LO SPETTACOLO LOGORA CHI NON CE L'HA - ARTHUR MILLER: "PERCHE' I LEADER POLITICI DI TUTTO IL MONDO SANNO CHE PER GOVERNARE DEVONO SAPER STARE SUL PALCOSCENICO" (MA ALLORA SILVIO BANDANA HA SOLO CONFUSO IL SISTINA COL BAGAGLINO?)
Da La Repubblica
I presidenti americani e l´arte di recitare nasce come discorso di ringraziamento per la medaglia annuale del National Endowment for the Arts. Arthur Miller lo pronunciò in una sala stipata quando erano vive le polemiche per le elezioni vinte (o secondo alcuni rubate) da Bush. Sembrava , commenta Miller stesso nella prefazione, dopo il blocco dello scrutinio dei voti, di aver assistito ad un golpe militare, ma la stampa non reagì più di tanto. Sei mesi dopo il discorso di Miller, il presidente del National Endowment for the Arts fu rimosso dall´incarico, forse perché era stato nominato da Clinton.
Il volumetto, da cui anticipiamo alcune pagine, uscirà il 22 settembre da Bruno Mondadori (pagg. 96, euro 7)
I PRESIDENTI CHE SANNO RECITARE
dI Arthur Miller (Traduzione di Elena Dal Pra)
Farò alcune osservazioni sui politici in quanto attori. Dal momento che alcuni dei miei amici più cari sono attori, non mi permetterò di dire nulla di male sull´arte della recitazione. La realtà è che recitare è inevitabile, appena mettiamo piede fuori di casa e ci immergiamo nella società. In questo momento anch´io sto recitando; di certo non sto parlando come se fossi seduto nel mio soggiorno. Non è una novità il fatto che veniamo mossi più dalle nostre reazioni ghiandolari di fronte alla personalità d´un leader e al suo modo di presentarsi, che dai suoi programmi o dalle sue caratteristiche morali.
Per milioni di loro sostenitori, dopotutto, molti dei quali accademici d´alta levatura intellettuale, Hitler e Stalin erano uomini di profonda moralità, portatori di verità nuove. È vero che i dittatori emergono nelle società in declino, e che l´autorizzazione a dominare viene loro concessa e non si procurano il potere grazie al loro mero talento di uomini di spettacolo. Ma si può affermare qualcosa di simile anche a proposito d´attori abbastanza fortunati da lavorare in spettacoli teatrali o film che appaiono al momento giusto, invece che in vecchie storie logore o al contrario troppo inedite per il pubblico.
Aristotele pensava che l´uomo fosse per natura un animale sociale, e in effetti veniamo mossi dalle rappresentazioni - ossia dalla recitazione - più di quanto chiunque ami soffermarsi a pensare.
Il mistero del leader come uomo di spettacolo è vecchio quanto il mondo, ma nella nostra epoca la televisione ha prodotto nella sua natura un cambiamento quantitativo; una delle cose oggi più strane in milioni di esistenze è che individui normali sono circondati, per non dire assediati, dalla recitazione come mai prima nella storia. Per ventiquattr´ore al giorno tutto quello che passa in televisione è interpretato o diretto da attori in veste di conduttori e conduttrici, pettinature incluse.
Forse adesso per molte persone la forma di esperienza più coinvolgente consiste nelle loro transazioni emotive con gli attori, molto più intense che con le persone reali. Per anni i giornalisti si sono divertiti un sacco con l´incapacità di Reagan di distinguere i film che aveva visto da eventi reali a cui aveva partecipato, ma in questo come in molto altro lui incarnava l´incertezza comune di una persona che ha così spesso a che fare con l´arte della recitazione.
La persistenza di questa condizione è di qualche rilevanza? Non so trovare un modo per dimostrarlo, ma a me sembra che quando si è circondati da una massa tanto insistente di professionisti così consapevolmente costruiti, per molte persone diventi sempre più difficile distinguere la realtà. È vero che viviamo nell´epoca dell´intrattenimento, ma è poi buona cosa che la nostra vita politica, per esempio, sia così profondamente governata da meccanismi dello spettacolo, dalla tragedia al vaudeville alla farsa?
