REALITY MOVIE - GIA' E' PRONTO UN FILM SULL'OMICIDIO PECORELLI, CO-PROTAGONISTA GIULIO ANDREOTTI.
Michele Anselmi per Il Riformista
Mino Pecorelli doveva morire il 14 marzo 1979, a piazza delle Cinque Lune. Ma qualcosa impedì ai due killer di entrare in azione. Una settimana dopo, il 20 marzo, l'esecuzione riuscì altrove: quattro colpi di pistola posero fine alla vita del giornalista di "Op". Su quello slargo mal illuminato e dal nome suggestivo, a pochi passi da piazza Navona, dava un ufficio di copertura: e lì, la sera del 14, si incontrarono Pecorelli, il colonnello dei servizi segreti Antonio Varisco e un alto esponente dei carabinieri, probabilmente il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Tutti e tre erano sulle tracce del memoriale Moro, un corposo malloppo di oltre 500 pagine, molte delle quali "secretate" dopo il ritrovamento nel covo br di via Montenevoso a Milano, il 2 ottobre dell'anno precedente.
Pagine fotocopiate o dattiloscritte, non i manoscritti originali elaborati dal leader dc durante la prigionia: ma certo un documento esplosivo, contenente notizie riservate, forse compromettenti. Pecorelli, deciso a pubblicarne alcuni brani, morì di lì a poco, Varisco sei mesi dopo: e nel 1982 toccò al generale Dalla Chiesa, che a quel memoriale aveva cercato inutilmente di avvicinarsi prima di scendere a Palermo.
"Piazza delle Cinque Lune" è il titolo del nuovo film di Renzo Martinelli, il regista di "Porzûs" e "Vajont". L'idea non è di ricostruire i mesi cruciali del sequestro Moro, dal 16 marzo al 9 maggio 1978, bensì di partire dall'oggi, 23 anni dopo, per tentare una metaforica ricognizione dall'alto. "Stando a terra", spiega il regista in una pausa del montaggio, "i segnali si confondono. Solo dall'alto, i contorni di quella pagina oscura risulteranno più chiari, e con essi i depistaggi, i collegamenti ambigui, i buchi logici, il reticolo di menzogne e di mezze verità".
E così ecco che Martinelli, intrecciando atti processuali, perizie e dati raccolti dall'ex senatore ds Sergio Flamigni, rievoca nella fitta trama gialla quella riunione che probabilmente accelerò la morte di Pecorelli. Chi e perché uccise il giornalista il film non lo dice, ma inevitabilmente l'ombra di Andreotti, allora presidente del Consiglio, si allunga sulla vicenda, costruita come un thriller a incastro che nasce a Siena, dove opera a un passo dalla pensione il vecchio magistrato incarnato da Donald Sutherland, per concludersi a Roma, proprio dalle parti di piazza delle Cinque Lune.
Del resto non è la prima volta che il leader dc, emblema di una certa politica scaltra e felpata, all'occorrenza feroce, viene tirato in ballo dal cinema di denuncia. Se Michele Placido lo nomina ripetutamente nel suo vibrante "Un eroe borghese", dedicato all'avvocato Giorgio Ambrosoli, Giuseppe Ferrara ne ha fatto quasi un personaggio fisso dei suoi film: interpretato da Daniele Dublino appare nel "Caso Moro", incarnato da Mario Marchetti nel recente "I banchieri di Dio" sull'omicidio di Calvi; mentre in "Giovanni Falcone", evocato dalle grandi orecchie, fu ripreso di spalle. "Mai ricevuto una querela: in questo il senatore s'è dimostrato un signore", riconosce il regista, appena multato (si parla di mezzo miliardo di lire) per aver diffamato sullo schermo il giudice Vincenzo Geraci, "quello che Borsellino definì un giuda".
Inutile dire che Andreotti non è uomo incline a farsi spaventare da un film. Con il cinema, sin dai tempi di "Totò e Carolina", ha mantenuto sempre un rapporto di curiosa attenzione, respingendo le accuse di censura e prestandosi pure in veste d'attore nei panni di se stesso, come accadde nel "Tassinaro" di Alberto Sordi. Altri tempi si dirà. In queste ore di sconcerto forse nemmeno Oreste Lionello, l'attore del Bagaglino che sull'imitazione di Andreotti ha rinvigorita la propria carriera, forse avrebbe più voglia di parodiare in tv il "Divo Giulio".
