carmelo bene romario van basten

UN PALLONE DI BENE (CARMELO) – TORNA IN LIBRERIA IL PIU’ AUDACE DEI LIBRI SUL CALCIO: IL DIALOGO DEL GRANDE ATTORE E REGISTA CON ENRICO GHEZZI – UN ATTO D’AMORE PER IL GIOCO, PER L’UOMO CHE ECCEDE LA QUALITA’, PER VAN BASTEN E ROMARIO (IL PIU’ GRANDE PERCHÉ “CAPACE DEL QUID CHE POI PIÙ CONTA: L'IMMEDIATO”)– LE BORDATE SULL’ITALIA MUNDIAL DEL 1982 E L’INTUIZIONE SULLA VAR. BENE AVEVA COLTO CHE IL CALCIO SAREBBE DIVENTATO UNA FACCENDA SOPRATTUTTO TELEVISIVA…

 

Angelo Carotenuto per il Venerdì-la Repubblica

carmelo bene enrico ghezzi cover

 

Il calcio secondo Carmelo Bene era il venir meno del respiro. Era l' atto. L' immediato.

Era l' ingresso nel disumano. «Questo levar di fiato collettivo. Per quel momento quei centomila all' Olimpico non sono in sé. Non ci sono». Un temporaneo arresto cardiaco, diceva.

 

Non c' è stato in Italia un rappresentante della cultura "alta" più legato di lui al grande carrozzone pop del dio pallone. Forse Pasolini. Ma Bene non era solo legato. Era partecipe. Era omogeneo.

 

Teneva per l' allora Tele+ una rubrica di analisi dotta e di commenti tranchant.

Scriveva di sport per il Messaggero.

 

carmelo bene

Ora torna in libreria per La nave di Teseo il più audace dei libri sul calcio, Discorso su due piedi (pp. 128, euro 11), uscito per Bompiani nel 1998: la trascrizione di una conversazione avvenuta nel marzo del '98 tra Carmelo Bene ed Enrico Ghezzi (che si firmò in copertina a lettere minuscole), a quattro mesi dunque dai Mondiali che sarebbero stati vinti dalla cosiddetta Francia black-blanc-beur, la squadra a cui venne attribuita la facoltà di sanare il trauma del colonialismo, liberare le banlieue dalla rabbia, favorire l' integrazione. La squadra che faceva incazzare Le Pen.

van basten bruno

 

Il calcio secondo Bene era alto oppure altissimo non per le sue implicazioni sociali o politiche. L' epicentro era conquistato dai gesti, oggi diremmo dalla bellezza presi come siamo da questo dibattito sulla supremazia del risultato o dell' estetica. I dubbi non appartenevano a Bene, fermo nella sua idea su chi fosse un campione. Colui che anziché giocare viene giocato. I ballerini. Nel tennis Stefan Edberg, nel basket Michael Jordan, Ray Sugar Leonard nella boxe, Carl Lewis nell' atletica. Quando Lewis saltò quasi nove metri in lungo, Bene racconta di aver preso le misure sulla sabbia, alla Capannina di Viareggio, insieme con l' ex difensore della Nazionale di calcio Francesco Morini: «Dalla sua cabina alla mia: erano otto metri! Bisognava andare ancora più indietro! Fa spavento vedere cosa siano nove metri!».

VAN BASTEN

 

la forma è noiosa Il campione di Bene è l' uomo che eccede la qualità. «La qualità, cioè la forma, è noiosissima». Il cuore dello sport era occupato dai temi comunque a lui cari.

L' assenza e l' altrove, lo sperpero e l' osceno, il degenere (de-genere), che nel nostro caso si manifesta nel rigetto del pattinaggio artistico proprio per via di quell' aggettivo e degli specialisti alla Jury Chechi, che eccelle agli anelli «ed è una frana in tutte le altre discipline».

van basten-urss

 

Bene aveva un dolore. Era lo sport a suo modo a darglielo. «L' emozione, io me la devo andare a cercare nel Brasile, oppure nel rugby neozelandese, ma non posso andare a cercarmela in una sala teatrale. Scherziamo?».

carmelo bene maurizio mosca

 

VAN BASTEN NETHERLANDS

Nella sua appassionata ricerca di qualunque minuscolo tratto potesse portare oltre la scena e la rappresentazione ufficiale di una partita di calcio - l' attimo, il momento - trovava che il più grande di tutti fosse Romario, il centravanti del PSV Eindhoven e poi del Barcellona. Primo: perché era brasiliano. Secondo: perché Romario era fenomenale per davvero. Poi, certo, Carmelo Bene ed Enrico Ghezzi se lo dicevano a modo loro. Impastando la materia pedatoria con il cinema di Antonioni, di Kiarostami e di Atom Egoyan. Il disintenzionato Romario. Lo smaterializzato Romario. Il più grande perché «capace di una cosa, del quid che poi più conta: l' immediato».

