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IL MIGLIOR "VIVAIO" DELLA FRANCIA? LA BANLIEUE! LA STORIA DI MBAPPÉ E DEGLI ALTRI 7 NAZIONALI, TRA CUI KANTE' E POGBA, CRESCIUTI IN PERIFERIA: “QUI OGNI SANTO GIORNO C'E' IL PALLONE E NIENT'ALTRO. IL CALCIO AIUTA I RAGAZZI A NON FARE SCIOCCHEZZE” – QUANDO WENGER DISSE CHE PARIGI GENERA PIU’ CALCIATORI DI SAN PAOLO…

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Stefano Montefiori per il Corriere della Sera

 

Come i Quartieri Spagnoli di Napoli hanno il murale di Diego Maradona e la Corniche di Marsiglia quello di Zinedine Zidane, a Bondy, nella banlieue di Parigi, dal settembre scorso la facciata di un palazzo è decorata con l' immagine di Kylian Mbappé.

 

La stella 19enne del Paris-Saint Germain e della Nazionale francese domina l' autostrada A3 e la statale N3, come un «nostro signore dei pendolari» che ogni giorno sorvegli dall' alto gli automobilisti che raggiungono il centro della capitale.

 

Maglia del club, gesto da rapper e slogan: «Bondy, ville des possibles», la città delle possibilità, più che della disoccupazione, delinquenza e estremismo islamico, come vorrebbe lo stereotipo. Mbappé è cresciuto qui, figlio di un istruttore di calcio di origine camerunense e di una campionessa di pallamano di origine algerina, e partendo dai campetti pieni di buche della periferia è arrivato al PSG con il secondo trasferimento più costoso della storia del calcio (180 milioni di euro, dietro a Neymar), e ai trionfi di questi giorni con la Nazionale francese in Russia.

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Il suo caso non è unico, anzi. Qualche anno fa Arsène Wenger, mitico allenatore francese dell' Arsenal, ha detto che «il bacino locale della periferia di Parigi è il migliore al mondo dopo quello di San Paolo del Brasile», e forse negli ultimi tempi lo ha persino superato.

 

La prova sono proprio i Mondiali che si stanno giocando in Russia: oltre a Mbappé che viene da Bondy, gli altri campioni dei Bleus sono Paul Pogba che viene da Roissy, Benjamin Mendy da Longjumeau, N' Golo Kanté da Suresnes, Blaise Matuidi da Fontenay-sous-Bois.

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Ai mondiali del 1986, nessun giocatore dei Bleus veniva dalla periferia di Parigi. Nel 1998, la storica squadra «black-blanc-beur» ne aveva tre - Thierry Henry, Patrick Vieira e Lilian Thuram - e adesso siamo a otto selezionati nella lista dei 23 dell' allenatore Didier Deschamps, più molti dei 29 campioni bi-nazionali che si sono formati in Francia e in Russia vestono la maglia di altre nazionali come la Tunisia o il Senegal.

 

Bondy e le altre città satelliti di Parigi sono una fabbrica di talenti un po' per caso, frutto della densità e varietà della popolazione, del sistema capillare di scuole di calcio, della vicinanza del centro federale di Clairefontaine che scova e promuove i giovanissimi, e soprattutto del fatto che «non c' è molto altro da fare», come ha detto mesi fa Paul Pogba a Simon Kuper, autore del saggio Soccernomics. «Nei nostri quartieri c' è solo il calcio. A scuola o in cortile, tutti giocano a pallone. E questo aiuta i ragazzi a non stare in giro a far niente, o a fare sciocchezze. Ogni santo giorno c' è il pallone. Niente altro».

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La «EDF» (Équipe de France) ha un valore politico molto importante in Francia, i giocatori vengono analizzati come se dovessero dimostrare di essere degni della maglia che portano. Dopo il trionfo mondiale del 1998 e l' utopia di una Francia nera, bianca e araba, vincente perché multietnica, i moti delle banlieue del 2005 hanno infranto il sogno. Ai mondiali del 2010 in Sudafrica il disastro di Knysna: i giocatori scioperano contro l' allenatore Domenech e la Francia si disamora di quei campioni viziati, miliardari maleducati, accusati più o meno velatamente di essere francesi solo sul passaporto.

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Un anno dopo lo scandalo: Mediapart pubblica i verbali di una riunione segreta della federazione, durante la quale l' allenatore di allora Laurent Blanc si dichiarava favorevole a un sistema di quote per limitare la presenza dei bi-nazionali: «Sembra che formiamo un solo tipo di giocatore - disse Blanc - alto, massiccio, potente. E chi sono gli alti, massicci e potenti? I neri.

Gli spagnoli mi hanno detto di non avere problemi, perché loro di neri non ne hanno».

Sembra passato un secolo.

 

Venerdì tutto il Paese guarderà il match dei quarti contro l' Uruguay, affidandosi al «piccolo Obama» Mbappé, elegante e carismatico, e agli altri campioni di periferia.

 

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