"BASTA CON LE STAR DEL TERRORISMO" - DA MARIA FIDA MORO A DALLA CHIESA: UNA LEGGE DI PAR CONDICIO PER LE APPARIZIONI IN TV - L'EX BR ADRIANA FARANDA: "LO STATO ISTITUISCA LA PENA DI MORTE E RISOLVIAMO IL PROBLEMA".
1 - "BASTA CON LE STAR DEL TERRORISMO"
Flavia Amabile per La Stampa
Terroristi, basta. Ora anche noi vogliamo la par condicio. La prossima settimana sul tavolo del Presidente della Repubblica giungerà una lettera. A firmarla sono i familiari delle vittime di terrorismo e mafia, da Moro a Dalla Chiesa, ma anche i familiari di vittime del terrorismo internazionale, da Kindu a Nassiriya. Tutti insieme chiedono una legge che preveda «par condicio», e cioè «pari opportunità di espressione, pari spazi e pari tempi», vale a dire parlare quanto e come i terroristi.
La lettera è in rete sul sito www.scienzaperlavita.org. Prima firmataria Maria Fida Moro, figlia di Aldo Moro. Secondo firmatario il figlio Luca e poi il giudice Ferdinando Imposimato, magistrato che si è occupato a lungo del caso Moro ma in questo caso soprattutto fratello di Francesco, il sindacalista ucciso in un agguato nel 1983 a Campolongo di Maddaloni, in provincia di Caserta. E poi Falco Accame, presidente dell'Associazione italiana assistenza vittime arruolati nelle forze armate (Anavafaf). E Mariella Magi Dionisi, presidente dell'Associazione Memoria Caduti per il terrorismo e vedova di Fausto Dionisi ucciso da Prima Linea a Firenze e medaglia d'oro al valore civile.
In sostanza i familiari dicono: «Da sempre, almeno nel caso Moro, alcuni
brigatisti o terroristi che siano, si atteggiano a divi, fanno gli opinionisti e gli ideologi, parlano e straparlano, presentano libri, dibattono, appaiono in televisione e vi lavorano, lavorano anche nel cinema, danno interviste, scrivono articoli, vengono intervistati alla radio, con disinvoltura fanno gli esperti ed i consulenti e vengono trattati con una deferenza degna di miglior causa e con rispetto che, invece, non viene quasi mai tributato alle vittime».
Di qui la richiesta di par condicio sulla base «dell'articolo 3 e dell'articolo 111 della Costituzione» perché «lo Stato - attraverso il Parlamento e le altre istituzioni - metta in atto un codice etico di autoregolamentazione e dichiari per legge che i carnefici facciano silenzio, siano oscurati o almeno che si preveda e si attui una par condicio tra gli assassini e i familiari delle vittime».
Al di fuori della lettera Ferdinando Imposimato tenta di spiegare: «Il problema esiste ed è grave perché vedere ogni giorno sotto le luci della ribalta i protagonisti di fatti di sangue ai quali pure comunque rivolgiamo il nostro perdono, è qualcosa che umilia le vittime e i loro familiari hanno la sensazione di essere abbandonati, ignorati. Tutto è nato soprattutto con il film di Bellocchio (Buongiorno notte, a sua volta tratto dal libro di Anna Laura Braghetti, la carceriera di Aldo Moro, ndr)».
All'epoca infatti vi fu una furiosa polemica a cui parteciparono molti dei firmatari di questa lettera, da Maria Fida Moro a Falco Accame. Allora, settembre del 2003, Maria Fida Moro protestò violentemente proprio in un'intervista a La Stampa: «Oggi oltre ad ammazzare mio padre hanno ammazzato anche la sua famiglia» e poi spiegava: «Li ho perdonati e lo rifarei ancora, ma ce l'ho con un sistema che permette ai brigatisti di parlare, spesso a vanvera, e che non ospita nemmeno le rettifiche della famiglia».
Falco Accame invece ironizzò sul film che aveva «uno scopo educational e di viaggio interiore», ma, si chiedeva, «e la vera storia? Non ha importanza!». A distanza di quasi tre anni Accame sostiene che «quel film era uno schifo e la situazione delle famiglie delle vittime anche. Per questo è necessario un appello come questo. Non si può andare avanti così!».
Basta! è il grido che arriva anche da Mariella Magi Dionisi: «E' insostenibile quello che sta accadendo, un codice o un'autoregolamentazione sono necessarie». Se le si chiede un episodio particolare che l'abbia ferita risponde: «No, non mi viene in mente, sono stati talmente tanti nel corso di questi anni...».
Don Luigi Ciotti che periodicamente organizza marce e manifestazioni per le vittime di mafia e terrorismo è per l'appunto a Gela a parlare di mafia. Non ha ancora letto il testo della lettera ma - afferma - «se si tratta di chiedere un alleviamento delle pene dei familiari delle vittime non posso che essere d'accordo su quest'iniziativa».
2 - ADRIANA FARANDA: «HO PAGATO. ADESSO VOGLIO VIVERE».
