RASSEGNATI STAMPA - IL "CASO CURZIOGLIA" E LA RAI3 SCOMPARSA; "RUTELLI-D'ALEMA, BERLUSCONI GIA' TREMA"; VESPA, FENOMENO PARANDREOTTI.

1 - IL "CASO CURZIOGLIA"
Da Il Foglio

La prima pagina di Repubblica (Rep.) di ieri, 21 novembre, LI Giorno della Nuova Era Riformista, si apriva con "la crisi della Rai". Corretto. Un editoriale di Curzio Maltese (Curzioglia) metteva i puntini sulle i: la Rai è andata a pezzi in soli nove mesi. Curzioglia ha ragione, specie quando scrive che "nessun governo della tv pubblica, compresi i peggiori, aveva mai prodotto tanti disastri in così poco tempo finendo per essere inghiottito dal buco nero del conflitto di interessi" oppure quando dice che "Baldassarre e Saccà spargono sulle rovine il sale di programmi demenziali come Max&Tux ed Excalibur". Bravo Curzioglia, bravissimo, hai avuto il coraggio di scrivere queste cose pur essendo un collabò Rai (forse anche un Dip.), un collaboratore-collaborazionista della nuova Rai di Baldassarre e Saccà. Curzioglia, infatti, è l'autore del "Caso Scafroglia", il programma tv di Corrado Guzzanti che peraltro non sta avendo buoni ascolti. Curzioglia non è tipo da inginocchiarsi innanzi al suo datore di lavoro. Se c'è da criticare, critica. L'indipendenza di giudizio prima di tutto, ché il conflitto d'interessi è roba da signor B.
Più avanti si legge che "Rai 1" è pessima perché perde contro Canale 5 nonostante "lo show del sabato sera costi un po' meno dello sbarco sulla Luna". Vero. "Rai 2 - continua Curzioglia - viene demolita dal leggendario Marano, dopolavorista raccomandato da Bossi". Bravo Curzioglia, cantagliele chiare. E ora passa a Rai 3. Dài, hai fatto Rai 1 e poi Rai 2, completa la tua disamina del disastro Rai. Ci vuole un attimo. Rai 3. Scrivi: R-a-i-3. Niente, Curzioglia non ci riesce, muto come Max&Tux. Alt. Guai a voi. Non siate maligni: che il suo programma vada in onda proprio su Rai 3 non c'entra nulla. Curzioglia s'è scordato.


2 - "RUTELLI-D'ALEMA, BERLUSCONI GIA' TREMA"
Claudia Terracina per Il Messaggero

Bari- Sorridenti, camminano uno accanto all'altro e, per dirla con Nanni Moretti, non si perdono di vista neppure un attimo. Procedono a braccetto Massimo D'Alema e Francesco Rutelli e danno l'immagine plastica di una coppia che fila d'amore e d'accordo. A vederli, sorridenti, che si parlano fitto, fitto, suggeriscono l'idea di una collaborazione totale, collaudata. E allora spunta il sospetto che la passeggiata barese sia una sorta di prova generale per un ticket finora impensabile. Quello tra l'ex presidente del Consiglio e l'ex candidato premier dell'Ulivo. Il politico e politologo di lungo corso Giuseppe Vacca, barese e dalemiano doc, al quale è affidata la responsabilità della Quercia pugliese, li guarda con occhiate amorevoli e conia lì per lì lo slogan del futuro: «Rutelli, D'Alema, Berlusconi già trema».

Battute, si intende. Ma anche una vecchia volpe come Franco Marini cova con occhi di brace l'antico sodale, il presidente ds, e il nuovo, il leader margheritino. E già si preoccupa dell'effetto che faranno dal palco. «Basta con tutti 'sti discorsi. Fate parlare Massimo e Francesco. La gente aspetta loro», intima. Ma sì, tentar non nuoce. Perciò, avanti, con l'uno-due. D'Alema attacca Berlusconi, «ostaggio di Bossi», che chiede la fiducia sulla devolution: «Una fesseria. Non è mai accaduto per una legge costituzionale». E annuncia che «se il progetto leghista dovesse passare in Parlamento, chiederemo al Paese di pronunciarsi con un referendum costituzionale». E Rutelli rincara la dose: «Il governo e la maggioranza sono a pezzi. Sono disperati. Si dissolveranno sulla devolution, che io, appunto, chiamo dissolution».