Mi ritrovo a chiedermi se questa dieta ininterrotta di emozioni costruite, recitate, e di idee precotte non costringa in maniera sottile il nostro cervello non solo a confondere la fantasia con il reale, ma anche ad assimilare questo processo nei nostri personali meccanismi sensoriali. Queste ultime elezioni ne sono un esempio. È ovvio che la nostra vita deve andare avanti, ma sembra che veniamo invitati a comportarci come se non fosse accaduto nulla di così insolito e come se la nostra vita democratica non avesse subito alcun danno, per esempio rispetto alla nostra rivendicazione del diritto di istruire altri paesi sulla maniera di condurre elezioni giuste.
Così, surrettiziamente, anche noi siamo indotti a diventare attori. Dopotutto, lo spettacolo deve continuare, anche se il pubblico adesso è obbligato a partecipare alla recita. Inutile aggiungere che continueremo a insegnare agli altri come contare i voti, ma intanto agli orecchi altrui l´autorevolezza della nostra voce si è in qualche modo indebolita, e si è rafforzato il cinismo rispetto al nostro proporci come modello di democrazia. O forse no. Forse ha senso pensare che la nostra memoria trattenga molto poco, con tutta la paccottiglia che il fiume dell´informazione ci scarica addosso.
I leader politici di tutto il mondo hanno capito che per governare devono imparare a recitare. Proprio come qualsiasi attore. Al Gore a quanto pare è passato attraverso vari cambi di costume prima di trovare la combinazione adatta a esprimere la personalità con la quale riteneva utile proporsi. Fino alla campagna elettorale sembrava un signore fondamentalmente serio senza grandi pretese di umorismo brioso, ma il tipo di personaggio presidenziale che sentiva di dover impersonare sembrava allegro, positivo, con una nota di paciosità alla Bing Crosby.
Arrivo a dire che la sua goffaggine era dovuta in parte all´aver adottato un´immagine che in realtà non gli corrispondeva; si era assegnato un ruolo che per lui era sbagliato, come spesso capita agli attori sfortunati nei film e a teatro. La produzione originaria di "Morte di un commesso viaggiatore", per esempio, è stata sul punto di naufragare perché il regista e io tentavamo di mantenerci troppo fedeli ad alcune indicazioni che avevo inserito nel testo e che descrivevano Willy come un uomo piccolo.
Cominciammo a fare provini a tutti gli attori piccoli che riuscivamo a trovare, e alcuni erano molto bravi, ma il ruolo nelle loro mani sembrava ridursi a una specie di lamentazione, molto lontano da quello che immaginavo io. In effetti, quella parte aveva un aspetto eroico che un certo Lee Cobb - un uomo di novanta chili alto più di un metro e ottanta - riuscì a far emergere senza sforzo, almeno durante le prove.
Naturalmente questi effetti sono estremamente difficili da prevedere una volta che il pubblico prende posto. Credo che ciò accada perché, in sostanza, un testo teatrale cerca di creare un individuo da una massa, una sola reazione unificata da mille individuali le cui interazioni sono misteriose. Il leader politico affronta la stessa sfida e incertezza, né più né meno. Che sia mosso dal calcolo o dall´istinto, deve comunque trovare il centro magnetico che unirà un pubblico frammentato, e deve quindi evitare di mandare segnali che possano alienargli porzioni significative del suo pubblico. È inevitabile che questo tipo di gestione di una platea esiga la recitazione.
La difficile questione della sincerità, dunque, scaturisce dalla natura della persuasione stessa, e con essa, necessariamente, la questione del mentire e dell´indorare la pillola nel caso di verità scomode. Da qui il ricorso alla recitazione, all´impersonare un ruolo. Mi piace credere, e talvolta lo faccio, che la maggior parte dei membri del Congresso e dei senatori americani generalmente sostengano in pubblico quello che sostengono anche in privato, se non altro perché la coerenza costa loro poco quando hanno pochi ascoltatori e poco da perdere.
Il fascio di luce abbagliante puntato sul candidato americano alle presidenziali è di ordine assai diverso quando la sua elezione può significare un nuovo indirizzo per il paese e una minaccia o una rassicurazione per economie e governi di molte altre parti del globo. Così l´obiettivo della televisione diventa un microscopio sotto l´occhio del mondo. Adesso l´autocontrollo del candidato, la sua solidità di fronte agli attacchi, vengono pericolosamente ingranditi e diventano cruciali per il suo successo quanto lo sono per un attore che da solo, nel cono di luce al centro della scena buia, affronta migliaia di critici.
