VITA, OPERE E POCHI MIRACOLI DELL'UOMO CHE UNI' L'UTILITARIA AL DILETTEVOLE
AGNELLI FU MOLTO PIÙ DI UN PADRONE. FU QUASI UN GOVERNANTE. LA FIAT UNO STATO
LA EKBERG DICEVA A GIANNI: "TU NON AMA ME, TU MAIALE ITALIANO, IO NON TI AMA PIÙ"

UN LIBRO IMPERDIBILE
Se pensate che la stirpe degli Agnelli si riduca solo ai diretti discendenti del mitico senatore Giovanni, questo è il bel libro che fa per voi. In "Casa Agnelli", Marco Ferrante, Caposervizio economia del "Foglio" e collaboratore di "Matrix", vi conduce per mano attraverso la dinastia più famosa (e ultima) del capitalismo italiano, l'unica ad aver conservato una posizione paragonabile a quella della nascita delle grandi industrie moderne, a cavallo tra Ottocento e Novecento.
 
Oltre cento microritratti che si spingono fino a cugini, zie, nipoti, per scoprire che la vicenda Agnelli si mescola a quella di altri celebri cognomi italiani: i Furstenberg, i Rattazzi, gli Elkann, i Campello, i Camerana, i Ferrero Ventimiglia, e molti altri. E a tenere insieme questo stravagante patchwork, ovviamente, c'è lui: l'Avvocato di panna montata (copy Scalfari), Giovanni Agnelli II. Un libro imperdibile.
Tratto da Casa Agnelli - Storie e personaggi dell'ultima dinastia italiana", di Marco Ferrante (Mondadori)
 
1 - UN QUASI STATO
Per comprendere davvero la sideralità della sua dimensione, bisogna tenere presente che Gianni Agnelli fu molto più di un padrone. Fu quasi un governante. La Fiat era uno Stato. Già nel 1940 aveva oltre 60 mila dipendenti, nel 1957 erano 80 mila, nel 1966, quando Agnelli prese il posto di Valletta, erano 134 mila, nel 1979 erano 284 mila. E queste cifre si riferiscono solo agli stabilimenti del gruppo, non tengono conto del sistema di alleanze della Fiat o dell'influenza sull'indotto. Si calcola che a metà degli anni Sessanta, dal sistema Fiat dipendesse circa il 10 per cento del prodotto interno lordo del paese.
 
La Fiat aveva anche un sistema capillare di presenza sul territorio attraverso i concessionari. Durante la guerra questo sistema assiste la famiglia: quando Gianni e Susanna nel 1944 partono da Firenze diretti verso sud è il direttore della Fiat di Firenze a organizzare la partenza, e sono due ingegneri della Fiat che, dopo l'incidente in cui Gianni si rompe un piede, lo recuperano dall'ospedale in Val di Chiana per riportarlo a Firenze.
 
La Fiat aveva strutture diplomatiche e di rappresentanza in giro per il mondo. La prima fu quella francese creata da Enrico Pigozzi, genero di Carlo Cannone, il fondatore della Recuperi. Il rapporto tra il sistema Fiat e la Francia costituì un canale diplomatico con il potere industrial-finanziario d'oltralpe che visse indipendentemente dalle relazioni politiche tra i due paesi (questo canale fu reso molto navigabile grazie al lavoro di Umberto a partire dagli anni Sessanta, poi incrementato da Brandolini e Gabetti). Dopo l'accordo con i libici - che nel 1976 entrano nel capitale Fiat -, Agnelli, il quale non ha ancora mai conosciuto Gheddafi, si fa organizzare un incontro con il colonnello a Mosca attraverso il rappresentante della Fiat in Unione Sovietica, Piero Savoretti, figlio di un ex amministratore della Cinzano che in Urss aveva fondato una joint venture siderurgica con i russi.
 
Il sistema diplomatico Fiat funziona anche negli Stati Uniti, dove il plenipotenziario, il commendator Vincent Garibaldi, ha quasi il rango di ambasciatore. Inoltre Agnelli poteva contare su due legazioni sportive, due simboli globali: Juventus e Ferrari.
Forte di questo apparato, Gianni si comporta da governante, dando vita a una psicologia delle relazioni dalle sfumature molto varie. C'è lo sguardo snobisticamente soddisfatto quando si flette nell'inchino alla regina di Spagna. C'è il tenero racconto di un incontro con Hua Kuo Feng, quando si ritrovò seduto accanto a lui durante un ricevimento al Quirinale e si sorrisero tutto il tempo senza parlarsi, perché il leader cinese non diceva una parola d'inglese, e dopo essersi sorrisi e guardati per tutta la sera, Kuo Feng prese la mano di Agnelli e gliela accarezzò.
 