Per l'Ulivo, insomma, la crisi di governo non è alle porte, ma la discesa è cominciata. Ed è tempo di dare battaglia. «E' suonata l'ora della riscossa - annuncia Rutelli - e potremmo non dover votare alla scadenza naturale. Ma non c'è fretta. Prima vinciamo le prossime amministrative. Poi, chissà, magari andremo alle urne per le politiche nel 2004, quando si voterà per le Europee», confida Rutelli. Dunque, si accelera. Per questo, l'ex sindaco e l'ex premier serrano le fila e offrono l'immagine di due leader collaboranti. «Massimo, vieni sul palco con me. Stammi vicino», cinguetta Rutelli. E l'altro: «Vai, vai. Sarò accanto a te alla fine». Rutelli sventola la bandiera dell'Ulivo. D'Alema acchiappa al volo una bandiera rossa. Poi, inevitabile, scocca l'abbraccio in un coro di «Massimo, Massimo, Francesco, Francesco». L'ex sindaco e l'ex premier sorridono. La prova generale della nuova coppia ulivista pare riuscita. E sembra la risposta all'altro ticket di cui favoleggia, formato da Prodi e Cofferati, al quale già lavorano fervidamente i cattolici e i prodiani bolognesi che venerdì sera hanno benedetto il Cinese in quel di Monteveglio, sede del ritiro di don Giuseppe Dossetti.




3 - VESPA, FENOMENO PARANDREOTTI
Marco Travaglio per l'Unità

Tentano di nasconderlo, fanno finta di niente, ma soffrono. Tengono, tengono, ma poi gli scappa. Diciamolo: non l'hanno presa ben, la condanna di Andreotti a Perugia. O almeno questa è l'impressione che si ricava dal giornale più venduto, Panorama: nove commenti nove, tutti affranti per la sentenza su Pecorelli. Pionati, Ferrara, Tortorella, Minzolini, Mulè, Vespa, Franco, Fasanella, Baget Bozzo. In lacrime, in gramaglie, listati a lutto. Ma allora sono proprio innamorati. E al cuore, si sa, non si comanda. Commuove, in particolare, il cordoglio di Pionati e Vespa, i due responsabili dell'informazione (si fa per dire) del servizio pubblico (si fa per dire), che arrotondano lo stipendio Rai con rubriche sul settimanale del premier.

Per la serie: gli stipendi separati dalle opinioni. Pionati, giureconsulto di scuola irpina, mette nello stesso calderone Andreotti, i no global e Cogne. Vespa approfitta della sentenza Andreotti per lodarsi e imbrodarsi come giornalista scomodo, soprattutto per la Procura di Palermo. Poi cita delle assoluzioni (quasi tutte per insufficienza di
prove, ma lui non lo dice) di Mannino, Contrada, Musotto, Carnevale e Andreotti. Segno, almeno, che per lui le sentenze valgono qualcosa. Ma attenzione: solo quelle che assolvono. Quelle che condannano no. Quella di Perugia, per esempio, non vale. Perché - si legge su Panorama - «non avrebbe convinto neppure Buscetta». Don Masino, dall'aldilà, dov'essere apparso in sogno a Vespa, affidandogli la missione di diffondere le sue perplessità sulla sentenza che proprio lui innescò con le rivelazioni sul caso Pecorelli.

Quando Andreotti fu assolto in primo grado a Perugia, Vespa scrisse sul Giorno (lui arrotonda un po' ovunque): «Un paese normale considera un incubo essere stato governato per 30 anni da un assassino che collateralmente occupa un posto determinante nella gerarchia mafioso. Un paese normale urla di gioia quando queste accuse cadono e si scopre che è innocente. Ieri avremmo dovuto vedere le strade invase da automobili a clacson spiegato, come per una vittoria della Nazionale. Invece no» (25-10-1999). Quando Andreotti fu assolto a Palermo, Vespa organizzò una settimana di festeggiamenti a Porta a Porta, un Carnevale di Rio in uno studio addobbato a festa e sormontato da una gigantografia: «innocente».

Ora che Andreotti è stato condannato per omicidio, l'imparziale mezzobusto avrebbe dovuto comparire nello stesso studio sormontato da un'altra scritta gigante: «colpevole». O «mandante». Invece no. Come nulla fosse accaduto, nuova beatificazione. La sentenza stavolta non conta. Vespa aveva fatto lo stesso per Bruno Contrada: santificazione dopo la condanna in primo grado, santificazione dopo l'assoluzione in appello. Non solo: il tribunale che aveva condannato Contrada nel 1996 era lo stesso che poi aveva assolto Andreotti nel '98. Stesso presidente: Francesco Ingargiola. Stesso giudice a latere: Salvatore Barresi. Pessimi nel primo verdetto. Ottimi nel secondo. E Vespa sempre lì, sulla sua decapottabile, a clacson spiegato.


Dagospia.com 25 Novembre 2002