DE MICHELIS: "HO INCONTRATO VALERIO VELTRONI, FRATELLO DI WALTER, CHE MI HA DETTO CONVINTO: "A MARZO SI VA A VOTARE" - QUESTO GOVERNO SEMBRA GIÀ CADAVERE. SOLO CHE NAPOLITANO, VELTRONI E BERLUSCONI DEBBONO METTERSI D'ACCORDO SU COME SEPPELLIRLO".

Augusto Minzolini per "La Stampa"


In fondo qui a Montecatini, nella riunione dei circoli del Buongoverno di Dell'Utri, non è solo Berlusconi a credere che Prodi non può durare. Il socialista Gianni De Michelis, già ministro di Craxi e ora leader di uno dei tanti partitini socialisti, ha portato ad esempio una testimonianza d'eccezione nel giorno in cui è stato ospite di una delle tante tavole rotonde del convegno. «Ho incontrato all'aeroporto - ha raccontato davanti ad un Fernet bollente - Valerio Veltroni, fratello di Walter, che mi ha detto convinto: "A marzo si va a votare"».
Francamente - ha aggiunto Gianni De Michelis - anche a me questo governo sembra già cadavere. Solo che Napolitano, Veltroni e Berlusconi debbono mettersi d'accordo su come seppellirlo».

Nei continui cambi di scenario che caratterizzano la politica italiana nelle ultime 48 ore l'opinione dell'ex-ministro di Bettino Craxi può apparire contro-corrente, ma qui nella festa annuale dell'uomo che ha inventato Forza Italia, Dell'Utri, in molti la pensano allo stesso modo. Sia per oggi, per domani o per i prossimi mesi la strada maestra da seguire resta quella della crisi di governo e delle elezioni anticipate. Il più convinto sostenitore di questa ipotesi, ovviamente, resta il Cavaliere anche se sui tempi l'ex premier si è fatto più prudente: «Non ho mai dato date, può succedere in qualsiasi momento. Ho parlato con senatori talmente delusi dal governo che non fosse altro per la loro personalità non possono votare la finanziaria. Se poi si smentiscono lo fanno per ragioni che non corrispondono alle loro convinzioni».

Appunto, quel che preme a Berlusconi è dimostrare che non si è sognato niente, che non sta bluffando, né si è mangiato il cervello. «Nella mia vita - è l'aneddoto che regala per dimostrare che è in buona fede - non ho mai fumato, né giocato d'azzardo. Un uomo non può puntare tutto sulla fortuna. Mi è capitato solo una volta, tanti anni fa. Mi ero appena comprato una 500 fiammante e stavo portando al mare la donna che poi è diventata la mia prima moglie. In attesa che passasse un treno davanti ad un passaggio a livello, mi sono fermato al banchetto di un napoletano che faceva il gioco delle tre carte. E lì ho perso tutto. Per non fare la figura del cogl..., gli ho chiesto se mi poteva almeno prestare il denaro perso. E lui mi ha accontentato. E io da quel giorno ho giurato a me stesso che non avrei più giocato. E così è stato».

Per cui i senatori per far cadere il governo c'erano e, forse, ancora ci sono. Il numero si è ridotto, certo. Non è più quello di un paio di settimane fa. Qualcuno ha risposto positivamente allo shopping di Romano Prodi. Altri sono rimasti un po' perplessi di fronte alle divisioni messe in mostra dal centro-destra, per le assenze che ci sono state nei banchi dell'opposizione nell'aula di Palazzo Madama, per le solite sortite fuori tempo - questa volta sulla legge elettorale - di Pier Ferdinando Casini e di un Gianfranco Fini in crisi di nervi per la scissione di Francesco Storace.



Ma adesso che il presidente di Alleanza nazionale (e soprattutto i suoi colonnelli) hanno ripetuto che l'obiettivo prioritario è mandare a casa Prodi e che Casini, proprio qui a Montecatini, ha intimato ai suoi senatori «di arrivare 15 minuti prima alle votazioni e dopo aver già fatto la pipì», si possono fare i conti: è chiaro a tutti, infatti, che una defezione nella votazione decisiva nelle file del centro-destra sarebbe considerata un tradimento imperdonabile; resta solo da verificare chi dei «delusi da Prodi» è rimasto in campo.

Lamberto Dini è tornato a mandare segnali all'opposizione, ma vuole essere confortato da tutti e tre i leader della Casa delle Libertà: un fatto è certo, il personaggio prima di schierarsi contro il governo vuole essere sicuro dell'esito. Lui e i suoi, però, non sono l'unica variabile. Ci sono ancora due-tre nomi in ballo. Alla fine Berlusconi potrebbe ritrovarsi con un pugno di mosche in mano, ma potrebbe anche avvenire il contrario.

Tantopiù che «crisi» o meno, il Cavaliere non ha intenzione di mutare politica. «Non cambio strategia adesso - sostiene -. La storia che mollo è una scemenza. Noi continueremo a puntare sulla crisi e sulle elezioni anticipate. Del resto che dovrebbe fare un'opposizione degna di questo nome? Non possiamo aprire un dialogo con un governo che ha l'80 per cento degli italiani contro. Nessuno può chiederci di intestarci 18 mesi di malgoverno. Inoltre sulla legge elettorale vogliono abolire il premio di maggioranza, vogliono archiviare il bipolarismo». Le cinque milioni di firme che dovrebbero essere raccolte nelle manifestazioni del prossimo week-end renderanno ancora più rigida questa sua impostazione. «Se Fini o Casini andranno a trattare con Veltroni e Prodi - scommette Fabrizio Cicchitto - conteremo i voti che perderanno».

E dato che sente odore di elezioni, il Cavaliere ieri ha ritirato fuori uno dei suoi cavalli di battaglia: la polemica con i giudici. Lo ha fatto per difendere Marcello Dell'Utri e davanti a Cesare Previti, che ha chiesto un permesso al magistrato (infatti sta ancora scontando la pena) per venire a Montecatini. E questa volta non ha esitato a raccontare, quasi per sfida, una vicenda di trent'anni fa per la quale Dell'Utri è stato accusato di avere collegamenti con Cosa nostra. La storia di Vittorio Mangano, lo stalliere di Arcore accusato di mafia.

«Lo assumemmo dopo un'inserzione andata a vuoto - ha spiegato il Cavaliere dal palco di Montecatini con il tono di chi legge il libro Cuore - per badare alle scuderie e ai campi. Venne da noi con l'intera famiglia. Lavorò bene... Serviva anche messa con Don Rossi la domenica... Fu accusato di avere rapporti con la mafia, ma non fu mai condannato. In carcere ebbe delle pressioni terribili affinché lanciasse accuse a me e a Marcello. Lui si rifiutò. Diceva che il periodo ad Arcore era stato il più bello della sua vita. E' morto di cancro due giorni dopo essere uscito dal carcere. L'unica accusa dei giudici contro Marcello è quella di aver conosciuto Mangano... Il principio della pena è quello di recuperare alla società qualcuno che ha sbagliato, ebbene, io credo che debbono essere recuperati alla società quei giudici giacobini che accusano Dell'Utri».


Dagospia 12 Novembre 2007