LA VITA SPIRITUALE E LA VITA SENSUALE” - VIDEO