QUESTA RISTRUTTURAZIONE NON S'HA DA FARE: SEI DEBOLE, CARO TRONCHETTI, PER CUI DEVI VENIRE A PATTI CON NOI - IL COLLOQUIO TRONCHETTI-PRODI A CERNOBBIO - PAOLO PANERAI SVELA SU "MF" TUTTI I RETROSCENA DELLE GIRAVOLTE DI PRODI.
Paolo Panerai per "MF-Milano Finanza"
«Dovevano informarmi». Le parole di Romano Prodi, battute dalle agenzie alle 13,18 di ieri, hanno suggellato una giornata carica di dichiarazioni governative di rigetto della ristrutturazione societaria annunciata da Telecom. Un crescendo che appunto trovava in Prodi l'acuto del tenore. «Su un'operazione del genere il governo ha diritto di sapere», ha aggiunto Prodi con il tono fra il remissivo e il profetico che ama usare, ricordando che dieci giorni fa aveva avuto un lungo, cordiale e approfondito colloquio con Marco Tronchetti Provera «e non mi aveva accennato a una ristrutturazione societaria così importante, così radicale e così diversa dalla strategia che lui stesso aveva proposto due anni fa. La mia reazione è stata di sorpresa».
Ma davvero Prodi non sapeva? Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, le cose non stanno per niente così. Prodi e i suoi principali consiglieri erano stati messi al corrente di che cosa preparavano per Telecom Marco Tronchetti Provera e i suoi collaboratori. Messi al corrente è anzi dire poco. Perché nelle scelte di Tronchetti, Prodi e alcuni suoi collaboratori strettissimi hanno avuto anche un ruolo più che attivo. Per comprendere questa escalation nei rapporti tra l'esecutivo e il maggior industriale privato italiano occorre fare un passo indietro, partendo dallo scorso mese di luglio. Un mese in cui, come in una miscela, si confondevano tra loro elementi diversi ma ugualmente micidiali.
Come le paginate di Repubblica sullo scandalo delle intercettazioni parallele e sulle responsabilità di uomini di Tronchetti sul caso Abu Omar, a cui seguiva la tragica scomparsa del capo della sicurezza Adamo Bove. O come le reazioni all'anticipazione dei dati semestrali, in cui si evidenziava un aumento del livello di indebitamento, peraltro con l'impegno di riportarlo a breve entro i limiti a suo tempo annunciati. In quel frangente, dagli uomini di governo era partito un tam-tam continuo: Telecom Italia era troppo indebitata, e quindi preda ideale per una scalata; ma non si poteva permettere al raider, magari estero, di mettere le mani sull'infrastruttura di rete delle tlc. Per cui Tronchetti doveva vendere la rete, magari alla Cassa depositi e prestiti, l'unica in grado di mettere sul piatto tanti soldi parlando italiano, così come aveva fatto con Enel e Terna.
Seguirono smentite puntuali da tutti gli interessati, ma intanto il messaggio era partito: sei debole, caro Tronchetti, per cui devi venire a patti con noi. E c'era anche chi si apprestava a brandire un'altra arma: il canone, da rimettere in discussione.
Allo stesso tempo quella che fino ad allora era la strategia industriale di Telecom Italia, ovvero la convergenza tra fisso e mobile, che nasceva dall'opportunità di applicare il protocollo internet e la banda larga per offrire servizi a costo più contenuto mediante l'unificazione commerciale e di marketing delle piattaforme di trasmissione, subiva una serie ininterrotta di stop regolatori: offerte bloccate, come quella di Unico, azioni delle Authority contro l'incumbent con tariffe che l'Unione europea ha considerato penalizzanti per la società guidata da Tronchetti, ma non per questo modificate, fino alla richiesta da parte dell'Agcom di aprire la rete di accesso, anche per evitare ulteriori sanzioni. E facendo sapere, attraverso dichiarazioni dei vari commissari, che aprirla all'inglese, con una semplice business unit, non sarebbe bastato.
E in borsa il titolo, dal 20 aprile, aveva perso il 15%. A nulla servivano gli incontri e i dati che il gruppo forniva al mercato e alla politica per dimostrare che il livello del debito per Olimpia e Telecom sarebbe stato più che sostenibile, per anni.
Era il tempo in cui Tronchetti intavolava con Rupert Murdoch un negoziato che prevedeva anche l'ingresso diretto in Olimpia, su cui Tronchetti, assicura chi ha partecipato alle trattative, aveva informato sia Prodi sia gli altri ministri di competenza, tra cui Massimo D'Alema, Pierluigi Bersani, Paolo Gentiloni, impegnandosi con tutti a non cedere il controllo e ricevendo un via libera e un supporto per le implicazioni con le Authority.