VAN BASTEN BERLUSCONI SACCHI

 

Bene lo chiamò Ghiaccio Rovente mentre Ghezzi definì Bene nei suoi gusti mirabilmente ondivago. In realtà aveva una sua coerenza nell' amare «il calciatore orfano» e «senza mondo», il giocatore che ruba il tempo e sa muoversi senza palla. In sostanza: quello che allora si diceva calciatore totale e oggi definiamo moderno. Più Cruijff di Maradona: in odio al virtuosismo «che a me secca».

carmelo bene

 

Quel Falcao dentro la magnifica Roma di Liedholm, oppure Giggs, e molto in cima Van Basten nel Milan olandese di Sacchi: «Uno dei due o tre più grandi di tutti i tempi». Bene sapeva coltivare anche amori autarchici come Nesta, «il miglior centrale del mondo» oppure minori come Olaf Thon, un tedesco di un metro e 70 che seppe diventare libero dopo aver fatto il trequartista.

 

il mondiale dell' 82 La prima idea pubblica del calcio secondo Bene è racchiusa in una indimenticabile intervista rilasciata all' Unità nel giugno 1982, alla vigilia del Mundial che l' Italia di Bearzot avrebbe vinto, a firma di un cinquantaduenne Vittorio Sermonti. Già allora Bene disse di tifare per il Brasile. Annusava l' eliminazione dell' Italia ai gironi per timore del Camerun (e quasi ci prendeva).

 

Sosteneva che la Nazionale di «ragionieri, piccoli esperti, ognuno abbarbicato alle competenze del suo ruoletto» giocasse il peggior calcio del mondo: «Sotto di noi non c' è nessuno». Per questo avrebbe portato ai Mondiali, anziché uno come Antognoni («un campione dell' ovvio, dove lui manda la palla c' è sempre un compagno di squadra e cinque avversari pronti a levargliela») tutta la squadra del Bari allenata da Enrico Catuzzi, a quei tempi assai di moda per il cosiddetto calcio-champagne. Per intenderci: era arrivato quarto in serie B. «Tutt' al più con Castellini in porta. Visto che è il più grande portiere del mondo, se lui non si vergogna troppo». Al posto di Zoff.

CARMELO BENE

 

il var che verrà Perfettamente in linea, il Discorso su due piedi sarebbe arrivato sedici anni più tardi. Bene e Ghezzi sono in certi passaggi così attuali da apparire profetici. Si ponevano la questione della «moviola come arresto, ripetizione, rallentamento, distorsione, cambiamento dei tempi» a proposito degli arbitraggi. La moviola per avvicinarsi a un' esattezza di giudizio. Che cos' è se non un dibattito prima del tempo sull' uso del Var? Bene aveva colto che il calcio sarebbe diventato una faccenda soprattutto televisiva.

 

BISCARDI CARMELO BENE

«Essendo il 99 per cento delle partite mediocri, salvo qualche sprazzo, se ne avvantaggiano in televisione. Tutti coloro che son fermi, tu non li vedi. La televisione ha rilanciato il calcio. Nel bene e nel male. Allo stadio si sta solo per ammirare il giocatore senza palla. Se no una partita allo stadio è noiosissima». Il calcio è degli schermi, diceva, tipo il 38 pollici di casa sua.

 

MOVIOLA IN CAMPO

Ora che i pollici dentro i salotti sono cinquanta e certe volte più; ora che il calcio attraverso i social s' è pienamente imbevuto della cultura del frammento, così cara peraltro al blobbista Ghezzi; ora che il lessico con cui il calcio viene raccontato è quasi sempre fatto di «parole sputate da altri, la loro lingua è un chewing gum usato»; ora che insomma le profezie di Carmelo Bene sono compiute e il calcio dello stupore e del mozzafiato è l' ideologia dominante - viene quasi la tentazione di sospettare che uno come Carmelo Bene sarebbe passato dall' altra parte.

giancarlo dotto e carmelo beneromarioCARMELO BENECARMELO BENEcarmelo bene

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