
SINNER, DA UOMO DELLA PROVVIDENZA A REIETTO DELLA PATRIA – PIROSO SCENDE IN CAMPO IN DIFESA DEL NUMERO 2 DEL MONDO: “VIENE DIPINTO COME UN TRADITORE PER IL NO ALLA COPPA DAVIS CON LA NAZIONALE. MA NEL TENNIS IL TOP PLAYER COME IL CEO DI UN’AZIENDA, INVESTE LE ENERGIE SUGLI OBIETTIVI PIÙ PRESTIGIOSI" – "E GLI ALTI LAI SULLA RESIDENZA A MONTECARLO? CRITICA CONVINCENTE SE NON FOSSE STATA SCRITTA PER GIORNALI I CUI EDITORI, VECCHI E NUOVI, HANNO PORTATO ALL’ESTERO LE SOCIETÀ CAPOFILA DEI PROPRI IMPERI ECONOMICI. E NEI CUI CONFRONTI LE SUDDETTE GRANDI FIRME NON HANNO FATTO UN FIATO” – ZAZZARONI: “LA DECISIONE DI SINNER IN PASSATO LA PRESERO FEDERER, NADAL, DJOKOVIC, MURRAY...”
Dal profilo Instagram di Ivan Zazzaroni
L'approccio romantico nello sport professionistico è anacronistico ormai.
Francamente la sua rinuncia alla coppa Davis, alla nuova Davis, non mi disturba affatto. Dal rapporto costi-benefici Jannik è uscito con una decisione che in passato presero Federer, Nadal, Djokovic, Murray.
E quando sento dire e leggo che per questo è meno italiano, mi viene l'orticaria.
IL TENNISTA È SOLITARIO E NON BATTE BANDIERA
Antonello Piroso per la Verità- Estratti
Da uomo della Provvidenza a reietto della Patria. Appena Jannik Sinner, Giovanni il Peccatore, ha detto: «La Coppa Davis? Grazie, ma anche no», è scoppiato lo sturm und drang mediatico. «Noi ti amiamo, ma tu?» (lui, pare, ha invece una sana passione per i danè, e per la chitarrina di arboriana memoria, dagli torto).
MEME SUL NO DI JANNIK SINNER ALLA COPPA DAVIS - BY 50 SFUMATURE DI CATTIVERIA
(...) Sinner ha osato l’inosabile: si è chiamato fuori dalla Coppa Davis, scelta «dolorosa» presa con il proprio team, aggiungendo poi «l’ho già vinta due volte». Che suonava un po’ come: auguro agli azzurri di portarla a casa una terza volta, dimostrando che non sono poi così indispensabile, anche perché, oh, non è che posso fare tutto io.
Sinner va dove lo porta l’Iban, tipo i sei milioni di dollari per il Six Kings Slam in Arabia Saudita, e il diluvio di spot di cui è testimonial. Poteva prendere il treno ad alta velocità Torino-Milano-Bologna, finite le Atp finals nel capoluogo piemontese, e disputare le gare per la Coppa?
Certo, ma avrebbe sottratto una settimana di preparazione al doppio obiettivo che ha in testa, vincere gli Australian Open e tornare il numero uno al mondo, scalzando dalla vetta Carlos Alcaraz. Che invece alla Davis parteciperà. So what? Buon per lui, se se la sente.
Sinner no. Quindi merita il crucifige? Indubbio talento nel gioco individuale per eccellenza, «inventato dal Diavolo» (così Adriano Panatta), Sinner non è uno sprovveduto. Le polemiche le ha messe in conto. Valutando, credo, pragmaticamente il rapporto costibenefici. Le eventuali reazioni ostili dei tifosi?
Non gliel’ha prescritto il medico di essere tali, tant'è che ci sono italiani che tifano Alcaraz, mio figlio tra loro. E pure quello di Fabio Fognini, che tra il serio e il faceto lo scorso giugno confessò: «Mio figlio Federico è a Wimbledon solo per Carlito», a cui poi - finito quell’incredibile match dove ha tenuto testa allo spagnolo, facendolo sbottare: «Ma come gioca questo?!? Ha 50 anni...», no: ne ha 38 - gli ha chiesto una maglietta autografata proprio per il pargolo. Pretendere di accampare dei desiderata cui gli sportivi dovrebbero conformarsi è da abatini.
ANTONELLO PIROSO - CAVALIERE NERO VIRGIN RADIO
L’attaccamento alla bandiera? Ma per favore: facciamo ottenere la cittadinanza italiana a tamburo battente a chi ci torna utile per il raggiungimento di determinati obiettivi. Per non parlare di quei professionisti che hanno indossato, nel campionato di Serie A, più maglie diverse. Tipo Zlatan Ibrahimovic, una pallina da flipper dalla Juventus, all’Inter e poi al Milan senza colpo ferire.
E gli alti lai per la residenza a Montecarlo? L’ipocrisia non ha risparmiato qualche editorialista che si è esibito nello scorticamento di Sinner, critica convincente se però non fosse stata scritta per giornali i cui editori, vecchi e nuovi, hanno portato all’estero le società capofila dei propri imperi economici. E nei cui confronti le suddette grandi firme non hanno fatto un fiato.
Da ultimo, ho visto molto citato mio «fratello» Panatta, perché nel suo commento sul Corriere della Sera ha scritto: «Io alla Davis non avrei rinunciato». Però, al solito, le riflessioni andrebbero lette sempre per intero.
Infatti ha aggiunto: «Avrebbe senso giudicare gli avvenimenti di oggi, le persone, i loro comportamenti, con il metro di ieri? La Davis era al centro dei nostri programmi, le altre scelte ruotavano intorno a essa.
Oggi non è più così». Certo, «posso dire a Sinner che mi dispiace, che se fossi stato in lui uno sforzo l’avrei fatto, utile anche per tirarsi fuori dalle inevitabili polemiche». Poi, lo smash: «Ma posso dargli torto quando ci dice che l’unica priorità è cominciare bene il 2026 e che una settimana di riposo o di lavoro fa la differenza? Il tennis odierno esige dai tennisti un atteggiamento di adesione completa, quasi di devozione. I giocatori sono i ceo delle aziende che portano il loro nome».
Parole che in bocca al più grande campione di tennis dell’era pre-Jannik, uno che se ne infischiò delle polemiche di quella parte d’Italia che nel 1976 mise alla gogna lui e i suoi compagni per la decisione di giocare la finale di Davis nel Cile del dittatore fascista Augusto Pinochet (scendendo in campo però con la maglietta rossa), per Sinner suoneranno perfino melodiose.
jannik sinner
JANNIK SINNER
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