Il governo era così tanto informato che Murdoch aveva scelto Claudio Costamagna come suo consulente (lo squalo non sbaglia mai, vista la vicinanza di Costamagna a Prodi). Costamagna, secondo quanto riferisce un altro merchant banker (i banchieri fra loro si parlano), era stato molto equivoco. Incontrandolo, Tronchetti si era meravigliato delle affermazioni di Murdoch secondo cui il governo non vedeva problemi in un rapporto paritetico tra lui e Telecom.
Agli inizi di settembre, nell'apparente casualità del convegno Ambrosetti a Villa d'Este, Tronchetti e Prodi si sono incontrati e hanno parlato direttamente alla presenza del fidato (di Tronchetti) Riccardo Perissich e di Daniele De Giovanni, capo dell'ufficio della presidenza del consiglio. Tema: le difficoltà mediatiche, regolatorie e l'atmosfera politica che c'erano sul debito, tutti elementi che lo avrebbero portato a comunicare a Murdoch, nell'incontro programmato in Grecia, che Tim poteva essere separata e forse venduta, approfittando anche di un trend di convergenza che andava sempre più spostandosi verso la banda larga rispetto al mobile. Prodi e De Giovanni, secondo il report agli advisor di Telecom, hanno preso buona nota, senza sollevare obiezioni.
Ma tre giorni dopo, racconta un altro merchant banker presente alle trattative, Angelo Rovati, alter ego del Professore, capo della raccolta fondi del presidente del consiglio, suo consigliere a Palazzo Chigi e fresco sposo di Chiara Boni, faceva sapere allo staff di Tronchetti di avere un piano realizzato da un consulente, e noto solo al professor Prodi, che aveva del taumaturgico, essendo in grado di risolvere tutti i problemi del debito di Telecom.
Il contenuto del piano, trasmesso il 6 settembre, era secco e chiaro: Telecom doveva cedere la rete di accesso, perché ne avrebbe avuto convenienza. Tronchetti, racconta sempre il banker, prese tempo con Rovati, rinviando ogni valutazione ma manifestando subito un certo disappunto. È in questa cornice che si è svolto l'incontro con Murdoch. Immediatamente entrato in stallo sul fronte Murdoch, perché il capo della Pirelli non voleva recedere né sul controllo né sui valori degli asset in gioco.
Tornato dalla Grecia Tronchetti. ha chiamato Rovati, con due indicazioni: la prima, che recepiva il consiglio e si sarebbe mosso nella direzione della separazione societaria della rete; la seconda, che aveva bisogno di un benign neglect da parte del governo su una possibile cessione di Tim e il relativo supporto con le Authority. La replica di Rovati è arrivata fino agli advisor: andate avanti, quella è la strada giusta. Ma l'8 settembre il Messaggero ha pubblicato un corsivo in cui Prodi avrebbe detto ai suoi di essere assolutamente contrario alla vendita di Tìm. Immediato contatto con Rovati e immediata rassicurazione del marito di Chiara Boni, leggendo un comunicato di Palazzo Chigi in cui si dichiarava la volontà del governo di non interferire sulle decisioni di una società privata libera come Telecom. E solo dopo pochi minuti il testo di quel comunicato è stato battuto da tutte le agenzie, Ansa in testa.
Ma le anime di Palazzo Chigi sulla questione sembrano essere più di una, o comunque Rovati non rappresenta Prodi, se è vero che, prima della riunione del cda Telecom di lunedì scorso, De Giovanni ha comunicato a Perissich l'irritazione del premier per la cessione di Tim. Ma il colloquio di Villa D'Este? E il comunicato del governo? Il consigliere economico di Prodi ha ribattuto dicendo che il premier considerava l'ipotesi di cessione come una mera arena negoziale e che non sapeva nulla del comunicato.
L' 11 settembre Telecom ha comunicato quanto a suo tempo esposto da Tronchetti. E ieri è cominciato lo stillicidio: da Oliviero Diliberto a Fausto Bertinotti, da Paolo Ferrero a Piero Fassino, su su per li rami, fino al diktat del Professore. E di fatto, ministeri, Authority e quant'altro sono sguinzagliati, novelli Bravi di manzoniana memoria, perché questa ristrutturazione non s'abbia da fare. Anche se, a giudizio di veri esperti come Elserino Piol, appare assolutamente razionale la scelta strategica di diminuire l'investimento nella telefonia mobile, vista la caduta di redditività causata da una concorrenza spesso disperata ma sostenuta dalle autorità, a favore della focalizzazione sulla banda larga e la diffusione di contenuti media con margini assai più alti. Si dice: ma la fusione con Tim è solo di due anni fa. Come se fosse un'infamia accorgersi che il vento tira da un'altra parte e quindi conviene cambiare rotta.