Il potere naturalmente cambia il modo di comportarsi delle persone, e George W. Bush - adesso che è presidente - sembra aver imparato a non ridacchiare così tanto, e a smettere di lanciare occhiate di sottecchi a destra e a manca quando sta per sfoderare la battuta clou, per poi annuire rapido come a segnalare di averla detta bene. Questa è cattiva recitazione, perché l´eccesso di enfasi getta dubbi sul testo. È evidente che quando il velo magico e luccicante del vero potere è sceso su di lui, Bush si è rilassato e ha acquisito sicurezza, come un attore che ha letto delle critiche ottime e sa che lo spettacolo rimarrà in cartellone a lungo.
A questo punto immagino che dovrei aggiungere qualcosa riguardo alle mie idee personali sulla recitazione e sugli attori. Mi ricordo ancora il giorno, negli anni cinquanta, durante la campagna di Eisenhower contro Adlai Stevenson, in cui accesi la televisione e vidi il generale che aveva guidato la più grande forza d´invasione della storia affidato alle mani di una truccatrice che lo preparava per la sua apparizione televisiva.
A quel tempo ero molto più ingenuo, e così trovavo ancora difficile credere che da allora in poi saremmo stati blanditi e vinti da belletti, rossetti e ciprie invece che da idee e opinioni su questioni di pubblica importanza. Era quasi come se si stesse preparando a entrare nel ruolo del generale Eisenhower, anziché essere semplicemente lui. Certo quello che viene proposto in politica corrisponde poi di rado alla sostanza, ma di fatto Eisenhower non era un bravo attore, soprattutto quando improvvisava, e si rendeva sicuramente un cattivo servigio, ingarbugliandosi con l´inglese in maniera quasi comica, mentre in realtà era di gran lunga più colto e sofisticato di quanto non suggerisse il suo modo annaspante di parlare in pubblico.
Come mi raccontò una volta il suo biografo, Emmet John Hughes di Life, Eisenhower, quando era ancora un giovane ufficiale, era stato l´autore di tutti quei discorsi altisonanti, di tono un po´ ciceroniano, che davano l´impressione che il suo capo, Douglas MacArthur, fosse sul punto di infilarsi una toga. E tuttavia mi chiedo anche se i tentennamenti sintattici di Eisenhower in pubblico non lo facessero in realtà apparire più sincero e convincente.
Nell´ultima campagna elettorale è stato nei cosiddetti dibattiti che si è avuta davvero la sensazione di un´esibizione artificiosa, invece dello scoperto scontro di personalità e idee che ci si aspettava. Quella era recitazione, e recitazione pura. Ma l´opinione generale sembra aver giudicato quelle esibizioni decisamente noiose. E come poteva essere altrimenti, quando entrambi i candidati sembravano voler dar prova dello stesso temperamento geniale, gareggiando nella prontezza a interpretare il medesimo ruolo e tentando, in realtà, di scivolare dentro la stessa divisa per una tranquilla gita domenicale sul lago?
Il ruolo, ovvio, era quello del tipo simpatico, di una mitezza tutta alla Bing Crosby con una spruzzata di Bob Hope. Chiaramente erano stati entrambi addestrati a non spaventare il pubblico con una passione esagerata, ma più che altro a rassicurarlo che una volta eletti non avrebbero fatto perdere il sonno a nessuna persona di buonsenso. In termini recitativi non c´era alcuna realtà interna, nessuna genuinità, nessuno squarcio sulle loro anime turbolente.
Accadde tuttavia una cosa notevole: un´unica inquadratura, di una frazione di secondo, che mostrò Gore mentre scuoteva la testa in segno di disarmata incredulità di fronte a qualche insensatezza di Bush. È significativo che questa breve manifestazione gli abbia procurato molte critiche da parte della stampa per le sue cosiddette arie di superiorità e la sua sarcastica mancanza di rispetto; insomma, era uscito dal personaggio e si era mostrato com´era veramente.
La stampa americana è costituita di critici teatrali travestiti; la sostanza conta quasi zero rispetto allo stile e a una caratterizzazione fantasiosa. Il punto è la forza di persuasione della persona, non quello di cui ci sta persuadendo. Per un millisecondo lo stile di Gore aveva ceduto e lui era stato così inetto da ridiventare reale! E quel pagliaccio voleva diventare presidente! Non solo tutto il mondo è un palcoscenico, ma alle volte sembriamo aver quasi cancellato la linea sottile tra l´artificiale e il reale.
