“LE RAGAZZE PENSANO CHE USCIRE SEMINUDA SIA UNA SCELTA, MA NON LO È MAI. ASSECONDANO LA FANTASIA MASCHILE” – LA BASSISTA SUZI QUATRO, PRIMA DONNA A GUIDARE UNA ROCKBAND DI SUCCESSO (AL MASCHILE), DA’ UNA LEZIONE ALLE TURBO-FERMINISTE CHE STARNAZZANO CONTRO IL PATRIARCATO: “SI PUÒ AVERE SUCCESSO SENZA MOSTRARE IL PROPRIO CORPO. HO PRESO A CALCI NELLE PALLE PIÙ DI UN UOMO. C'È STATO SOLO UNO CON CUI NON HO POTUTO ARRABBIARMI: ANGUS YOUNG DEGLI AC/DC DOPO CHE MI DIEDE UN PIZZICOTTO SUL SEDERE” – “RE CARLO MI DISSE: ‘HAI LE GAMBE PIÙ BELLE DAI TEMPI DI TINA TURNER’, MI LIMITAI A…” - VIDEO

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Estratto dell’articolo di Francesco Chiamulera per www.corriere.it

 

Sul palco del Palladium di Londra indossa la mitica tuta di pelle nera con la zip che si mise per la prima volta nel 1973, d'accordo con il suo boss Mickie Most, per promuovere la hit roca ed elettrica Can the Can. Allora aveva ventitré anni, oggi ne ha settantaquattro. Pubblico in visibilio. È sempre […] Suzi Quatro che salta a destra e a manca della scena con «il diavolo in sé», con un basso Fender Jazz a tracolla più grande di lei, come in quell'inizio anni Settanta londinesi.

 

La ragazza del rock ha compiuto sessant'anni dall'ingresso nella musica: era il 1964 quando, quattordicenne, cominciò a suonare professionalmente sulla scena rock della sua Detroit, Michigan. Non ha più smesso.

 

[…] Ha all'attivo 55 milioni di dischi venduti, diciannove album, centinaia di tour in tutto il mondo, è stata premiata nel 2020 come Icon Award dal Women's International Music Network.

 

È la prima donna ad essere stata alla guida di una rock band di successo (tutta di uomini, tra l'altro), con la sua piccola, energetica figura, che all'inizio si attirò lo scherno maschilista e paternalista di chi la vedeva, vulcanica, con quel basso gigantesco. Le parliamo su Skype a margine del concerto al Palladium, parte di un tour di cinque tappe nel Regno Unito.

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[…] È cominciato tutto con suo padre.

«Esattamente. Era anche lui musicista. Avevo sedici anni, suonavo in gruppi da quando ne avevo quattordici. Siamo tornati a casa da un concerto, io e due delle mie sorelle, eravamo in una band con un nome da far rizzare i capelli a qualsiasi mamma cattolica, come la nostra: The Pleasure Seekers. Figurati. Mio padre mi prende da parte e mi dice: "Voglio parlarti". Ok. "Dimmi se sbaglio, ma sembra che tu stia per fare questo per il resto della tua vita". E io: "Hai proprio ragione".

 

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Lui: "Ok. Allora ho due cose da dirti, due consigli: prima di tutto, questo è il tuo lavoro, quindi prendilo sul serio, va bene? E poi: non importa se hai un pubblico di dieci o diecimila persone, ognuno di loro ha pagato per vederti e tu glielo devi". Queste parole sono diventate per me la Bibbia di ogni spettacolo. Ecco perché sono molto con i piedi per terra: è il mio lavoro. È quello per cui sono nata».

 

Ha sempre rifiutato di farsi etichettare. Soprattutto negli anni Settanta, quando molte cantanti aderivano al femminismo militante. Una scelta controcorrente.

«Controcorrente? Stai scherzando? Era inaudito. Ma per fortuna era il mio atteggiamento allora, ed è ancora lo stesso. Non mi considero una musicista donna. Sono una musicista. E se hai un problema con questo, sono fatti tuoi. Sono sempre stata la stessa. Un po' più un maschiaccio».[…]

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[…] In una canzone del suo ultimo album, The Devil In Me , canta: «Facciamo tutti errori, sono stata anche io in quel buco nero». Qual è stato?