Dagospia 13 Settembre 2006
«Dovevano informarmi». Le parole di Romano Prodi, battute dalle agenzie alle 13,18 di ieri, hanno suggellato una giornata carica di dichiarazioni governative di rigetto della ristrutturazione societaria annunciata da Telecom. Un crescendo che appunto trovava in Prodi l'acuto del tenore. «Su un'operazione del genere il governo ha diritto di sapere», ha aggiunto Prodi con il tono fra il remissivo e il profetico che ama usare, ricordando che dieci giorni fa aveva avuto un lungo, cordiale e approfondito colloquio con Marco Tronchetti Provera «e non mi aveva accennato a una ristrutturazione societaria così importante, così radicale e così diversa dalla strategia che lui stesso aveva proposto due anni fa. La mia reazione è stata di sorpresa».
Ma davvero Prodi non sapeva? Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, le cose non stanno per niente così. Prodi e i suoi principali consiglieri erano stati messi al corrente di che cosa preparavano per Telecom Marco Tronchetti Provera e i suoi collaboratori. Messi al corrente è anzi dire poco. Perché nelle scelte di Tronchetti, Prodi e alcuni suoi collaboratori strettissimi hanno avuto anche un ruolo più che attivo. Per comprendere questa escalation nei rapporti tra l'esecutivo e il maggior industriale privato italiano occorre fare un passo indietro, partendo dallo scorso mese di luglio. Un mese in cui, come in una miscela, si confondevano tra loro elementi diversi ma ugualmente micidiali.
Come le paginate di Repubblica sullo scandalo delle intercettazioni parallele e sulle responsabilità di uomini di Tronchetti sul caso Abu Omar, a cui seguiva la tragica scomparsa del capo della sicurezza Adamo Bove. O come le reazioni all'anticipazione dei dati semestrali, in cui si evidenziava un aumento del livello di indebitamento, peraltro con l'impegno di riportarlo a breve entro i limiti a suo tempo annunciati. In quel frangente, dagli uomini di governo era partito un tam-tam continuo: Telecom Italia era troppo indebitata, e quindi preda ideale per una scalata; ma non si poteva permettere al raider, magari estero, di mettere le mani sull'infrastruttura di rete delle tlc. Per cui Tronchetti doveva vendere la rete, magari alla Cassa depositi e prestiti, l'unica in grado di mettere sul piatto tanti soldi parlando italiano, così come aveva fatto con Enel e Terna.
Seguirono smentite puntuali da tutti gli interessati, ma intanto il messaggio era partito: sei debole, caro Tronchetti, per cui devi venire a patti con noi. E c'era anche chi si apprestava a brandire un'altra arma: il canone, da rimettere in discussione.
Allo stesso tempo quella che fino ad allora era la strategia industriale di Telecom Italia, ovvero la convergenza tra fisso e mobile, che nasceva dall'opportunità di applicare il protocollo internet e la banda larga per offrire servizi a costo più contenuto mediante l'unificazione commerciale e di marketing delle piattaforme di trasmissione, subiva una serie ininterrotta di stop regolatori: offerte bloccate, come quella di Unico, azioni delle Authority contro l'incumbent con tariffe che l'Unione europea ha considerato penalizzanti per la società guidata da Tronchetti, ma non per questo modificate, fino alla richiesta da parte dell'Agcom di aprire la rete di accesso, anche per evitare ulteriori sanzioni. E facendo sapere, attraverso dichiarazioni dei vari commissari, che aprirla all'inglese, con una semplice business unit, non sarebbe bastato.
E in borsa il titolo, dal 20 aprile, aveva perso il 15%. A nulla servivano gli incontri e i dati che il gruppo forniva al mercato e alla politica per dimostrare che il livello del debito per Olimpia e Telecom sarebbe stato più che sostenibile, per anni.
Era il tempo in cui Tronchetti intavolava con Rupert Murdoch un negoziato che prevedeva anche l'ingresso diretto in Olimpia, su cui Tronchetti, assicura chi ha partecipato alle trattative, aveva informato sia Prodi sia gli altri ministri di competenza, tra cui Massimo D'Alema, Pierluigi Bersani, Paolo Gentiloni, impegnandosi con tutti a non cedere il controllo e ricevendo un via libera e un supporto per le implicazioni con le Authority.
