L'INFERNO DI ASIA ABOLISCE IL PROIBITO (E IL DIVIETO AI MINORI)
ROMA BASITA E STUPITA ALLA VISIONE DI "INGANNEVOLE E' IL CUORE"
DOPO ET (SPIELBERG) ARRIVA JT (LEROY), CICCIOLINO CON ROSSETTO

Reportage di Umberto Pizzi da Zagarolo


In qualche modo il cinema entra nella nostra vita. Per Asia Argento, è avvenuto il contrario: la sua vita è entrata nel cinema. A partire dal nodo mai sciolto dei suoi rapporti con i genitori (come è evidente nell'articolo di Magazine, che ripubblichiamo). Ed è facile immaginare l'amour fou di Asia una volta aperto e letto il "terribile" libro autobiografico di JT Leroy, "Ingannevole è il cuore più di ogni cosa", edito da Fazi, nel quale l'infanzia di Jeremiah brucia in ogni pagina (l'opera prima di JT "Sarah" è ancora più profonda e splendida).

Ieri sera, a Roma, al cinema Embassy la prima del film ha scodellato in platea un pubblico vario e avariato, il professor Bollea e Vladimir Luxuria, il critico Emanuele Trevi e il rapper G Max dei Flaminio Maphia, Canino di "Cronache Marziane" e Tony Renis, Marco Giusti e Serena Grandi, eccetera. Un silenzio di tomba ha accompagnato la pellicola. Alla prima di "Scarlet Diva", opera di esordio di Asia, si rideva. Il film va al di là delle categorie "bello", "brutto", "carino". Di sicuro è girato in maniera sorprendente da Asia, con alcune scene folgoranti, musica di ottimo punk, e qui e là si sente anche la manina di papà Dario.

Si vede anche un "cameo" di Ornella Muti che sfodera un occhio aperto e uno socchiuso, scherzi della chirurgia. Comunque, è un film sconvolgente e tossico sull'infanzia sprecata al punto che i produttori hanno chiesto e ottenuto l'appoggio di Telefono Azzurro. E così il divieto ai minori è clamorosamente scomparso. E Asia era ben felice, nelle parole di introduzione in sala, di salutare calorosamente mamma e papa e sorelle. Da brava ragazza nata a Roma-centro.

Accanto ad Asia, il corpicino omuncolare di JT Leroy, che pur chiamandosi JT è arrivato più lento di una Cinquecento. Capelli lunghi biondi, labbra rassettate, cappelli da pistolero texano, il Cucciolino ha tirato fuori una vocina pigolante per dire che il film è "amazing". Stupefacente, proprio come la sua immagine da ET.

Il dopo-cine ha visto tutti spostarsi al Supper Club. Asia ha preferito mettersi dietro la consolle a lanciare dischi punk, mentre nel privé brillavano le labbra rosso-fuoco di JT, e Romina Power, assediata dai paparazzi, confidava che il problema non solo le foto, sai, ma le didascalie.

ASIA IN AMERICA
Presentato in America all'AFI Festival a Los Angeles l'8 ottobre del 2004. Il film finora è stato recensito solo in alcuni siti di informazione cinematografica, suscitando plauso e interesse. Per Eye Weekly si tratta di un adattamento "gonzo", quindi alla Hunter S. Thompson del libro di JT Leroy. Per FilmThreat.com si tratta addirittura di uno dei migliori film dell'anno, e anche Twich lo trova positivo.
L'unico commento negativo arriva da ReelFilm.com, che pur apprezzando lo stile visionario di Asia punta il dito contro una sceneggiatura che fa acqua da tutte le parti. E che si limita a mettere in sequenza le scene del film.
In attesa che trovi una distribuzione americana e entrino in gioco i grossi calibri della critica.