Dagospia.com 20 Novembre 2002
Mino Pecorelli doveva morire il 14 marzo 1979, a piazza delle Cinque Lune. Ma qualcosa impedì ai due killer di entrare in azione. Una settimana dopo, il 20 marzo, l'esecuzione riuscì altrove: quattro colpi di pistola posero fine alla vita del giornalista di "Op". Su quello slargo mal illuminato e dal nome suggestivo, a pochi passi da piazza Navona, dava un ufficio di copertura: e lì, la sera del 14, si incontrarono Pecorelli, il colonnello dei servizi segreti Antonio Varisco e un alto esponente dei carabinieri, probabilmente il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Tutti e tre erano sulle tracce del memoriale Moro, un corposo malloppo di oltre 500 pagine, molte delle quali "secretate" dopo il ritrovamento nel covo br di via Montenevoso a Milano, il 2 ottobre dell'anno precedente.
Pagine fotocopiate o dattiloscritte, non i manoscritti originali elaborati dal leader dc durante la prigionia: ma certo un documento esplosivo, contenente notizie riservate, forse compromettenti. Pecorelli, deciso a pubblicarne alcuni brani, morì di lì a poco, Varisco sei mesi dopo: e nel 1982 toccò al generale Dalla Chiesa, che a quel memoriale aveva cercato inutilmente di avvicinarsi prima di scendere a Palermo.
"Piazza delle Cinque Lune" è il titolo del nuovo film di Renzo Martinelli, il regista di "Porzûs" e "Vajont". L'idea non è di ricostruire i mesi cruciali del sequestro Moro, dal 16 marzo al 9 maggio 1978, bensì di partire dall'oggi, 23 anni dopo, per tentare una metaforica ricognizione dall'alto. "Stando a terra", spiega il regista in una pausa del montaggio, "i segnali si confondono. Solo dall'alto, i contorni di quella pagina oscura risulteranno più chiari, e con essi i depistaggi, i collegamenti ambigui, i buchi logici, il reticolo di menzogne e di mezze verità".
E così ecco che Martinelli, intrecciando atti processuali, perizie e dati raccolti dall'ex senatore ds Sergio Flamigni, rievoca nella fitta trama gialla quella riunione che probabilmente accelerò la morte di Pecorelli. Chi e perché uccise il giornalista il film non lo dice, ma inevitabilmente l'ombra di Andreotti, allora presidente del Consiglio, si allunga sulla vicenda, costruita come un thriller a incastro che nasce a Siena, dove opera a un passo dalla pensione il vecchio magistrato incarnato da Donald Sutherland, per concludersi a Roma, proprio dalle parti di piazza delle Cinque Lune.
Del resto non è la prima volta che il leader dc, emblema di una certa politica scaltra e felpata, all'occorrenza feroce, viene tirato in ballo dal cinema di denuncia. Se Michele Placido lo nomina ripetutamente nel suo vibrante "Un eroe borghese", dedicato all'avvocato Giorgio Ambrosoli, Giuseppe Ferrara ne ha fatto quasi un personaggio fisso dei suoi film: interpretato da Daniele Dublino appare nel "Caso Moro", incarnato da Mario Marchetti nel recente "I banchieri di Dio" sull'omicidio di Calvi; mentre in "Giovanni Falcone", evocato dalle grandi orecchie, fu ripreso di spalle. "Mai ricevuto una querela: in questo il senatore s'è dimostrato un signore", riconosce il regista, appena multato (si parla di mezzo miliardo di lire) per aver diffamato sullo schermo il giudice Vincenzo Geraci, "quello che Borsellino definì un giuda".
Inutile dire che Andreotti non è uomo incline a farsi spaventare da un film. Con il cinema, sin dai tempi di "Totò e Carolina", ha mantenuto sempre un rapporto di curiosa attenzione, respingendo le accuse di censura e prestandosi pure in veste d'attore nei panni di se stesso, come accadde nel "Tassinaro" di Alberto Sordi. Altri tempi si dirà. In queste ore di sconcerto forse nemmeno Oreste Lionello, l'attore del Bagaglino che sull'imitazione di Andreotti ha rinvigorita la propria carriera, forse avrebbe più voglia di parodiare in tv il "Divo Giulio".
Dagospia.com 20 Novembre 2002