MINA INTERVISTA VASCO, ED È SUBITO FIASCO - IMMORTALI DOMANDE: "CARO VASCO, COME STAI?" - IMMORTALI RISPOSTE: "IL MIO MALE DI VIVERE LO COMBATTO CON LA MUSICA E LE CANZONI. E TU, COME STAI?"...
Mina intervista Vasco per "Vanity Fair" in edicola dal 9 luglio
Lui canta da 43 anni ma non ama parlare ai giornalisti, «perché non puoi raccontare una verità troppo personale».
Lei canta da 50 (celebra l'anniversario quest'estate) e le interviste le odia proprio: l'ultima risale a trent'anni fa. Però, siccome Vasco Rossi sta per concludere il suo tour a pochi chilometri dal rifugio di MINA, abbiamo fatto un esperimento: chiesto a lei di fare da intervistatrice anziché da intervistata, e a lui di sbottonarsi con una collega invece che con «quel tale che scrive sul giornale». Risultato: viene fuori, per esempio, che la vita era meglio quando non era spericolata.
Sono sicura che quello che dovevo sapere di te - e, soprattutto, quello che tu volevi far sapere di te - sta scritto a chiare lettere in ciò che canti, si vede in come ti muovi, si intuisce nei toni che usi, sprizza leggibilissimo dai tuoi occhi stupefatti e disperati di chi ha visto tutto e ha capito che il senso non c'è... appunto. Suppongo che sia sufficiente. Deve essere sufficiente. E per non «... rischiare di diventare come quel tale, quel tale che scrive sul giornale...», la seconda, timida domanda è: «Raccontami per filo e per segno tutta la tua vita sessuale». No, sto scherzando, ovviamente. La domanda vera è: «Caro Vasco, come stai?».
«Beh, diciamo che certo non mi posso lamentare. Ho avuto tanto dalla vita. Ho avuto una vita spericolata. La mia sembra la favola di Cenerentola. Al posto della scopa la chitarra, la strega sono stati gli eccessi degli anni Ottanta e il mio principe la musica rock. Ma io sono un'anima in pena. Mai contento, mai felice, mai sereno. Mai soddisfatto. Eternamente alla ricerca di qualcosa. Il mio "male di vivere" lo combatto con la musica e le canzoni. Lo straordinario affetto della gente è una grande consolazione. E tu, come stai?».
Sto come non sembra, grazie. I tuoi biografi dicono che hai iniziato all'età di 13 anni, quando vincesti un concorso canoro, «L'usignolo d'oro», con la canzone Come nelle fiabe. Amerei molto sentirlo, quel pezzo. Chissà com'eri a quell'ora lì. Dicevo, sono ben quarantatré anni che canti. Capita anche a te, ogni tanto, di non voler sentire neppure una nota, neppure la classica, neppure il garzone che fischietta per strada? Il segnale di allarme, per me, è quando comincio a sentire Satie per dei pomeriggi interi. Vuol dire che devo smettere. Insomma, succede anche a te di avere bisogno di un po' di vuoto spinto? Te lo chiedo perché, da un sondaggino, risulto essere l'unica a sentire la necessità di larghe pause.
«Spesso ho bisogno anch'io di silenzio e di solitudine. E ci sono periodi che non sopporto di ascoltare nessun tipo di musica. Cerco ogni tanto di sparire dalla circolazione, per far riposare la gente. Ho sempre avuto il terrore di essere invadente, anche nella vita privata: temo sempre di disturbare. Come nelle fiabe parlava di un mondo di "bimbi che sorridono" e di "grandi che non piangono mai". Era molto tenera, e io ero un bambino felice. Coccolato, amato e viziato da una madre dolce, un padre buono e un'amica di famiglia giovane e spensierata che mi vestiva e mi pettinava come un bambolotto. Poi è arrivata l'adolescenza, ed è cambiato tutto».
Che peccato! Ti sei perso la formidabile, violenta botta emozionale di Elvis e compagni. Eh già, avevi quattro anni. Noi abbiamo vissuto il cambio come una camionata in faccia. Una meraviglia, un prodigio che ci manda in brodo di giuggiole, ci fa sorridere ancora ogni volta che ci pensiamo. C'è stato qualcosa di simile nella tua vita?