ASIA, L'IMPOSSIBILITÀ DI ESSERE NORMALE
Stefania Ulivi e Roberto Rizzo per il Corriere della sera Magazine

Il nonno materno era Alfredo Casella, compositore idolatrato dai futuristi, che intitolò una delle sue opere «La donna serpente», la nonna paterna era Elda Luxardo che qualcuno amava paragonare a Leni Riefenstahl, la fotografa amata da Hitler. L'altro nonno faceva il produttore. Il babbo mentre lei nasceva stava girando "Suspiria" e in genere si dilettava ad ammazzare la sua mamma attrice in una pellicola sì e una no.

All'anagrafe viene registrata Asia Aria Maria Vittoria Rossa Argento. Per festeggiare il lieto evento in casa per tre giorni si proietta "Via col vento". I giornali danno il benvenuto a «La principessa del brivido». A cinque anni legge "Moby Dick" e chiede di essere battezzata, a otto, un po' annoiata dalla visione dei film di papà (ma "Profondo rosso" dopo 50 volte continua a farle paura), inizia ad autoprodursi: poesie, per cominciare («Con il cuore a pezzi si ficcò il vetro nel torace e con un sospiro mormorò: addio mondo, vita, crudeltà!»).

A nove anni due eventi chiave: i genitori si separano, lei inizia a fumare («una Marlboro rossa», annota, con precisione maniacale). Da adolescente i rotocalchi la descrivono come «una donnina in miniatura, fin troppo sensibile e acuta» e lei inizia il suo rapporto schizofrenico con la stampa: odio e amore, idilli e fughe repentine. Tutto raccontando e tutto smentendo.

Se non fossero frammenti della vita vissuta, sembrerebbero appunti per una sceneggiatura perfetta: «Asia, l'impossibilità di essere normale». Adesso che Asia Argento affida al giudizio del pubblico italiano la sua opera più controversa, "Ingannevole è il cuore più di ogni cosa", fedelissima trasposizione cinematografica del romanzo di J.T. Leroy, odissea di due infanzie ferite, quelle del piccolo Jeremiah e della sua mamma bambina Sarah, il cerchio si chiude.



Si riparte dall'infanzia. Quella allucinata e allucinante dell'amico Leroy, che ha benedetto il film difendendolo dalle critiche anche feroci che ha ricevuto in Usa. E anche quella di Asia che orrori come quelli di Jeremiah li ha visti solo al cinema o nei romanzi ma che vanta, come racconta con dovizia di particolari e stati d'animo contraddittori, un'infanzia bruciata.

«Giudicando superficialmente si può pensare che io abbia avuto fortuna. Ma sono stata costretta a crescere in fretta. Credo che essere bambino è sempre un po' violento, l'infanzia è sempre traumatica. La mia è stata difficilissima. Non parlo solo degli estremi della storia di JT, ma quando sei nelle mani di qualcun altro, è comunque molto violento».

Più che di eccessi, per Asia hanno contato i vuoti. «L'infanzia l'ho rimossa. I genitori neanche li ricordo. Pensavo che i miei genitori volessero più bene alle mie sorelle, io ero quella più sgridata, mi facevano sentire cattiva. Mi difendevo con la tristezza e il menefreghismo. Ho sempre cercato dì essere più grande della mia età».

Del padre, idolatrato negli Stati Uniti e in Francia, Paesi che hanno riversato la venerazione anche sulla figlia, di cui apprezzano soprattutto lo stile (riassunto nell'ardita definizione «industrial-punk-junkie chic») ha raccontato tutto e il contrario di tutto. «Da piccola mio padre mi ignorava. Diceva: "I bambini puzzano". Sono cresciuta con un padre assente e una madre bambina. Ho iniziato a recitare perché volevo che i miei si accorgessero che esistevo».

Che recitare per lui è stato formativo, comprese le scene di nudo in "Trauma". Che apparire nuda di fronte a lui è stato molto fastidioso: «Molto strano, molto doloroso. Qualcosa che mi porto dietro, ma di cui non ho il coraggio di parlare con lui. Mi ha ferito e ha condizionato il mio modo di essere».

