PASOLINI TRAGIC STORY - LE NUOVE RIVELAZIONI DI PELOSI - I TRE ASSASSINI "CHE OGGI SONO MORTI" LO CHIAMAVANO "ARRUSO" - LA TESTIMONIANZA DI "PECETTO" PARRELLO: "PELOSI DEVE SAPERE IL NOME DI CHI GLI HA DATO I SOLDI PER MENARE PASOLINI IN QUANTO 'FROCIO'".
Il Comune di Roma (attraverso il suo assessore Gianni Borgna), costituitosi parte offesa nel nuovo processo sul caso Pasolini, farà ricorso alle testimonianze di Silvio Parrello contenute nel libro.
Capitolo tratto da "C'era una volta Pier Paolo Pasolini" di Fulvio Abbate - in edicola con "l'Unità"
Trent'anni: trent'anni dopo Pino Pelosi, che i cronisti amano chiamare "la rana", giusto per confermare ciò che reputano un copione "pasoliniano", cambia la sua versione dei fatti: "Non sono stato io l'assassino". Lo dice in televisione a un'esperta di "nera", Franca Leosini, durante un'intervista trasmessa dal suo programma "Le ombre del giallo".
In trent'anni sono scomparsi i pamphlet di denuncia (pensate a best-seller come "La strage di Stato", controinchiesta pubblicata da Samonà e Savelli nel 1970 o allo stesso film-inchiesta "Dodici dicembre" sulle bombe di piazza Fontana), in cambio interessano i reportage dal mondo dei misteri, fra "noir" e "poliziesco", qualcosa di più prossimo alla sostanza dei rotocalchi che ai bisogni di reale verità politica. È il trionfo del genere.
Pelosi, nel rotocalco di "nera" della Leosini andato in onda nei primi di maggio del 2005, afferma di tre sconosciuti, tre persone di mezza età che parlavano "con un accento del Sud". Tre persone adulte, "che adesso certamente saranno morte". Perché?
"Sporco comunista", "pezzo di merda", "fetuso", gli avrebbero gridato intanto che lo colpivano a morte, ma anche "arruso".
"Arruso" lo usano i palermitani per dire frocio, finocchio, sfondato, spizzicato, matello. "Arruso" o anche "Garruso", appunto. L'etimo è incerto, forse parla di uomini che rubano l'acqua di rose alle sorelle. I palermitani, non i catanesi, che infatti dicono "puppo", nel senso di polipo, precisazione necessaria visto che per molti anni qualcuno ha sostenuto in sede processuale la presenza di un'auto, una Fiat 1500 blu, targata CT, quella notte all'Idroscalo.
Questo genere di novità, nel lessico giudiziario, prende il nome di "notitia criminis". Notizie che spingono verso la riapertura del caso, l'arrivo di un nuovo fascicolo. La Betti ne sarebbe contenta, lei era infatti fra coloro che, attraverso la sentenza del processo di primo grado, hanno sempre parlato di un Pelosi omicida "in concorso con ignoti". E il "Palazzo" come unico e sicuro mandante. La vendetta del potere su colui che denunciava non soltanto torti e crimini, ma soprattutto una esatta e mirata strategia eversiva: "il potere è anarchico," sostiene il regista di "Salò".
Secondo la nuova versione, gli assassini, i tre, "che oggi sono morti", terminato il pestaggio sarebbero andati via in macchina. A quel punto Pelosi, atterrito, si impossessa dell'Alfa GT e inavvertitamente, nell'ansia di allontanarsi dall'incubo, passa sopra il corpo di un Pasolini rantolante, provocandone così la morte. Tutto come prima, l'antefatto dell'incontro lungo i portici della stazione Termini: la sosta alla trattoria "Biondo Tevere" nei pressi di San Paolo fuori le Mura, il rifornitore di benzina, l'arrivo alI'Idroscalo dove Pasolini gli pratica un rapporto orale.
È a quel punto che i tre "meridionali" si materializzano dal buio, uno di loro avrebbe bloccato Pelosi, ordinandogli di non muoversi mentre i compari estraevano la vittima designata dall'auto per il pestaggio.
Non le tavolette di legno verde che vengono sempre mostrate, quelle con la scritta di vernice "Buttinella" e "Via dell'Idroscalo 9", forse addirittura, come suggerisce altrove l'ex ragazzo di vita di Donna Olimpia Silvio Parrello, con un cric.
