IL TEATRONE DELLA POLITICA/29 - POLITICA ALLA LACRIMA (CHIAMALE SE VUOI EMOZIONI) - SILVIO SINGHIOZZA, OCCHETTO FRIGNA, D'ALEMA SI COMMUOVE, DE MITA PIANGE, VELTRONI GEME, CASINI PIAGNUCOLA.
Da "Il Teatrone della Politica", di Filippo Ceccarelli - Longanesi & C. (2003)
IL MOMENTO DI COMMOZIONE
Chi non ha un cuore? Bene, i politici sembra ne possiedano uno più grande del normale, un supercuore per trasmettere al pubblico la loro più sincera spontaneità. E infatti tendono inesorabilmente a turbarsi come in una puntata di "Carràmba! che sorpresa" o "La vita in diretta". Si emozionano, dunque sembrano veri.
Troppe volte la scena si ripete uguale a se stessa. C'è un potente sotto i riflettori, a un certo punto gli si spezza la voce, non sa più cosa dire, per un attimo si guarda intorno smarrito, si allontana dal microfono, sembra che abbia gli occhi lucidi, «ecco», singhiozza, «sono commosso». Oppure meglio, come Berlusconi: «Mi avete commosso». In entrambe le versioni scatta l'applauso, travolgente.
«Il rapporto tra emozioni e istituzioni è il più delicato e scoperto della società moderna», ha scritto Giuseppe De Rita. Ecco. In quella rappresentazione totale che è la democrazia televisiva, l'emotività è conclamata e la catarsi perfino dovuta. Per cui, appena eletto presidente della Camera, lancia baci alle figlie in tribuna Pier Ferdinando Casini, nell'aula di Montecitorio. «Emozionato», si dichiara a TeleCamere il professor Pera nella sua prima intervista da presidente del Senato. «Emozionato», il neosindaco di Roma Veltroni quando mette piede nella stanza che fu di Luigi Petroselli. «Emozionato», Bobo Craxi nel mostrare alla mamma la medaglietta da deputato. «Emozionato», il ministro Castelli a Pontida: «Metto la mia vita nelle vostre mani!»
Dalla nascita dell'ennesimo partitino postdemocristiano alla morte di Maria José di Savoia, non c'è evento che non si risolva in un adeguato e preliminare dispiego di sentimenti.
Talmente salda appare l'egemonia drammaturgica strappalacrime che nella vita pubblica non ci si fa più caso, e le cronache del dopoelezioni possono cominciare tranquillamente così: «Il prossimo presidente del Consiglio Silvio Berlusconi si è sciolto ieri in lacrime, sul palco del teatro Brancaccio, dopo aver cantato Fratelli d'Italia insieme al candidato sindaco Tajani e alla platea che, accortasi del pianto, l'ha subissato di applausi ancora più scroscianti». E sembrava pure sincero.
Pensare che la vera emozione, secondo gli scritti sul teatro di Diderot, sarebbe muta e immobile. Non solo, ma i vecchi politici coltivavano le virtù dell'autocontrollo, se non dell'impassibilità. Quelli di oggi sembrano mossi da uno stile che prevede di dar conto dei propri turbamenti come se fosse una cortesia nei riguardi dell'interlocutore e un obbligo rispetto al pubblico.
È curioso notare, ad esempio, come tutti gli incontri con il Papa siano contrassegnati, nelle valutazioni che se ne danno a caldo, dalla più viva emozione provata al suo cospetto. Ora, certamente Giovanni Paolo II ha una personalità che lascia il segno. Ma desta qualche perplessità il fatto che nel caso della visita in Vaticano del presidente del Consiglio D'Alema, nel gennaio del 1999, il particolare della grande emozione provata dal premier dinanzi al Papa era già presente in una nota predisposta dallo staff dalemiano a beneficio dei giornalisti, ma prima dell'evento.