Dagospia 29 Agosto 2004
I presidenti americani e l´arte di recitare nasce come discorso di ringraziamento per la medaglia annuale del National Endowment for the Arts. Arthur Miller lo pronunciò in una sala stipata quando erano vive le polemiche per le elezioni vinte (o secondo alcuni rubate) da Bush. Sembrava , commenta Miller stesso nella prefazione, dopo il blocco dello scrutinio dei voti, di aver assistito ad un golpe militare, ma la stampa non reagì più di tanto. Sei mesi dopo il discorso di Miller, il presidente del National Endowment for the Arts fu rimosso dall´incarico, forse perché era stato nominato da Clinton.
Il volumetto, da cui anticipiamo alcune pagine, uscirà il 22 settembre da Bruno Mondadori (pagg. 96, euro 7)
I PRESIDENTI CHE SANNO RECITARE
dI Arthur Miller (Traduzione di Elena Dal Pra)
Farò alcune osservazioni sui politici in quanto attori. Dal momento che alcuni dei miei amici più cari sono attori, non mi permetterò di dire nulla di male sull´arte della recitazione. La realtà è che recitare è inevitabile, appena mettiamo piede fuori di casa e ci immergiamo nella società. In questo momento anch´io sto recitando; di certo non sto parlando come se fossi seduto nel mio soggiorno. Non è una novità il fatto che veniamo mossi più dalle nostre reazioni ghiandolari di fronte alla personalità d´un leader e al suo modo di presentarsi, che dai suoi programmi o dalle sue caratteristiche morali.
Per milioni di loro sostenitori, dopotutto, molti dei quali accademici d´alta levatura intellettuale, Hitler e Stalin erano uomini di profonda moralità, portatori di verità nuove. È vero che i dittatori emergono nelle società in declino, e che l´autorizzazione a dominare viene loro concessa e non si procurano il potere grazie al loro mero talento di uomini di spettacolo. Ma si può affermare qualcosa di simile anche a proposito d´attori abbastanza fortunati da lavorare in spettacoli teatrali o film che appaiono al momento giusto, invece che in vecchie storie logore o al contrario troppo inedite per il pubblico.
Aristotele pensava che l´uomo fosse per natura un animale sociale, e in effetti veniamo mossi dalle rappresentazioni - ossia dalla recitazione - più di quanto chiunque ami soffermarsi a pensare.
Il mistero del leader come uomo di spettacolo è vecchio quanto il mondo, ma nella nostra epoca la televisione ha prodotto nella sua natura un cambiamento quantitativo; una delle cose oggi più strane in milioni di esistenze è che individui normali sono circondati, per non dire assediati, dalla recitazione come mai prima nella storia. Per ventiquattr´ore al giorno tutto quello che passa in televisione è interpretato o diretto da attori in veste di conduttori e conduttrici, pettinature incluse.
Forse adesso per molte persone la forma di esperienza più coinvolgente consiste nelle loro transazioni emotive con gli attori, molto più intense che con le persone reali. Per anni i giornalisti si sono divertiti un sacco con l´incapacità di Reagan di distinguere i film che aveva visto da eventi reali a cui aveva partecipato, ma in questo come in molto altro lui incarnava l´incertezza comune di una persona che ha così spesso a che fare con l´arte della recitazione.
La persistenza di questa condizione è di qualche rilevanza? Non so trovare un modo per dimostrarlo, ma a me sembra che quando si è circondati da una massa tanto insistente di professionisti così consapevolmente costruiti, per molte persone diventi sempre più difficile distinguere la realtà. È vero che viviamo nell´epoca dell´intrattenimento, ma è poi buona cosa che la nostra vita politica, per esempio, sia così profondamente governata da meccanismi dello spettacolo, dalla tragedia al vaudeville alla farsa?
Mi ritrovo a chiedermi se questa dieta ininterrotta di emozioni costruite, recitate, e di idee precotte non costringa in maniera sottile il nostro cervello non solo a confondere la fantasia con il reale, ma anche ad assimilare questo processo nei nostri personali meccanismi sensoriali. Queste ultime elezioni ne sono un esempio. È ovvio che la nostra vita deve andare avanti, ma sembra che veniamo invitati a comportarci come se non fosse accaduto nulla di così insolito e come se la nostra vita democratica non avesse subito alcun danno, per esempio rispetto alla nostra rivendicazione del diritto di istruire altri paesi sulla maniera di condurre elezioni giuste.