Pino Pelosi confessa solo adesso il segreto di trent'anni perché entrambi i suoi genitori sono morti. Le minacce non gli farebbero più paura. L'uomo che fa questo racconto davanti alle telecamere della Leosini, ha adesso 47 anni. Un lavoro vero e proprio non sa però cosa sia. Sgobba, fatica da uno sfasciacarrozze, si arrangia, la sua fedina penale non si ferma all'uccisione di Pasolini. Non ha neppure la patente: "Ma com'è che qui i grandi criminali escono dar carcere, e io niente?"
Parla con la "zeppola" Pino Pelosi, producendo il suono di una certa "esse", la stessa che soltanto alcuni "coatti" romani sanno mettere a disposizione del fonologo. Gli storici avvocati di parte civile Nino Marazzita e Guido Calvi, presenti nello stesso studio, lo osservano come accade con i casi umani risaputi. Convengono comunque su un fatto: non è giusto che nessuno gli dia un lavoro pulito.
Le cose adesso stanno così: le parole di Pelosi, l'uomo condannato a nove anni di carcere per l'assassinio, l'ossessione processuale in un Paese che non riesce a portare mai a compimento un giudizio sui suoi grandi crimini contro la sensazione di una perdita intellettuale e critica irreparabile.
Bisognerà pure fare una scelta? Ora che sono trascorsi trent'anni e i reperti di quella notte dimorano al Museo di criminologia di Roma.
Giuseppe Zigaina ha sostenuto invece la morte come "sigla finale", come "martirio"; è una tesi suggestiva, una tesi che può essere certamente utile a coloro che vogliono far prevalere una lettura "religiosa" del percorso pasoliniano in luogo di quella "politica".
Zigaina mette in fila alcune cose: "Lui si fa uccidere, e martirio vuol dire testimonianza, a Ostia, che vuol dire vittima sacrificale, il 2 di novembre, giorno dei morti, di domenica, come muoiono tutti i protagonisti delle sue opere". Se fosse davvero così, "Salò o Le 120 giornate di Sodoma" andrebbe forse letto "in chiave"?
Quando Zigaina ha pronunciato queste sue tesi durante un dibattito televisivo, Enzo Golino, che a Pasolini ha dedicato due splendidi saggi, ha cercato di riportare le cose su un piano di realtà. Inutilmente. Visto che Zigaina non sembra sfiorato dal dubbio. Golino, va detto, nel maggio del 1980, tempi non sospetti, scrisse un lungo intervento su "la Repubblica", il suo giornale, intitolato "Pasolinificio s.p.a.", e questo per segnalare la necessità di sottrarre lo scrittore a coloro che ne facevano "merce di scambio", invece di studiarlo criticamente, auspicio che poi si è rivelato fruttuoso con l'edizione dei "Meridiani" Mondadori dedicati alla sua opera.
Ma c'è ancora tempo per rispondere. Nel frattempo Sergio Citti, benché ammalato, ha chiesto a sua volta d'essere chiamato a testimoniare, Citti ha perfino un nome da fare ai magistrati, e poi una convinzione radicata: "Pier Paolo non voleva morire, uno che vuole morire non va a Milano a rifarsi i denti un mese prima".
Un Sergio Citti dimagrito, poco più di un filo di voce, gli occhi dei cardiopatici, si mostra in televisione per confermare di non essersi arreso, pretende un po' di verità. Prima di morire, vuole chiarezza.
Anche Oriana Fallaci ebbe modo di parlare di un "testimone misterioso", e perfino ne scrisse: "Un poveretto che appartiene al mondo dei prostituti romani, cinquemila al colpo, dieci se va bene, e zitto sennò ti ritrovi morto anche te sul sentiero di qualche borgata. Chi ha visto il suo volto pallido di paura, i suoi occhi bagnati di angoscia, chi ha udito la sua voce disperata mentre si raccomandava: "Tu me devi capì, cerca de capì, la verità io ce l'ho qua in bocca. E me brucia. Vorrei dirtela proprio, vorrei dirtela tutta. Ma nun ce la faccio perché quelli m'ammazzeno con 'na pistolettata in bocca".
