COME SIAMO CADUTI IN BAUDO!
BIOGRAFIA NON AUTORIZZATA DI UN PIPPOIDE
SIMBOLO DI UN SISTEMA TV SULL'ORLO DI UNA CRISI DI NERVI
BIOGRAFIA NON AUTORIZZATA DI UN PIPPOIDE
SIMBOLO DI UN SISTEMA TV SULL'ORLO DI UNA CRISI DI NERVI
Bianca Stancanelli per Panorama, in edicola domani
Ha raccontato l'ora e il luogo della sua prima notte d'amore con Katia Ricciarelli: all'hotel Quirinale, all'una e mezzo del mattino, tre quarti d'ora dopo averla conosciuta. Ha rivelato quanto porta di scarpe (45), quanti capelli si è fatto trapiantare (4 mila), quante operazioni ha subito (dieci, soprattutto a tiroide e corde vocali), quante volte si è ubriacato (una, a 14 anni), quanto ha lunghe le gambe (104 centimetri su 185 d'altezza), grande la testa (54 centimetri, la circonferenza cranica) e strette le spalle (49 centimetri). Ha svelato malattie e cause di morte di suo padre e sua madre (carcinoma tiroideo, lui; morbo di Alzheimer, lei). Tutto pubblico. Detto in pubblico. Per il pubblico. Su un solo argomento ha sempre mantenuto un'inviolabile discrezione: i «piccioli». «Ammetto di guadagnare bene» ha dettato, laconico. La sua ricchezza è l'unico spettacolo che ha risparmiato agli italiani.
Per il resto Pippo Baudo è l'uomo che ognuno conosce più e meglio di qualunque vicino di casa. Il presentatore per eccellenza: di sé e degli altri. L'italiano più conosciuto dagli italiani. A 43 anni dall'esordio sugli schermi della tv pubblica, mentre si appresta a condurre il suo undicesimo Festival di Sanremo, 99 su cento sanno chi è, certifica il sondaggio commissionato da Panorama a Datamedia, e quell'uno ignaro non farebbe fatica a informarsi. Non è tutto: il 63 per cento lo apprezza abbastanza o molto. E una maggioranza di fedelissimi sono pronti a giurare che ha ragione lui nella contesa con Vittorio Sgarbi sull'esclusione della cantante trans Cristina Bugatty dal Dopofestival, guerra guerreggiata che è riuscita a sottrarre spazio sui teleschermi perfino ai venti di tempesta sull'Iraq.
Ride divertito Renzo Arbore: «Quella rissa è stata provvidenziale. C'era il pericolo di un Festival troppo quieto, buonista, perché Baudo è la tv dell'establishment, tradizionale. Ma la polemica con Sgarbi l'ha fatto entrare nel giro della hard-tv, appetibile a un pubblico avido di scontri, di urla, di pettegolezzi. E ha dimostrato che Pippo non è un personaggio superato». Si rassegni quel 25 per cento che lo giudica fuorimoda (ancora Datamedia): a 66 anni, con i capelli tinti («Quelli bianchi in televisione non funzionano»), un po' incurvato («Con il tempo qualcosa si perde in lunghezza»), Baudo è ancora il «demiurgo», come lo definì Antonio Ricci, l'inventore di Striscia la notizia, suo nemico, al quale una Rai acciaccata affida il più prezioso gioiello di famiglia, il Festival di Sanremo appunto.
Nessuno si illude, naturalmente, che torni la gloria degli anni Ottanta, quando Superpippo, al colmo del fulgore, inchiodava sul palcoscenico dell'Ariston gli occhi di 27 milioni di telespettatori e dichiarava, in anni in cui la politica-spettacolo era appena in sboccio: «Nessun partito ha l'indice di gradimento che ho io». Democristiano da sempre e senza conversioni, passato dall'amicizia con Ciriaco De Mita al sostegno a Sergio D'Antoni, capace di ostentare buoni rapporti anche con Silvio Berlusconi, candidato dai suoi fan perfino alla presidenza della Repubblica, Baudo da allora è caduto e risorto molte volte. «Rabbia di imporsi. Passione di risorgere» così ha sintetizzato le sue doti. Che gli hanno consentito di risalire la corrente fin da quando, nell'aprile 1960, il suo primo provino alla Rai come «fantasista» si concluse col poco benevolo giudizio: adatto «per programmi minori», come ha ricostruito Laura Delli Colli in Dadaumpa, storia di trent'anni di tv.