Il governo era così tanto informato che Murdoch aveva scelto Claudio Costamagna come suo consulente (lo squalo non sbaglia mai, vista la vicinanza di Costamagna a Prodi). Costamagna, secondo quanto riferisce un altro merchant banker (i banchieri fra loro si parlano), era stato molto equivoco. Incontrandolo, Tronchetti si era meravigliato delle affermazioni di Murdoch secondo cui il governo non vedeva problemi in un rapporto paritetico tra lui e Telecom.
Agli inizi di settembre, nell'apparente casualità del convegno Ambrosetti a Villa d'Este, Tronchetti e Prodi si sono incontrati e hanno parlato direttamente alla presenza del fidato (di Tronchetti) Riccardo Perissich e di Daniele De Giovanni, capo dell'ufficio della presidenza del consiglio. Tema: le difficoltà mediatiche, regolatorie e l'atmosfera politica che c'erano sul debito, tutti elementi che lo avrebbero portato a comunicare a Murdoch, nell'incontro programmato in Grecia, che Tim poteva essere separata e forse venduta, approfittando anche di un trend di convergenza che andava sempre più spostandosi verso la banda larga rispetto al mobile. Prodi e De Giovanni, secondo il report agli advisor di Telecom, hanno preso buona nota, senza sollevare obiezioni.
Ma tre giorni dopo, racconta un altro merchant banker presente alle trattative, Angelo Rovati, alter ego del Professore, capo della raccolta fondi del presidente del consiglio, suo consigliere a Palazzo Chigi e fresco sposo di Chiara Boni, faceva sapere allo staff di Tronchetti di avere un piano realizzato da un consulente, e noto solo al professor Prodi, che aveva del taumaturgico, essendo in grado di risolvere tutti i problemi del debito di Telecom.
Il contenuto del piano, trasmesso il 6 settembre, era secco e chiaro: Telecom doveva cedere la rete di accesso, perché ne avrebbe avuto convenienza. Tronchetti, racconta sempre il banker, prese tempo con Rovati, rinviando ogni valutazione ma manifestando subito un certo disappunto. È in questa cornice che si è svolto l'incontro con Murdoch. Immediatamente entrato in stallo sul fronte Murdoch, perché il capo della Pirelli non voleva recedere né sul controllo né sui valori degli asset in gioco.
Tornato dalla Grecia Tronchetti. ha chiamato Rovati, con due indicazioni: la prima, che recepiva il consiglio e si sarebbe mosso nella direzione della separazione societaria della rete; la seconda, che aveva bisogno di un benign neglect da parte del governo su una possibile cessione di Tim e il relativo supporto con le Authority. La replica di Rovati è arrivata fino agli advisor: andate avanti, quella è la strada giusta. Ma l'8 settembre il Messaggero ha pubblicato un corsivo in cui Prodi avrebbe detto ai suoi di essere assolutamente contrario alla vendita di Tìm. Immediato contatto con Rovati e immediata rassicurazione del marito di Chiara Boni, leggendo un comunicato di Palazzo Chigi in cui si dichiarava la volontà del governo di non interferire sulle decisioni di una società privata libera come Telecom. E solo dopo pochi minuti il testo di quel comunicato è stato battuto da tutte le agenzie, Ansa in testa.
Ma le anime di Palazzo Chigi sulla questione sembrano essere più di una, o comunque Rovati non rappresenta Prodi, se è vero che, prima della riunione del cda Telecom di lunedì scorso, De Giovanni ha comunicato a Perissich l'irritazione del premier per la cessione di Tim. Ma il colloquio di Villa D'Este? E il comunicato del governo? Il consigliere economico di Prodi ha ribattuto dicendo che il premier considerava l'ipotesi di cessione come una mera arena negoziale e che non sapeva nulla del comunicato.
L' 11 settembre Telecom ha comunicato quanto a suo tempo esposto da Tronchetti. E ieri è cominciato lo stillicidio: da Oliviero Diliberto a Fausto Bertinotti, da Paolo Ferrero a Piero Fassino, su su per li rami, fino al diktat del Professore. E di fatto, ministeri, Authority e quant'altro sono sguinzagliati, novelli Bravi di manzoniana memoria, perché questa ristrutturazione non s'abbia da fare. Anche se, a giudizio di veri esperti come Elserino Piol, appare assolutamente razionale la scelta strategica di diminuire l'investimento nella telefonia mobile, vista la caduta di redditività causata da una concorrenza spesso disperata ma sostenuta dalle autorità, a favore della focalizzazione sulla banda larga e la diffusione di contenuti media con margini assai più alti. Si dice: ma la fusione con Tim è solo di due anni fa. Come se fosse un'infamia accorgersi che il vento tira da un'altra parte e quindi conviene cambiare rotta.
Dagospia 13 Settembre 2006