C'è infine quel tratto di disperazione, di arrivismo, di cinetismo, di vitalità che ritroverete per esempio in un giorno dell'estate del 1969: Agnelli è in vacanza in Thailandia, molla i suoi amici, raggiunge William Childs Westmoreland, comandante in capo delle truppe americane in Vietnam, e da lui si fa portare a sorvolare in elicottero il sentiero di Ho Chi Minh, l'impervia pista nella jungla, tra le montagne che collegano il Nord al Sud del Vietnam, decisiva nella guerra contro gli americani.
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Per essere se stesso, per tramutare la popolarità in diritto di rappresentanza era necessaria la difesa strenua del suo ruolo domestico. Nessuno doveva essere più in vista di lui. Quando De Benedetti alla metà degli anni Ottanta tenta l'opa sulla Société Générale du Belgique dei Lippens (gli Agnelli del Belgio), Gianni gli si mette di traverso, con due alleati, Banque Lazard ed Etienne D'Avignon, che poi diventerà consigliere d'amministrazione della Fiat. Non avrebbe sopportato che De Benedetti vincesse in Europa. «Alla fine mi disse: sono contento che lei non ce l'abbia fatta, veramente usò un'espressione molto più colorita, e io gli dissi: avvocato, la ringrazio per il contributo.»
Per analoghe ragioni non amò Berlusconi. «Gli era simpatico, naturalmente, ma non tollerava che la straripante popolarità del fondatore della Fininvest entrasse in concorrenza con la sua» dice Carlo Rossella. Ci tiene sempre a fare bella figura. E sempre vigile nel rapporto con la stampa, ed è fin troppo indulgente nei confronti del giornalismo. La cura dell'immagine lo condiziona anche negli affari. Nel 1999 l'Istituto San Paolo, di cui è azionista, lancia l'opa sulla Banca di Roma. Si convince a non ingaggiare una battaglia all'ultimo sangue quando Cesare Geronzi gli fa sapere che non ci sarà esclusione di colpi e lui comprende che questo potrebbe nuocergli.
 
Ma quando la sua immagine non è in gioco è più feroce. Dovrebbe essere il leader degli industriali italiani, ma - notarono nel '92 Borsa e De Biase - esercita questa leadership con un'attitudine egemonica: quando la Zanussi va in crisi nei primi anni Novanta, si schiera con i suoi amici svedesi Wallenberg; tratta male i Gardini nella partita Unicem e cerca di sfilare la Barilla ai Barilla. Fa un favore ai Fabbri rilevando la casa editrice indebitata solo perché Dino è un suo amico, salvo vendicarsene con uno scherzo in stile Amici miei.
 
2 - GIANNI - L'UOMO CHE PARLAVA ALLE DONNE
L'uomo che parlava alle donne ebbe una notevole vita amorosa. Nel dopoguerra, forte di una rendita praticamente illimitata, vi si dedicò a tempo pieno. E non abbandonò l'attività neppure nella maturità.
Fu molto amato. Per esempio da Anita Ekberg, che lo considerava l'amore della sua vita. Curiosità: Dino Risi raccontò che lei teneva testa ai tradimenti di Agnelli, e che una volta che lui stesso era a letto con la Ekberg assistette a una scenata di gelosia telefonica. Anita diceva a Gianni: «Tu non ama me, tu maiale italiano, io non ti ama più».
 
Agnelli ebbe anche alcuni grandi amori, e alcune donne occuparono un posto importante nella sua vita a partire, naturalmente, da sua moglie in quanto moglie. La ricostruzione ufficiosa dice che sposò Marella Caracciolo sotto la pressione delle sue sorelle, mentre era ancora in atto, sebbene in fase calante, la storia con Pamela Churchill, nuora di Winston.
Secondo l'interpretazione corrente, adottata nella ricostruzione che ne fece il biografo di lei, Christopher Ogden in un libro quasi introvabile - e di cui nell'archivio di Dagospia, il sito Internet di Roberto D'Agostino, è possibile scaricare il capitolo che racconta la sua vita con Gianni -, fu Pamela a schiudere le porte del gran mondo internazionale ad Agnelli. I testimoni di quella stagione ritengono che la storia con la Churchill sia sicuramente un passaggio chiave nel processo di costruzione del mito sociale di se stesso.
 
Tra loro si sviluppò il confronto tra due culture sociali profondamente diverse. Gianni era a quel tempo già assai strutturato sotto questo aspetto. Suo padre e sua madre avevano costituito una coppia molto in vista. Nell'Italia fascista gli Agnelli avevano contribuito a elaborare un modello di successo altoborghese compatibile con l'ordine sociale del regime. Di questo modello l'esperienza di Susanna crocerossina e amica dei Ciano, nipote un po' ribelle del Senatore e figlia innamorata di Virginia, costituisce l'immagine più nota e più nitida. Nello stesso tempo, però, gli Agnelli della terza generazione - Gianni in particolare - si ritrovano a dover aggiornare il modello dei genitori perché alle prese con la stagione di trapasso, conseguenza della guerra perduta.
 