Enrica Brocardo per "Vanity Fair"
«Lo Stato istituisca la pena di morte e risolviamo il problema». E la prima reazione di Adriana Faranda, 56 anni, di fonte alle critiche per la sua partecipazione alla Fiera del libro di Torino. L'ex brigatista rossa (che ha partecipalo al sequestro di Aldo Moro) ha presentato il suo libro, "Il volo della farfalla" (Rizzoli), poi ha fatto un giro fra gli stand e uno allo festa dell'Einaudi. Troppo, secondo alcuni, che l'hanno criticata.
«Parlare di pena di morte è una provocazione. Ma c'è davvero chi ci vorrebbe rinchiusi in una prigione permanente, quella dell'emarginazione. Non solo noi ex terroristi, ma anche gli ex detenuti comuni».
Il caso degli ex brigatisti, però, è diverso: le ferite non riguardano singoli individui, ma l'intera società.
«E vero. Il terrorismo ha segnato il paese in modo diverso da quello di un rapinatore o un marito geloso assassino per passione. E rispetto il diritto a contestarmi, ma non amo le ipocrisie e i pregiudizi».
A che cosa si riferisce?
«Non si può farmi uscire dal carcere e poi "spararmi" appena metto fuori la testa. È ipocrita aderire ai principi della riabilitazione e del reinserimento nella società e poi non accettarci nella vita reale. Una persona che ha scontato la pena ha il diritto di andare a comprare dei libri, di parlare con le persone. Senza esibizionismi, ma questo è un problema di buongusto, non di diritti. Visto, oltretutto, che il centrodestra ha alcuni estremisti neo eletti che testimoniano questa rielaborazione della memoria».
Queste le ipocrisie. E i pregiudizi?
«Chi mi addita non tiene conto del fatto che il mio libro racconta un percorso di superamento dell'intolleranza, della violenza. Prima di chiudermi la porta in faccia perché non cercate di capire di che cosa parlo?».
Si dice che la sua presenza possa offendere i familiari delle vittime.
«Il rapporto tra chi ha arrecato dolore e le vittime è privato. Questo argomento viene spesso usato in modo strumentale da chi non è stato colpito. Quelle stesse persone che, magari senza saperlo, civettano con i mandanti delle stragi irrisolte degli anni '70, '80, o con imprenditori che mettono a rischio la vita degli operai che lavorano per loro».
Aveva messo in conto queste critiche?
«Pensavo che parlare dei problemi del carcere fosse più importante. Ora, però, comincio ad avere dei dubbi se quello che ci è consentito e richiesto è solo di sottoporci alla tortura dei mea culpa, per poi respingerci al margine nel momento in cui ci mostriamo come persone normali».
Dagospia 19 Maggio 2006
Flavia Amabile per La Stampa
Terroristi, basta. Ora anche noi vogliamo la par condicio. La prossima settimana sul tavolo del Presidente della Repubblica giungerà una lettera. A firmarla sono i familiari delle vittime di terrorismo e mafia, da Moro a Dalla Chiesa, ma anche i familiari di vittime del terrorismo internazionale, da Kindu a Nassiriya. Tutti insieme chiedono una legge che preveda «par condicio», e cioè «pari opportunità di espressione, pari spazi e pari tempi», vale a dire parlare quanto e come i terroristi.
La lettera è in rete sul sito www.scienzaperlavita.org. Prima firmataria Maria Fida Moro, figlia di Aldo Moro. Secondo firmatario il figlio Luca e poi il giudice Ferdinando Imposimato, magistrato che si è occupato a lungo del caso Moro ma in questo caso soprattutto fratello di Francesco, il sindacalista ucciso in un agguato nel 1983 a Campolongo di Maddaloni, in provincia di Caserta. E poi Falco Accame, presidente dell'Associazione italiana assistenza vittime arruolati nelle forze armate (Anavafaf). E Mariella Magi Dionisi, presidente dell'Associazione Memoria Caduti per il terrorismo e vedova di Fausto Dionisi ucciso da Prima Linea a Firenze e medaglia d'oro al valore civile.
In sostanza i familiari dicono: «Da sempre, almeno nel caso Moro, alcuni
brigatisti o terroristi che siano, si atteggiano a divi, fanno gli opinionisti e gli ideologi, parlano e straparlano, presentano libri, dibattono, appaiono in televisione e vi lavorano, lavorano anche nel cinema, danno interviste, scrivono articoli, vengono intervistati alla radio, con disinvoltura fanno gli esperti ed i consulenti e vengono trattati con una deferenza degna di miglior causa e con rispetto che, invece, non viene quasi mai tributato alle vittime».
Di qui la richiesta di par condicio sulla base «dell'articolo 3 e dell'articolo 111 della Costituzione» perché «lo Stato - attraverso il Parlamento e le altre istituzioni - metta in atto un codice etico di autoregolamentazione e dichiari per legge che i carnefici facciano silenzio, siano oscurati o almeno che si preveda e si attui una par condicio tra gli assassini e i familiari delle vittime».
