UN TIKI TAKA È PER SEMPRE (MORTO) – MENTRE SPAGNOLI E ITALIANI FANNO A GARA A BACIARE LO ZAMPONE DI ANCELOTTI, LA STAMPA TEDESCA SBERTUCCIA GUARDIOLA – ‘IL FOGLIO’: ’PRIMA DI SEPPELLIRE IL GIOCO-PENSIERO DI PEP È BENE RICORDARSI CHE IL TIKI-TAKA È ETERNO’

1. CARLO L'UMANO COSÌ HA SEDOTTO L'ANIMA DEL REAL
Enrico Sisti per ‘La Repubblica'

Sami Khedira non gioca da mesi. Martedì sera è rimasto sul divano dell'Hilton sino a tardi: «Ancelotti è il perfezionista più umano e attento al prossimo che abbia mai conosciuto». Si può presumere che in precedenza il centrocampista del Real ne avesse conosciuto uno più concentrato su se stesso (parlava di Mou?). La parola "umano" segue Ancelotti come un'ombra, sale in stanza con lui dopo il "niederlage", dopo la batosta rifilata al Bayern. Pochi sorrisi, ragazzi, che domani si parte e non abbiamo ancora fatto un tubo. Li aspetta una Liga non ancora persa e una finale sicuramente conquistata. Ancelotti eguaglia Lippi e Muñoz con 4 finali disputate e lo aspetta Paisley (3 finali vinte).

Ma intanto firma la prima sconfitta di Guardiola al Bernabeu e dopo 9 partite perse fa vincere il Real Madrid a Monaco. Adesso è mattina presto a Tucherpark. Circondato dai suoi fedelissimi, Florentino Perez racconta di aver dormito poco. Prima di lasciare la Germania, come se suonassero tutti il medesimo spartito, anche il presidente conferma la presenza dell'ombra: «Per la prima volta ho la sensazione che i miei investimenti abbiano avuto una doppia funzione: arricchimento tecnico e umano».

Il patrimonio che la parola "umano" contiene, è un archivio che Ancelotti ha messo insieme da calciatore pluri-decorato, da assistente ct, da campione d'Italia, d'Inghilterra, di Francia e d'Europa. «Apprendeva, sentiva i compagni, amava fare la gavetta: per questo si è ricordato tutto», rammenta Bruno Conti. Assorbiva per istinto, riproduceva col talento. Un uomo in continua evoluzione. Sacchi: «La sua più grande dote sta nel rimanere fedele ai propri principi ma con metodi camaleontici ». C'è odore di paradosso.

Riuscì persino ad assorbire l'indifferenza dell'ambiente madridista quando il suo Real non funzionava per niente. Fra i giocatori regnava l'anarchia, qualche dirigente s'era già pentito di averlo preso e boicottava gli allenamenti. Carlo chiamava gli amici per sfogarsi: «Sembra di stare in una brutta squadra italiana!». Voleva andarsene, si sentiva solo e la stampa lo pestava di parolacce. Poi si fece male Khedira (contro il Milan). Ancelotti chiese a Perez di tornare sul mercato. No, tu vai avanti con quelli che hai. Fu lì che Ancelotti cambiò strategia (e Perez avrebbe cambiato atteggiamento verso di lui).

Ai primi di febbraio prese forma la squadra attuale, una squadra vera, che si vuole bene, baci e abbracci, voglia di condividere. S'inventò Di Maria intermedio, strappò Modric dal suo ruolo di fantasista. «Saremo offensivi ma con l'opzione "contra"». Ossia con la possibilità di lanciarsi in contropiede.

Martedì a Monaco è tornato al 4-4-2, ma adesso è tutto più facile, lo ascoltano, si fidano, sono contenti, ormai accetterebbero di scendere in campo vestiti da Peter Pan: «Ancelotti ha battuto Guardiola sull'interpretazione », prosegue Sacchi. Dopo anni di "galacticos", il Real Madrid di Ancelotti è andato oltre: si può essere "galacticos e universali" al tempo stesso. «Carlo sa gestire giocatori che non hanno il senso del collettivo, li sa mettere nella posizione giusta e nella giusta condizione di spirito per rendere al top. Dopodiché li coinvolge nella causa comune».

Martedì, «facilitato dal Bayern», il Real Madrid ha espresso un calcio totale con giocatori apparentemente inadatti, ma ormai "fratelli in armi". Prima della partita Carlo era tesissimo: «Gli ho detto: stai tranquillo, non c'è squadra al mondo che si rigenera in una settimana ». racconta Sacchi. Dopo era ancora più teso: «Parlavamo di Xabi Alonso (squalificato per la finale, ndr). Carlo mi diceva: è l'unico giocatore che ho senza controfigura, Ronaldo lo sostituisco, Alonso no». Per un motivo o per l'altro, il sopracciglio dell'allenatore "umano", che potrebbe diventare il più grande tecnico italiano di sempre, rimane alzato. «È così», sorride Conti, «se deve preoccupa'...».