Così, surrettiziamente, anche noi siamo indotti a diventare attori. Dopotutto, lo spettacolo deve continuare, anche se il pubblico adesso è obbligato a partecipare alla recita. Inutile aggiungere che continueremo a insegnare agli altri come contare i voti, ma intanto agli orecchi altrui l´autorevolezza della nostra voce si è in qualche modo indebolita, e si è rafforzato il cinismo rispetto al nostro proporci come modello di democrazia. O forse no. Forse ha senso pensare che la nostra memoria trattenga molto poco, con tutta la paccottiglia che il fiume dell´informazione ci scarica addosso.
I leader politici di tutto il mondo hanno capito che per governare devono imparare a recitare. Proprio come qualsiasi attore. Al Gore a quanto pare è passato attraverso vari cambi di costume prima di trovare la combinazione adatta a esprimere la personalità con la quale riteneva utile proporsi. Fino alla campagna elettorale sembrava un signore fondamentalmente serio senza grandi pretese di umorismo brioso, ma il tipo di personaggio presidenziale che sentiva di dover impersonare sembrava allegro, positivo, con una nota di paciosità alla Bing Crosby.
Arrivo a dire che la sua goffaggine era dovuta in parte all´aver adottato un´immagine che in realtà non gli corrispondeva; si era assegnato un ruolo che per lui era sbagliato, come spesso capita agli attori sfortunati nei film e a teatro. La produzione originaria di "Morte di un commesso viaggiatore", per esempio, è stata sul punto di naufragare perché il regista e io tentavamo di mantenerci troppo fedeli ad alcune indicazioni che avevo inserito nel testo e che descrivevano Willy come un uomo piccolo.
Cominciammo a fare provini a tutti gli attori piccoli che riuscivamo a trovare, e alcuni erano molto bravi, ma il ruolo nelle loro mani sembrava ridursi a una specie di lamentazione, molto lontano da quello che immaginavo io. In effetti, quella parte aveva un aspetto eroico che un certo Lee Cobb - un uomo di novanta chili alto più di un metro e ottanta - riuscì a far emergere senza sforzo, almeno durante le prove.
Naturalmente questi effetti sono estremamente difficili da prevedere una volta che il pubblico prende posto. Credo che ciò accada perché, in sostanza, un testo teatrale cerca di creare un individuo da una massa, una sola reazione unificata da mille individuali le cui interazioni sono misteriose. Il leader politico affronta la stessa sfida e incertezza, né più né meno. Che sia mosso dal calcolo o dall´istinto, deve comunque trovare il centro magnetico che unirà un pubblico frammentato, e deve quindi evitare di mandare segnali che possano alienargli porzioni significative del suo pubblico. È inevitabile che questo tipo di gestione di una platea esiga la recitazione.
La difficile questione della sincerità, dunque, scaturisce dalla natura della persuasione stessa, e con essa, necessariamente, la questione del mentire e dell´indorare la pillola nel caso di verità scomode. Da qui il ricorso alla recitazione, all´impersonare un ruolo. Mi piace credere, e talvolta lo faccio, che la maggior parte dei membri del Congresso e dei senatori americani generalmente sostengano in pubblico quello che sostengono anche in privato, se non altro perché la coerenza costa loro poco quando hanno pochi ascoltatori e poco da perdere.
Il fascio di luce abbagliante puntato sul candidato americano alle presidenziali è di ordine assai diverso quando la sua elezione può significare un nuovo indirizzo per il paese e una minaccia o una rassicurazione per economie e governi di molte altre parti del globo. Così l´obiettivo della televisione diventa un microscopio sotto l´occhio del mondo. Adesso l´autocontrollo del candidato, la sua solidità di fronte agli attacchi, vengono pericolosamente ingranditi e diventano cruciali per il suo successo quanto lo sono per un attore che da solo, nel cono di luce al centro della scena buia, affronta migliaia di critici.