"Pelosi e il fantasma di Pasolini", s'intitola così la postfazione che Dacia Maraini ha scritto qualche anno fa al volume "Io, angelo nero" memoria dedicata da Pino Pelosi all'omicidio di Pasolini. Vale la pena leggerne qualche frammento: "Se Pasolini avesse voluto architettare una vendetta postuma non avrebbe potuto inventare niente di più inquietante e romanzesco: il suo assassino, da ragazzo indifferente, svogliato, semianalfabeta, violento, bugiardo, apatico ed egoista, si è trasformato, attraverso la famigliarità col fantasma della sua vittima, come lui stesso racconta, in un giovane uomo inquieto, pensoso, capace di soffrire e quindi anche di capire ciò che prima gli era estraneo, voglioso di apprendere e perfino di scrivere. (...) Nella sua vita randagia era prevista anche qualche piccola concessione sessuale in cambio di soldi," prosegue Dacia Maraini, "eppure Pelosi insiste che non è mai stato una marchetta". "Tutto quell'inferno per un pompino da ventimila lire" dice a pagina 45. (...) Pelosi dice che Pasolini era conosciuto per il suo masochismo. Anche noi amici lo sapevamo. Pasolini non avrebbe mai fatto del male a nessuno, mai avrebbe minacciato e violentato. Lui semmai cercava qualcuno che, in un gioco erotico, lo malmenasse un poco".
La nuova versione di Pelosi o piuttosto la semplice riflessione sulla perdita irreparabile di uno scrittore coraggioso? Cosa scegliere? Forse non c'è più tempo per rispondere.
Qualche giorno dopo le sue nuove rivelazioni Pino Pelosi detto "la rana" è stato arrestato sulla strada che da Orte porta ad Attigliano. Nella borsa di un ragazza che stava insieme a lui sono stati trovati infatti 400 grammi di cocaina.
Roma, 22 maggio 2005, ore 16.30, conversazione con Silvio Parrello, "Pecetto".
Chi c'era all'Idroscalo?
"Da quello che ha detto Pelosi c'erano altri tre".
È vero, ma chi potrebbero essere, secondo lei?
"Malavita romana, e uno che aveva un plantare numero 41, piede destro".
Sì, ma questo dove ci porta?
"Porta alla realtà che non sono state fatte indagini sul plantare".
E se le avessero fatte?
"Sarebbero arrivati subito al proprietario, in quanto nell'ambito della malavita romana, s'intende in quegli anni, erano soltanto in tre a portare il plantare, e non certo tutti e tre piede destro e 41".
Anche sull'auto lei dice di nutrire forti dubbi...
"Quando i tre, o magari erano in quattro, scapparono Pelosi disse: 'Ma che me lassate qua solo?' C'è quindi da supporre che la manovra sia stata fatta da professionisti, altrimenti sarebbe andato addosso alle baracche o allo steccato".
Cosa dobbiamo allora pensare?
"Un'altra macchina, c'è da pensare questo, leggendo attentamente la perizia di parte civile, scritta da Faustino Durante. Non può essere stata la Giulia GT 2000 di Pasolini perché questa non recava i segni dovuti sulla coppa dell'olio, il frontale e il terminale della marmitta".
Quali conclusioni ne ha tratto?
"Da tempo nel quartiere di Donna Olimpia gira voce che un personaggio, certo Antonio Pinna, assiduo frequentatore di Pasolini negli ultimi tempi per motivi che non sono chiari, il 14 febbraio 1976, a processo iniziato, scompare nel nulla, la sua auto fu rinvenuta parcheggiata all'aeroporto di Fiumicino, sempre nel quartiere si dice che fu eliminato perché sapeva la verità sulla morte di Pasolini".
E Pelosi che ruolo effettivo avrebbe avuto?
"In televisione secondo me ha detto la verità, cioè che non poteva conoscere i tre aggressori, ma lui deve comunque sapere il nome di chi gli ha dato i soldi per menare Pasolini in quanto 'frocio', questo stando all'articolo scritto dalla Fallaci dietro testimonianza di tale Sotgiu che assistette alla due brevi telefonate fatta da Pelosi al Bar Grand'Italia. Pare che Pelosi stesse parlando con un certo Franz, o Frank, dicendogli: 'Io ce sto, ma solo per un po' de botte, non oltre, e porta er dollaro'. Per avere scritto queste cose la Fallaci fu denunciata a suo tempo".
Scusi l'insistenza: e allora Pelosi?
"Innanzitutto è stato un ragazzo sfortunato per essersi ritrovato in quella circostanza, e doppiamente perché non poteva essere condannato a nove anni, in quanto dagli atti ufficiali risulta che lui, minorenne, si sarebbe soprattutto difeso per poi scappare terrorizzato. Ma sarà scappato davvero dall'Idroscalo?"
Dagospia 13 Luglio 2005