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DONADONI: LA SOSTANZA CONTA PIU’ DELL’APPARENZA - TACITURNO, POCO MEDIATICO, ZERO VITA MONDANA: CON LUI IN PANCHINA IL BOLOGNA VA A PASSO DI CHAMPIONS - PERCHÉ IL MILAN GLI HA SEMPRE PREFERITO COME TECNICI ALTRI EX ROSSONERI?

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Enrico Currò per “la Repubblica”

 

Nemmeno l’imponderabile, la buccia di banana o la cabala partenopea, appare sufficiente a fare cadere stasera la Juventus. Il ponderabile studio del campionato rivela piuttosto che il vero pericolo sta altrove: sulla panchina del Bologna.

 

Da quando la occupa Donadoni, la squadra si è rialzata come Lazzaro e non perché prima fosse un gruppo di lazzaroni: 27 punti in 15 partite, media da Champions. Meglio hanno fatto soltanto Juve, Napoli e Fiorentina.

 

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Eppure il taumaturgo non si accontenta: «Dobbiamo migliorare e proseguire il trend». Il suo, di trend, ha indotto all’autocritica anche gli ex datori poco inclini alla pratica. Cellino, che a Cagliari lo esonerò per capriccio dopo un’ottima stagione prima ancora che cominciasse la seconda, lo voleva al Leeds.

 

De Laurentiis, che al Napoli lo lasciò consumare solingo mentre lui ingaggiava una guerra gelida con l’allora dg Marino, ora lo gratifica di complimenti e spera in un aiuto. Preziosi, che gli affidò un Genoa costruito per la Lega Pro e ripescato in serie B, ammette di essere stato precipitoso nel divorzio.

 

Spinelli, che con un’infelice battuta al Processo del lunedì lo indusse alle orgogliose dimissioni col Livorno sesto in classifica (!) in serie A, lo ha invano corteggiato l’estate scorsa.

 

Altri mancano al nutrito elenco dei pentiti, per cause di forza maggiore. I dirigenti del Lecco, dove nel 2001 in C1 cominciò la gavetta da allenatore dell’ex fuoriclasse di Milan e Nazionale, non possono andare fieri del ricordo: i giocatori non prendevano lo stipendio, lui ne perorò la causa e fu licenziato, poi lo richiamarono e la squadra chiuse decima.

 

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Ghirardi ha altro di cui occuparsi: l’anno scorso condusse alla bancarotta il Parma dopo la qualificazione all’Europa League e Donadoni fu l’ancora del club abbandonato. Abete sa che non fu una buona idea il mancato rinnovo nel 2008 del contratto al giovane ct, scelto (per l’assenza di qualunque ombra su Calciopoli) dall’ex compagno di squadra Albertini, vice di Guido Rossi nella Figc commissariata: era una colpa tantograve l’eliminazione ai rigori, nei quarti di finale dell’Europeo, con la Spagna che inaugurava il proprio ciclo inimitabile?

 

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Otto anni dopo, altri quesiti rimangono insoluti. Indotto da Giovanni Branchini, suo procuratore quando furoreggiava in campo dall’Atalanta alla Coppa Campioni, Donadoni ha provato a togliersi l’angustia: perché il Milan gli ha sempre preferito altri? Berlusconi e Galliani hanno giurato che non c’è alcun pregiudizio.

 

Ma intanto il mancato profeta in patria ha dovuto felicemente espatriare a Bologna con l’affiatatissimo staff (Gotti, Bortolazzi, Andreini, Bucci, Olive, Testa) di un modello di gestione molto internazionale: l’allenatore lavora sulla psiche dei giocatori, non solo su tattica e tecnica. Così sono rifioriti Giaccherini, restituito a Conte, e Destro, forse chissà.

 

Pazienza, se talvolta riaffiora il vecchio ritornello: Donadoni è taciturno, è poco mediatico, non fa vita mondana. In effetti, a quasi 53 anni, passa il tempo libero con la moglie Cristina e la piccola Bianca, 2 anni e mezzo. Però il calcio italiano si sta accorgendo che magari la sostanza conta più dell’apparenza.

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Joey Saputo, il presidente italocanadese che a Casteldebole gli ha chiesto il permesso di entrare nello spogliatoio per salutare la squadra, ha capito che c’è una parola magica per trattenere a Bologna chi una volta vide a Castelvolturno De Laurentiis arringare i giocatori con un libro di tattica in mano e ad Assemini Cellino suonare in ritiro con la sua band e a Collecchio l’improbabile Manenti promettere qualunque cosa, a patto che fosse impossibile. La parola è progetto.

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