DOPO LA CHAMPIONS LEAGUE, LA COPPA ITALIA: L’ELIMINAZIONE ALL’OLIMPICO NON HA LO STESSO PESO MA SPORCA IL MOMENTO DEI BIANCONERI E LA LORO SICUREZZA DI ESSERE I PADRONI IN ITALIA

Marco Ansaldo per "la Stampa"

Il campionato è una cosa, le Coppe sono un'altra se la Juve non riesce a restarci dentro. Dopo la Champions League, la Coppa Italia: l'eliminazione all'Olimpico non ha lo stesso peso ma sporca il momento dei bianconeri e la loro sicurezza di essere i padroni in Italia. L'1-0 arrivato quasi in fondo al match, con un tocco sotto porta di Gervinho a difesa ferma, è una piccola rivincita per la Roma ma sacrosanta.

Senza disputare una prestazione stratosferica, con Pjanic in panchina prima di diventare un artefice del successo, i giallorossi sono stati la sola squadra in campo, nella convinzione che ogni obiettivo va inseguito, il che non rientrava nei propositi di Conte vista la formazione cui ha affidato il compito di battersi contro i rivali più significativi della stagione. La Juve se l'è andata a cercare.

Il turnover spinto (e non giustificato con la Roma) non ha premiato le riserve e ha smosciato i titolari, guardando al rendimento di Pirlo, Marchisio, Vidal, degli stessi difensori. Forse l'aver perso con il minimo scarto pur regalando un po' di uomini può essere visto paradossalmente come un'altra prova della superiorità dei bianconeri però è un ragionamento che zoppica: la realtà è che la Juve è fuori dalla seconda competizione delle tre che ha iniziato mentre la Roma si carica di nuove aspettative. L'impresa non avrà una solida ripercussione nella lotta per lo scudetto, comunque è un bel mattoncino nella stagione di Garcia annichilito da Conte a Torino 20 giorni fa.

La Juve è stata sempre in debito, non ha mai tirato in porta se non per il gol annullato all'inizio della ripresa a Peluso sul cross passato, per il guardalinee, oltre la linea di fondocampo. Un episodio isolato nella prestazione meno emozionante di un film danese. A Torino, in campionato, lasciare il gioco in mano alla Roma nei primi 20' fu una scelta vincente di Conte.

Stavolta l'atteggiamento passivo dei bianconeri è stato troppo insistente per pensare che fosse del tutto voluto: va bene restare corti su tre linee ravvicinate, con tutta la squadra in 20 metri, ma abbiamo avuto l'impressione che la Juve rimaneggiata non sapesse fare di meglio. Il primo difetto è stato nell'incapacità di tenere il pallone in attacco sui lanci lunghi dalle retrovie: una cosa è quando sono in campo Llorente e Tevez (entrati nel finale), un'altra è con Quagliarella e Giovinco.

Quei due si sono dannati assai in copertura e Giovinco ha costretto i difensori romanisti a usare le maniere forti, tuttavia non sono attaccanti su cui appoggiare il pallone per far salire l'azione. Anche per una questione di stazza, i rinvii li prendevano sempre gli avversari e l'azione dei bianconeri abortiva senza dare uno sbocco. Così nel primo tempo l'unica chance juventina è nata da una punizione battuta a sorpresa da Pirlo per Giovinco con la Roma sbilanciata.

Benatia ha strattonato il bianconero e Tagliavento l'ha ammonito con un errore tecnico: o ignorava l'intervento (non particolarmente violento) o espelleva il difensore come ultimo uomo. C'era un secondo difetto nei bianconeri, sorvolando su quello endemico di far giocare Isla con l'esito di concedere agli avversari l'intera fascia: sul lato sinistro Maicon e Gervinho (o Florenzi) approfittavano della copertura blanda di Peluso e Marchisio e nel finale del tempo la Juve subiva da quel lato una serie di incursioni concluse con cross bassi e pericolosi.

I romanisti avevano il torto di non fiondarsi sotto porta a cercare la deviazione: con Destro invece di Totti al centro dell'attacco probabilmente la conclusione sarebbe stata diversa e la partita avrebbe avuto un indirizzo più rapido. Sono i dazi da pagare all'intoccabilità delle leggende, una Miticum Tax cui il governo non ha ancora pensato. Ma ci arriverà.

 

 

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