Governare, insomma, significa innanzitutto «sentire». Come se una specie di degenerazione psicologistica avesse da qualche tempo afferrato la classe dirigente immergendola in una realtà artificiosamente piagnucolosa. E l'impressione, ancora una volta, è che la fragilità dei nuovi potenti sia in rapporto con la tecnica teatrale del «far credere». Se gli attori fremono e sono bravissimi a piangere, da qualche tempo anche i personaggi che animano le rappresentazioni televisive hanno imparato.
Comunque non è stato sempre così. Nel 1988, durante i funerali di Roberto Ruffilli, ucciso dalle BR, l'allora presidente del Consiglio Ciriaco De Mita, che era stato un suo grande amico, non riuscì a trattenere le lacrime. Eppure quel pianto - oggi del tutto naturale e accettabile - fece talmente scalpore da indurre il settimanale Epoca a porre la questione: «Può un politico commuoversi in pubblico?»
L'anno seguente, al termine di un congresso particolarmente difficile, pianse a sorpresa Achille Occhetto. E nel 1990, a Bologna, altro congresso ancora più difficile, il segretario del PDS scoppiò di nuovo a piangere, appoggiato al banco con la testa fra le braccia per nascondere i lucciconi.
Con Occhetto piansero tanti altri ex comunisti, compreso D'Alema (che pure diede la colpa a un certo pulviscolo presente nell'aria del Palazzo dei Congressi). Su quel pianto corale Michele Serra compose addirittura una poesia: «È dunque questa la storia della Cosa? Questa pioggerellina lacrimosa?»
Da allora in poi, i momenti di commozione si sono così moltiplicati da rendere opportuna una premessa, anzi due. La prima è che non vale la pena di ironizzare sulla Repubblica dei piagnoni. Troppo facile. La seconda è che i politici, quando si commuovono in pubblico, non fanno finta.
Ogni pianto ha anzi una sua ragione e una sua umana rispettabilità. Il punto qualificante, semmai, è che la nuova cornice della politica reclama le lacrime. È il frame, per usare un termine televisivo, che colloca i politici di questo tempo sull'orlo di una perenne crisi di nervi.
Vivere sotto il fuoco degli sguardi e delle telecamere comporta uno stress micidiale. Quando poi è proprio questo stato di sovraeccitazione a stabilire il contatto e a innescare l'audience, diventa addirittura arduo resistere alle lacrime. E così, da un parziale censimento, risulta che nel corso degli ultimi anni si sono pubblicamente commossi i personaggi più vari: da Cicciolina («Rivoglio indietro mio figlio») all'autista di Rocco Buttiglione (dopo la defenestrazione da segretario del PPI), da Mino Reitano (al festival del Secolo d'Italia) al prefetto di Napoli Umberto Improta (colpito da un'accusa da cui è stato poi assolto) passando per l'onorevole Marida Bolognesi che con il suo voto, bagnato appunto di pianto nell'aula di Montecitorio, ha consentito il varo della manovra economica del governo Dini.
Ancora. A Fiuggi, per Io scioglimento dell'Msi, si sono commossi Fini, Pino Rauti e donna Assunta Almirante. Berlusconi si è sciolto in lacrime diverse altre volte, in un ospedale romano davanti a dei bambini del Ruanda portati in Italia da Maria Pia Fanfani; e poi in una casupola nella campagna di Brindisi incontrando i superstiti del naufragio di una «carretta» albanese.
Dopo essere stato assolto per l'ottava volta, Antonio Di Pietro si è abbandonato a singhiozzi liberatori nel parcheggio del tribunale di Brescia. E un intero Consiglio dei ministri si è commosso ai tempi del caso Di Bella, nell'ascoltare la toccante relazione del ministro della Sanità Rosy Bindi. C'era in sala anche Livia Turco, ministro degli Affari Sociali, che è un po' da considerarsi la veterana della commozione politica; e che di questo suo vezzo è così consapevole da iniziare alcuni discorsi con l'avvertenza: «Forse piangerò, e allora mi scuserete».
29 - Continua
Dagospia 28 Aprile 2005