Quello spilungone siciliano, detto allora bonariamente «Gambalunga», era allora agli inizi di una carriera di uomo di spettacolo integrale. Nulla si è risparmiato: è stato autore di teatro, compositore di canzonette (la mitica Donna Rosa), regista di opere liriche, perfino attore in film dimenticati come Zum zum zum 1 e 2. Ma soprattutto presentatore. «Di più: il bravo presentatore. Un'istituzione» lo giudica il sulfureo Roberto D'Agostino, creatore del sito cult Dagospia. «Baudo è il perfetto burocrate del divertimento di massa, fa intrattenimento con serietà e compostezza, non inciucia mai con la vita reale: fa spettacolo. Ogni mossa che fa gli frutta qualcosa. Con gli ospiti è imbattibile: se hai un libro, come te lo lancia lui, nessuno».
Nel 1996 il giornalista Cesare Lanza calcolò: «Superpippo "vale", grazie agli indici di ascolto che promuovono pubblicità e alle scottanti sponsorizzazioni in pugno, la bellezza di 300 miliardi». Era la vigilia dell'ultima caduta, la più umiliante, nel fango di Tangentopoli. Accusato da Striscia la notizia di pubblicità occulta, descritto dal quotidiano Mf come il dominus di un reticolo di 21 società, alcune delle quali ospiti d'onore alla festa continua degli appalti Rai, intercettato dai carabinieri mentre, nel dicembre 1995, arrangiava a casa di Ron la canzone che avrebbe vinto il Sanremo '96, naturalmente diretto e presentato da Pippo, Baudo si ritrovò imputato di concussione e frode fiscale. Nel novembre 1998 patteggiò una condanna a un anno e nove mesi, pagò 200 milioni, risarcì sponsor che avevano testimoniato d'aver dovuto remunerare Pippo e i suoi manager. «Non è più deus ma solo ex machina. Da rottamare» lo scudisciò Ricci, nel suo Striscia la tivù, commentando la seconda, sfortunata migrazione di Baudo nella tv commerciale.
Tornò in Rai. Ricominciò dalla Terza rete, con un programma di storia, Novecento. Lettore vorace, da Naomi Klein, l'ideologa dei no global, ai saggi di storia, Baudo ripartiva da zero. Fu un successo, l'inizio di una nuova resurrezione. «Anche se ormai Benito Baudo non esiste più» analizza D'Agostino. Gli ascolti record sono un ricordo: promosso per una stagione su Raiuno, Novecento si accinge a migrare su Raidue; il Castello, creatura di Baudo, deputata a contrastare l'onda altissima di Striscia, si sta rivelando di sabbia. E Baudo gioca al padre nobile, finge di almanaccare sui possibili successori per Sanremo, suggerisce nomi: Fiorello, forse Christian De Sica. Resta instancabile, divorato da una passione autentica per il lavoro, accentratore e imperioso, pronto a buttare all'aria le scalette disegnate dagli autori, deciso a imporre ai direttori d'orchestra l'arrangiamento di un pezzo, ai registi l'uso di una o un'altra telecamera.
Un padre padrone dietro le quinte, ma in pubblico il composto, sobrio, immarcescibile Pippo che ha fatto coniare ai sociologi dello spettacolo il neologismo «baudismo». Un uomo-concavo, che assorbe ogni urto, anche quando in diretta Fiorello gli afferra il pisello. Così nessuno, o quasi, ne parla male. Compreso Guglielmo Rositani, il parlamentare di An che a lungo lo ha infilzato con acri interrogazioni parlamentari, adombrando affari e maneggi dietro le quinte di Sanremo. Un anno fa Baudo l'ha invitato a Sanremo, ha presentato da par suo la proposta di legge per la musica scritta da Rositani. Che oggi così lo definisce: «Il miglior professionista della tivù, pubblica e privata». Beati i concavi.
MILITELLO IGNOTO
Nome: Giuseppe Raimondo Vittorio Baudo.
Luogo e data di nascita: Militello Val di Catania, il 7 giugno 1936.
Titolo di studio: laurea in legge con una tesi su «Efficacia erga omnes dei contratti collettivi di lavoro».
Esordi: nel 1960, con il programma «La guida degli emigranti».
Stato civile: due matrimoni. Il primo, finito in divorzio, con Angela Lippi, nel 1970. Il secondo, rito civile, con Katia Ricciarelli nel 1986.
Figli: due. Tiziana, nata dal matrimonio con Angela Lippi. Alessandro Formosa, 42 anni, figlio di una lontana relazione di Baudo con una donna sposata, riconosciuto nel 2000.