Grandi momenti di complicità (come spiegò a Adrien Brody per "Interview") e poi rotture, come quella raccontata a Paolo Bonolis a "Domenica in", in cui fece un ritratto di un padre paranoico (lui da piccolo aveva terrore di percorrere il lunghissimo corridoio di casa sua a piazza del Popolo) che gli insegnò ad avere paura di tutti, a diffidare di amici e amori.

Un'altra volta rivelò il segreto che lui le insegnò per affrontare la folla, che ha sempre spaventato entrambi: «Non volevo andare alle feste. Mi insegnò a guardare gli altri come fossero bottiglie. Così mi facevano ridere».

La salvezza, disse, arrivò dalla mamma che la aiutò a mitigare tutta quella chiusura. Ma a lei, in un altro momento, imputò i suoi problemi con il sesso: «Mia madre ebbe molti amanti, la conseguenza fu che io fui disgustata e affascinata dal sesso». I conti con lei li ha fatti al cinema. Nella sua opera prima da regista, "Scarlet Diva", a Daria Nicolodi affidò la parte di una tossica che moriva di overdose (un vizio di famiglia, farla secca sullo schermo). Dice che è servito molto: «Dopo la nostra relazione è andata molto meglio».

È come se il cinema e le interviste, i video (in quello di "La tua lingua sul mio cuore" dei Royalize mise due begli scheletrini con sotto la scritta «For Mom and Dad»), fossero quell'analisi che dice di non aver mai voluto fare. Come altri enfant prodige è cresciuta in faccia al mondo, a dispetto dei suoi tentativi di nascondersi. La coerenza non è il suo forte, ma ogni volta è sincera. A modo suo.

Sincera quando dice: «In Italia non torno, lì non ho amici, non ho famiglia, non c'è lavoro per me». In un Paese dove tutto finisce a tarallucci e vino, gli artisti maledetti non vengono presi troppo sul serio. E a lei, fin dalla nascita, è toccata in sorte la parte della cattiva ragazza. Travet della trasgressione (parola che lei, non a caso, odia: «La trasgressione è un terribile conformismo. Per quanto venga considerata dark e perversa, io sono una ragazza all'antica. Mi sento un'avanguardia culturale, non una trasgressiva»), le tocca timbrare il cartellino della sregolatezza.

Se soffre di insonnia non può contare le pecore: dipinge grandi oli e impara a suonare la batteria. Nel tempo perso non può consolarsi con la tv («Non la guardo da sette anni» ha precisato tempo fa): si butta sulla consolle dei locali romani facendo la deejay per la gioia degli astanti. I fidanzati sono tutti tipi tosti: Vincent Gallo, Michael Pitt, Morgan il babbo di sua figlia.

Anche se ora, madre di famiglia quasi trentenne, cerca di darsi un tono: «Faccio una vita piccolo borghese, vado a fare la spesa», preoccupata di tenere la piccola Anna Lou al riparo dalla curiosità che ha sempre circondato lei. Buona fortuna.

Voleva che uscisse il 14 febbraio la sua creatura di celluloide. Arriverà nelle sale quattro giorni dopo. Ma il 14 sarà comunque la sua giornata particolare: mattinata alla Casa del cinema con proiezione e tavola rotonda affollatissima che neanche a "Porta a porta": mancherà il ministro Prestigiacomo, ma sono attesi lo psichiatra Giovanni Bollea, Barbara Palombelli, lo scrittore Emanuele Trevi, Simonetta Matone del Tribunale dei minori, l'avvocato Alexander Gutierres, un rappresentante del Telefono Azzurro, Carla Corso.

Ci sarà anche il fido J.T. Leroy quel giorno a Roma. Arriverà con un codazzo di persone: la coppia di amici con cui vive (compreso il loro figlio), la baby sitter e i quattro componenti del suo gruppo musicale, i Thistle ll. Tutti per Asia. Ingannevole, anche lei, come il cuore, più di ogni cosa.

Dagospia 15 Febbraio 2005