Al di fuori della lettera Ferdinando Imposimato tenta di spiegare: «Il problema esiste ed è grave perché vedere ogni giorno sotto le luci della ribalta i protagonisti di fatti di sangue ai quali pure comunque rivolgiamo il nostro perdono, è qualcosa che umilia le vittime e i loro familiari hanno la sensazione di essere abbandonati, ignorati. Tutto è nato soprattutto con il film di Bellocchio (Buongiorno notte, a sua volta tratto dal libro di Anna Laura Braghetti, la carceriera di Aldo Moro, ndr)».
All'epoca infatti vi fu una furiosa polemica a cui parteciparono molti dei firmatari di questa lettera, da Maria Fida Moro a Falco Accame. Allora, settembre del 2003, Maria Fida Moro protestò violentemente proprio in un'intervista a La Stampa: «Oggi oltre ad ammazzare mio padre hanno ammazzato anche la sua famiglia» e poi spiegava: «Li ho perdonati e lo rifarei ancora, ma ce l'ho con un sistema che permette ai brigatisti di parlare, spesso a vanvera, e che non ospita nemmeno le rettifiche della famiglia».
Falco Accame invece ironizzò sul film che aveva «uno scopo educational e di viaggio interiore», ma, si chiedeva, «e la vera storia? Non ha importanza!». A distanza di quasi tre anni Accame sostiene che «quel film era uno schifo e la situazione delle famiglie delle vittime anche. Per questo è necessario un appello come questo. Non si può andare avanti così!».
Basta! è il grido che arriva anche da Mariella Magi Dionisi: «E' insostenibile quello che sta accadendo, un codice o un'autoregolamentazione sono necessarie». Se le si chiede un episodio particolare che l'abbia ferita risponde: «No, non mi viene in mente, sono stati talmente tanti nel corso di questi anni...».
Don Luigi Ciotti che periodicamente organizza marce e manifestazioni per le vittime di mafia e terrorismo è per l'appunto a Gela a parlare di mafia. Non ha ancora letto il testo della lettera ma - afferma - «se si tratta di chiedere un alleviamento delle pene dei familiari delle vittime non posso che essere d'accordo su quest'iniziativa».
2 - ADRIANA FARANDA: «HO PAGATO. ADESSO VOGLIO VIVERE».
Enrica Brocardo per "Vanity Fair"
«Lo Stato istituisca la pena di morte e risolviamo il problema». E la prima reazione di Adriana Faranda, 56 anni, di fonte alle critiche per la sua partecipazione alla Fiera del libro di Torino. L'ex brigatista rossa (che ha partecipalo al sequestro di Aldo Moro) ha presentato il suo libro, "Il volo della farfalla" (Rizzoli), poi ha fatto un giro fra gli stand e uno allo festa dell'Einaudi. Troppo, secondo alcuni, che l'hanno criticata.
«Parlare di pena di morte è una provocazione. Ma c'è davvero chi ci vorrebbe rinchiusi in una prigione permanente, quella dell'emarginazione. Non solo noi ex terroristi, ma anche gli ex detenuti comuni».
Il caso degli ex brigatisti, però, è diverso: le ferite non riguardano singoli individui, ma l'intera società.
«E vero. Il terrorismo ha segnato il paese in modo diverso da quello di un rapinatore o un marito geloso assassino per passione. E rispetto il diritto a contestarmi, ma non amo le ipocrisie e i pregiudizi».
A che cosa si riferisce?
«Non si può farmi uscire dal carcere e poi "spararmi" appena metto fuori la testa. È ipocrita aderire ai principi della riabilitazione e del reinserimento nella società e poi non accettarci nella vita reale. Una persona che ha scontato la pena ha il diritto di andare a comprare dei libri, di parlare con le persone. Senza esibizionismi, ma questo è un problema di buongusto, non di diritti. Visto, oltretutto, che il centrodestra ha alcuni estremisti neo eletti che testimoniano questa rielaborazione della memoria».
Queste le ipocrisie. E i pregiudizi?
«Chi mi addita non tiene conto del fatto che il mio libro racconta un percorso di superamento dell'intolleranza, della violenza. Prima di chiudermi la porta in faccia perché non cercate di capire di che cosa parlo?».
Si dice che la sua presenza possa offendere i familiari delle vittime.
«Il rapporto tra chi ha arrecato dolore e le vittime è privato. Questo argomento viene spesso usato in modo strumentale da chi non è stato colpito. Quelle stesse persone che, magari senza saperlo, civettano con i mandanti delle stragi irrisolte degli anni '70, '80, o con imprenditori che mettono a rischio la vita degli operai che lavorano per loro».
Aveva messo in conto queste critiche?
«Pensavo che parlare dei problemi del carcere fosse più importante. Ora, però, comincio ad avere dei dubbi se quello che ci è consentito e richiesto è solo di sottoporci alla tortura dei mea culpa, per poi respingerci al margine nel momento in cui ci mostriamo come persone normali».
Dagospia 19 Maggio 2006