Il potere naturalmente cambia il modo di comportarsi delle persone, e George W. Bush - adesso che è presidente - sembra aver imparato a non ridacchiare così tanto, e a smettere di lanciare occhiate di sottecchi a destra e a manca quando sta per sfoderare la battuta clou, per poi annuire rapido come a segnalare di averla detta bene. Questa è cattiva recitazione, perché l´eccesso di enfasi getta dubbi sul testo. È evidente che quando il velo magico e luccicante del vero potere è sceso su di lui, Bush si è rilassato e ha acquisito sicurezza, come un attore che ha letto delle critiche ottime e sa che lo spettacolo rimarrà in cartellone a lungo.
A questo punto immagino che dovrei aggiungere qualcosa riguardo alle mie idee personali sulla recitazione e sugli attori. Mi ricordo ancora il giorno, negli anni cinquanta, durante la campagna di Eisenhower contro Adlai Stevenson, in cui accesi la televisione e vidi il generale che aveva guidato la più grande forza d´invasione della storia affidato alle mani di una truccatrice che lo preparava per la sua apparizione televisiva.
A quel tempo ero molto più ingenuo, e così trovavo ancora difficile credere che da allora in poi saremmo stati blanditi e vinti da belletti, rossetti e ciprie invece che da idee e opinioni su questioni di pubblica importanza. Era quasi come se si stesse preparando a entrare nel ruolo del generale Eisenhower, anziché essere semplicemente lui. Certo quello che viene proposto in politica corrisponde poi di rado alla sostanza, ma di fatto Eisenhower non era un bravo attore, soprattutto quando improvvisava, e si rendeva sicuramente un cattivo servigio, ingarbugliandosi con l´inglese in maniera quasi comica, mentre in realtà era di gran lunga più colto e sofisticato di quanto non suggerisse il suo modo annaspante di parlare in pubblico.
Come mi raccontò una volta il suo biografo, Emmet John Hughes di Life, Eisenhower, quando era ancora un giovane ufficiale, era stato l´autore di tutti quei discorsi altisonanti, di tono un po´ ciceroniano, che davano l´impressione che il suo capo, Douglas MacArthur, fosse sul punto di infilarsi una toga. E tuttavia mi chiedo anche se i tentennamenti sintattici di Eisenhower in pubblico non lo facessero in realtà apparire più sincero e convincente.
Nell´ultima campagna elettorale è stato nei cosiddetti dibattiti che si è avuta davvero la sensazione di un´esibizione artificiosa, invece dello scoperto scontro di personalità e idee che ci si aspettava. Quella era recitazione, e recitazione pura. Ma l´opinione generale sembra aver giudicato quelle esibizioni decisamente noiose. E come poteva essere altrimenti, quando entrambi i candidati sembravano voler dar prova dello stesso temperamento geniale, gareggiando nella prontezza a interpretare il medesimo ruolo e tentando, in realtà, di scivolare dentro la stessa divisa per una tranquilla gita domenicale sul lago?
Il ruolo, ovvio, era quello del tipo simpatico, di una mitezza tutta alla Bing Crosby con una spruzzata di Bob Hope. Chiaramente erano stati entrambi addestrati a non spaventare il pubblico con una passione esagerata, ma più che altro a rassicurarlo che una volta eletti non avrebbero fatto perdere il sonno a nessuna persona di buonsenso. In termini recitativi non c´era alcuna realtà interna, nessuna genuinità, nessuno squarcio sulle loro anime turbolente.
Accadde tuttavia una cosa notevole: un´unica inquadratura, di una frazione di secondo, che mostrò Gore mentre scuoteva la testa in segno di disarmata incredulità di fronte a qualche insensatezza di Bush. È significativo che questa breve manifestazione gli abbia procurato molte critiche da parte della stampa per le sue cosiddette arie di superiorità e la sua sarcastica mancanza di rispetto; insomma, era uscito dal personaggio e si era mostrato com´era veramente.
La stampa americana è costituita di critici teatrali travestiti; la sostanza conta quasi zero rispetto allo stile e a una caratterizzazione fantasiosa. Il punto è la forza di persuasione della persona, non quello di cui ci sta persuadendo. Per un millisecondo lo stile di Gore aveva ceduto e lui era stato così inetto da ridiventare reale! E quel pagliaccio voleva diventare presidente! Non solo tutto il mondo è un palcoscenico, ma alle volte sembriamo aver quasi cancellato la linea sottile tra l´artificiale e il reale.
Dagospia 29 Agosto 2004