2. GUARDIOLA E IL GIORNO PIÙ DURO: ‘COSA HAI FATTO AL NOSTRO BAYERN'
E.Si. per ‘La Repubblica'

Le esequie del tiki-taka non finiranno più. Si divertono in troppi. La stampa tedesca si sbizzarrisce con alcune caricature di Pep e del suo calcio ormai aborrito, alcune veramente di cattivo gusto. In una c'è Heynckes che piange: «Ma che hai fatto alla mia squadra?». In un'altra Guardiola assume i panni di un ballerino ambiguo appoggiato a una pallone da aerobica: «Amo tener el balón!». Che qualcosa non quadrasse, però, che qualcuno dei suoi fosse come annoiato, Guardiola l'aveva avvertito da giorni e forse per questo alla vigilia del Real ha usato la parola "voglia".

«Ma sono stato frainteso: la colpa è solo mia, nella vita ho avuto momenti duri, questo è uno dei più duri». Voci da Barcellona lo vorrebbero di nuovo alla Masia nel giugno del 2015. La soluzione appare utopistica nonostante Cruyff abbia detto: «L'unica salvezza per il Barcellona sarebbe il ritorno di Pep». Certo in Germania Pep dovrà fare i numeri per riconquistare chi fino a un mese fa lo esaltava e adesso lo paragona a un'acrobata che finisce a testa in giù, un Guardiola cappottato: «Runter von Gipfel».

Oppure: «Hanno ammaccato il Messia!». Esagerazioni che fanno audience. Come ha ricordato Ancelotti: «Ma quale morte del calcio di Guardiola...». Vanno addirittura a ripescare Hoeness (condannato a 3 anni di reclusione): «Era lui la voce critica, lo stimolo». Certo, i numeri sono inquietanti. Il Bayern ha perso 4 partite ad aprile, aveva impiegato 2 anni per collezionarne altrettante. A Guardiola rimane il possesso palla. Ma dovrà effettuarlo alla velocità di prima. E da subito: il 17 a Berlino c'è la finale di Coppa di Germania contro il Dortmund. Se perde pure quella il tiki taken diventerà una barzelletta.

3. ELOGIO FUNEBRE DEL TIKI TAKA
Da ‘Il Foglio'

Basta sentirla raccontare dal suo migliore interprete, Xavi del Barcellona, "ricevo la palla, passo la palla, ricevo la palla, passo la palla", per capire perché il tiki-taka è davvero inviso a tanti. Piace a chi lo pratica, ma a quelli che guardano, al seicentesimo passaggio in orizzontale magari gli girano le palle e si mettono a sognare il calcio cosiddetto inglese, più ritmo, montaggio più nervoso. C'è dunque qualcosa di liberatorio nel modo in cui l'universo mondo ha accolto l'altra sera il trionfo del Real in casa del Bayern, e il tracollo di quel Pep Guardiola che del tiki-taka fu profeta in Catalogna.

Come sempre noi italiani siamo lestamente andati in soccorso del vincitore, di mezzo c'era lo zampone di Carlo Ancelotti, che non sarà Mourinho, non metterebbe mai un autobus a difesa della porta ma è pur sempre uno dei nostri, uno che maneggia concetti come equilibrio, difesa, contropiede. Ma la sconfitta non ha ucciso il tiki-taka. Il tiki-taka è per sempre. Perché è difficile da fare ma semplice da spiegare, le parole di Xavi le capisce anche un bambino.

E' arma potente in fase difensiva, più a lungo tieni la palla e minori sono i rischi che l'avversario possa fare gol. E' la risposta del povero al ricco, del sud al nord, è l'uomo mediterraneo, piccolo e spesso gracile che, in attesa che maghrebini e colored africani vengano a dargli una mano, vuole arginare lo strapotere fisico-podistico di gaelici, sassoni e ungro-finnici.

Certo per vincere non basta passarsi la palla, occorrono fior di piedi. Al Bayern non li hanno, i tre davanti tutti assieme valgono una scarpa di Messi. Ma non si dica che a vincere con Messi, Xavi e Iniesta sarebbero stati capaci tutti, perché non è vero. Perché il tiki-taka è prima di tutto pensiero. E' il mix tra qualità degli uomini e stile di gioco che ha portato quel Barcellona a dominare il mondo per cinque anni, strapotere irridente e per questo forse irritante. Ma prima di seppellire il tiki-taka è bene ricordarsi che è eterno.

 

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