«Quando mi sono trasferita in Inghilterra. Durissimo. Ho lasciato la famiglia, la band, tutti. La mia casa confortevole, la mia bella vita. A Londra ho vissuto in una stanzetta minuscola con un letto minuscolo, senza bagno e senza nessun successo, per diciotto mesi. È stato il periodo in cui sono stata più sola in tutta la mia vita. Piangevo fino ad addormentarmi. Ma non ho pensato neanche per un secondo di tornare a Detroit. Non volevo tornare finché non avessi avuto un successo. È arrivato, nel '74 sono tornata e ho fatto un tour trionfale».

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[…] È entrata nella musica in un'epoca in cui non era facile per una donna suonare, scrivere e cantare. Com'è oggi?

«Non so quanto sia cambiato. Voglio dire, se cerco mentalmente qualcuno come me, è difficile trovare un nome, uno solo. È tutto ancora molto sessualizzato, le ragazze si vestono quasi nude e pensano così di fare una scelta. Non stanno facendo nessuna scelta. Stanno assecondando la fantasia maschile, cosa a cui sono contraria. Io non ho mai mostrato nulla.

 

Potevo avere una tuta di pelle, ma non si vedeva niente. Quando parlo alle ragazze che vogliono entrare nel mondo della musica, dico loro: prima di tutto, se vuoi prendere in mano uno strumento, suonalo. Non giocarci. Suonalo. E la seconda cosa che dico loro è: non devi essere mascolina per reggere il confronto con gli uomini. Non devi farlo. Puoi farti valere lo stesso».

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Ha mai dovuto difendersi da uomini che si sono approfittati di lei?

«Ho preso a calci nelle palle più di un uomo. L'ho fatto. Ne ho schiaffeggiato uno, ne ho preso a pugni un altro. Succede a volte, sai? Succede perché i ragazzi ti guardano, sei piccola e pensano di farla franca. Ma c'è stato solo un ragazzo con cui non ho potuto arrabbiarmi: Angus Young degli AC/DC. Eravamo a uno show televisivo e stavamo salendo le scale e lui mi ha pizzicato il sedere.

 

Mi sono girata con due occhi così e ha cambiato immediatamente atteggiamento, mi ha guardato e ha detto: "Mi dispiace, scusami, non ho potuto resistere". Ho detto: "Ok, sei fortunato. Sei l'unica persona a cui la faccio passare, non farlo mai più". Ha risposto: "Non lo farò". Mi è sembrato sincero, che l'avesse fatto senza neanche pensarci».

 

Re Carlo, all'epoca principe di Galles, si complimentò per le sue gambe.

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«Stava incontrando tutti alla fine di uno spettacolo. Non essendo inglese, io non dovevo inchinarmi o altro. Intendo, non è il mio principe né il mio re. Aspettavo di sentire cosa avrebbe detto. Arrivato il mio turno, mi ha chiesto se fosse stato difficile lavorare allo spettacolo. Ho risposto di sì, perché non sono una ballerina di tip tap e ho dovuto imparare. Poi ha parlato d'altro e, mentre si allontanava, mi ha detto: "Hai le gambe più belle dai tempi di Tina Turner". La cosa che mi fa morire, a ripensarci, è che mi limitai ad arrossire come una bambina».

 

[…] È vero che suo padre ha dato un pugno a Chuck Berry?

«Sì, ma stavolta non c'entro io. Cioè, non direttamente. Eravamo a Buffalo, New York, nel 1967, con le mie sorelle della band. Facevamo da spalla a Chuck Berry. Siamo salite sul palco, poi è arrivato lui, ha fatto il suo spettacolo. Eravamo tutti nel camerino quando Chuck è sceso dal palco e c'era una delle mie sorelle, molto bionda e carina, con un seno prosperoso.

 

Lui l'ha guardata e, per scherzo, l'ha afferrata e buttata sul divano. Mio padre è entrato proprio in quel momento, l'ha preso per il bavero e gli ha dato un pugno. Ho rivisto Chuck Berry negli anni Novanta e gli ho ricordato quell'episodio. Mi ha detto che se lo ricordava bene. Eh eh».

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In Italia si fa vedere di quando in quando, l'ultima volta al festival di Bolzano. Qual è il suo rapporto con il nostro Paese?

«Be', intanto sono per metà italiana. Il mio cognome è Quatro. Il mio bisnonno veniva da Sulmona e si chiamava Michele Quattrocchi. A nove anni è emigrato in America e a Ellis Island gli hanno tagliato il nome. Mi sento molto a casa in Italia, fa parte del mio sangue. Roma è probabilmente la mia città preferita al mondo: ovunque vai trovi bellezza, e storia». […]

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