«Per me ci sono stati i Rolling Stones e il '68. Una straordinaria stagione di rivoluzione culturale che, se forse non è riuscita a cambiare il mondo in meglio, di certo ha rivoluzionato completamente me e la mia vita».
Dagospia 08 Luglio 2008
Lui canta da 43 anni ma non ama parlare ai giornalisti, «perché non puoi raccontare una verità troppo personale».
Lei canta da 50 (celebra l'anniversario quest'estate) e le interviste le odia proprio: l'ultima risale a trent'anni fa. Però, siccome Vasco Rossi sta per concludere il suo tour a pochi chilometri dal rifugio di MINA, abbiamo fatto un esperimento: chiesto a lei di fare da intervistatrice anziché da intervistata, e a lui di sbottonarsi con una collega invece che con «quel tale che scrive sul giornale». Risultato: viene fuori, per esempio, che la vita era meglio quando non era spericolata.
Sono sicura che quello che dovevo sapere di te - e, soprattutto, quello che tu volevi far sapere di te - sta scritto a chiare lettere in ciò che canti, si vede in come ti muovi, si intuisce nei toni che usi, sprizza leggibilissimo dai tuoi occhi stupefatti e disperati di chi ha visto tutto e ha capito che il senso non c'è... appunto. Suppongo che sia sufficiente. Deve essere sufficiente. E per non «... rischiare di diventare come quel tale, quel tale che scrive sul giornale...», la seconda, timida domanda è: «Raccontami per filo e per segno tutta la tua vita sessuale». No, sto scherzando, ovviamente. La domanda vera è: «Caro Vasco, come stai?».
«Beh, diciamo che certo non mi posso lamentare. Ho avuto tanto dalla vita. Ho avuto una vita spericolata. La mia sembra la favola di Cenerentola. Al posto della scopa la chitarra, la strega sono stati gli eccessi degli anni Ottanta e il mio principe la musica rock. Ma io sono un'anima in pena. Mai contento, mai felice, mai sereno. Mai soddisfatto. Eternamente alla ricerca di qualcosa. Il mio "male di vivere" lo combatto con la musica e le canzoni. Lo straordinario affetto della gente è una grande consolazione. E tu, come stai?».
Sto come non sembra, grazie. I tuoi biografi dicono che hai iniziato all'età di 13 anni, quando vincesti un concorso canoro, «L'usignolo d'oro», con la canzone Come nelle fiabe. Amerei molto sentirlo, quel pezzo. Chissà com'eri a quell'ora lì. Dicevo, sono ben quarantatré anni che canti. Capita anche a te, ogni tanto, di non voler sentire neppure una nota, neppure la classica, neppure il garzone che fischietta per strada? Il segnale di allarme, per me, è quando comincio a sentire Satie per dei pomeriggi interi. Vuol dire che devo smettere. Insomma, succede anche a te di avere bisogno di un po' di vuoto spinto? Te lo chiedo perché, da un sondaggino, risulto essere l'unica a sentire la necessità di larghe pause.
«Spesso ho bisogno anch'io di silenzio e di solitudine. E ci sono periodi che non sopporto di ascoltare nessun tipo di musica. Cerco ogni tanto di sparire dalla circolazione, per far riposare la gente. Ho sempre avuto il terrore di essere invadente, anche nella vita privata: temo sempre di disturbare. Come nelle fiabe parlava di un mondo di "bimbi che sorridono" e di "grandi che non piangono mai". Era molto tenera, e io ero un bambino felice. Coccolato, amato e viziato da una madre dolce, un padre buono e un'amica di famiglia giovane e spensierata che mi vestiva e mi pettinava come un bambolotto. Poi è arrivata l'adolescenza, ed è cambiato tutto».
Che peccato! Ti sei perso la formidabile, violenta botta emozionale di Elvis e compagni. Eh già, avevi quattro anni. Noi abbiamo vissuto il cambio come una camionata in faccia. Una meraviglia, un prodigio che ci manda in brodo di giuggiole, ci fa sorridere ancora ogni volta che ci pensiamo. C'è stato qualcosa di simile nella tua vita?
«Per me ci sono stati i Rolling Stones e il '68. Una straordinaria stagione di rivoluzione culturale che, se forse non è riuscita a cambiare il mondo in meglio, di certo ha rivoluzionato completamente me e la mia vita».
Dagospia 08 Luglio 2008