Gianni comincia a cogliere i primi segnali di declino nel sistema sociale che aveva considerato mitico perché in effetti lo era (quello di Isabel Colonna, per intendersi). E in quel frangente conosce Pamela, donna affascinante, moderna, che appartiene al mondo dei vincitori. Vi appartiene non solo perché suo suocero ha vinto la guerra (il che comunque costituisce agli occhi di Gianni un atout straordinario: dirà che Churchill è l'uomo più interessante mai incontrato), ma perché fa parte di un sistema internazionale che Gianni ha solo intravisto da ragazzino. Con lei ne prende possesso da adulto.
Pamela, donna molto discussa ma di charme, fu l'unica che Agnelli frequentò per una forma di interesse. Nello stesso tempo, l'intelligenza di Gianni fu di accettare la sfida che lei gli presentava, cimentarsi con il mondo inteso nella sua globalità, puntare alla vetta.
 
Dice un'amica di famiglia: «L'amore con Pamela Churchill fu molto osteggiato dalle sorelle. Quando lei si convertì al cattolicesimo le riversarono addosso un abissale disprezzo». Fallito il progetto di unirsi a Gianni, sposò in seconde nozze un agente di Hollywood, Leland Hayward, e successivamente Averell Harriman, molto più anziano di lei, ricco, wasp, maggiorente del partito democratico americano. Racconta un amico: «A New York Gianni le fece il suo regalo di nozze. Era un'automobile. Le fece portare le chiavi su un piatto d'argento. Erano attaccate a un portachiavi napoletano a forma di bara. Le disse: aprilo. Dentro alla bara c'era uno scheletro che all'apertura aveva un'erezione. Lei si mise a ridere. Restarono amici per tutta la vita». Pamela morì a Parigi nel 1997, mentre ricopriva la carica di ambasciatore degli Stati Uniti in Francia. Gianni andò alla camera ardente a salutarla per l'ultima volta.
Dopo il matrimonio con Marella ebbe un'altra serie di amori: alcuni brevi e intensi; altri presero forma di lunghe e intermittenti avventure che si trascinavano negli anni ed erano fatte di chiamate, convocazioni, brevi viaggi.
La più importante di queste storie fu una storia romana nei primi anni Sessanta, con una donna bellissima che lui amò. Si racconta che la storia finì come in una canzone di Lucio Battisti: una sera lui avverti in ritardo che sarebbe andato a prenderla, ma lei era già uscita, non l'aveva aspettato. Per Gianni la storia finì in quel momento.
Dice una testimone: «Credo che dai 50 anni in poi avesse chiuso con i flirt che potessero avere un valore lontanamente sentimentale. Ebbe però una lunga storia con un sottofondo affettivo».
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Un po' per via della retorica sul cinismo, un po' per via di quella sul potere, fiorì un'aneddotica semiclandestina sulla disinvoltura di Gianni nelle frequentazioni femminili. Marie-France Pochna riporta una frase di Henry Ford III, dopo una breve crociera su una barca con Agnelli: «Avevo davanti a me quest'uomo pressappoco della mia età, bello, virile, abbronzato, dinamico, alla guida di un'azienda fiorente, che trovava anche il tempo per far la spola tra Saint-Moritz e Saint-Tropez con al seguito bionde per tutte le temperature».
 
In un libro del 1985, Piero Ottone riferisce di una telefonata tra Gianni Agnelli e Leopoldo Pirelli durante lo scontro per la Montedison nel 1970. Una notte Agnelli chiama Pirelli e gli dice che non riesce a dormire. «Allora trovati una donna!» gli dice Pirelli. «Già fatto, ma non basta» risponde lui.
 
In generale, riguardo alle donne, cioè all'amore, così come riguardo ai figli (con un'aggravante), e al ricordo di sua madre (con un'attenuante), Agnelli era vittima di un misto di pudore, prudenza, ottocentismo militaresco, paura e timidezza. Lo testimonia Susanna, quando ricorda un episodio durante la guerra: «Un pomeriggio Gianni mi ha detto con infinita malinconia: "Chissà se tu potessi trovare la maniera di non metterti quella vestaglia. Mi ricorda una persona che la portava sempre e mi dà una sensazione strana". Si scusava ed era imbarazzato di dover ammettere una commozione di tipo sentimentale. Lo considerava di cattivo gusto».





Dagospia 22 Maggio 2007