Dagospia.com 27 Febbraio 2003
Ha raccontato l'ora e il luogo della sua prima notte d'amore con Katia Ricciarelli: all'hotel Quirinale, all'una e mezzo del mattino, tre quarti d'ora dopo averla conosciuta. Ha rivelato quanto porta di scarpe (45), quanti capelli si è fatto trapiantare (4 mila), quante operazioni ha subito (dieci, soprattutto a tiroide e corde vocali), quante volte si è ubriacato (una, a 14 anni), quanto ha lunghe le gambe (104 centimetri su 185 d'altezza), grande la testa (54 centimetri, la circonferenza cranica) e strette le spalle (49 centimetri). Ha svelato malattie e cause di morte di suo padre e sua madre (carcinoma tiroideo, lui; morbo di Alzheimer, lei). Tutto pubblico. Detto in pubblico. Per il pubblico. Su un solo argomento ha sempre mantenuto un'inviolabile discrezione: i «piccioli». «Ammetto di guadagnare bene» ha dettato, laconico. La sua ricchezza è l'unico spettacolo che ha risparmiato agli italiani.
Per il resto Pippo Baudo è l'uomo che ognuno conosce più e meglio di qualunque vicino di casa. Il presentatore per eccellenza: di sé e degli altri. L'italiano più conosciuto dagli italiani. A 43 anni dall'esordio sugli schermi della tv pubblica, mentre si appresta a condurre il suo undicesimo Festival di Sanremo, 99 su cento sanno chi è, certifica il sondaggio commissionato da Panorama a Datamedia, e quell'uno ignaro non farebbe fatica a informarsi. Non è tutto: il 63 per cento lo apprezza abbastanza o molto. E una maggioranza di fedelissimi sono pronti a giurare che ha ragione lui nella contesa con Vittorio Sgarbi sull'esclusione della cantante trans Cristina Bugatty dal Dopofestival, guerra guerreggiata che è riuscita a sottrarre spazio sui teleschermi perfino ai venti di tempesta sull'Iraq.
Ride divertito Renzo Arbore: «Quella rissa è stata provvidenziale. C'era il pericolo di un Festival troppo quieto, buonista, perché Baudo è la tv dell'establishment, tradizionale. Ma la polemica con Sgarbi l'ha fatto entrare nel giro della hard-tv, appetibile a un pubblico avido di scontri, di urla, di pettegolezzi. E ha dimostrato che Pippo non è un personaggio superato». Si rassegni quel 25 per cento che lo giudica fuorimoda (ancora Datamedia): a 66 anni, con i capelli tinti («Quelli bianchi in televisione non funzionano»), un po' incurvato («Con il tempo qualcosa si perde in lunghezza»), Baudo è ancora il «demiurgo», come lo definì Antonio Ricci, l'inventore di Striscia la notizia, suo nemico, al quale una Rai acciaccata affida il più prezioso gioiello di famiglia, il Festival di Sanremo appunto.
Nessuno si illude, naturalmente, che torni la gloria degli anni Ottanta, quando Superpippo, al colmo del fulgore, inchiodava sul palcoscenico dell'Ariston gli occhi di 27 milioni di telespettatori e dichiarava, in anni in cui la politica-spettacolo era appena in sboccio: «Nessun partito ha l'indice di gradimento che ho io». Democristiano da sempre e senza conversioni, passato dall'amicizia con Ciriaco De Mita al sostegno a Sergio D'Antoni, capace di ostentare buoni rapporti anche con Silvio Berlusconi, candidato dai suoi fan perfino alla presidenza della Repubblica, Baudo da allora è caduto e risorto molte volte. «Rabbia di imporsi. Passione di risorgere» così ha sintetizzato le sue doti. Che gli hanno consentito di risalire la corrente fin da quando, nell'aprile 1960, il suo primo provino alla Rai come «fantasista» si concluse col poco benevolo giudizio: adatto «per programmi minori», come ha ricostruito Laura Delli Colli in Dadaumpa, storia di trent'anni di tv.
Quello spilungone siciliano, detto allora bonariamente «Gambalunga», era allora agli inizi di una carriera di uomo di spettacolo integrale. Nulla si è risparmiato: è stato autore di teatro, compositore di canzonette (la mitica Donna Rosa), regista di opere liriche, perfino attore in film dimenticati come Zum zum zum 1 e 2. Ma soprattutto presentatore. «Di più: il bravo presentatore. Un'istituzione» lo giudica il sulfureo Roberto D'Agostino, creatore del sito cult Dagospia. «Baudo è il perfetto burocrate del divertimento di massa, fa intrattenimento con serietà e compostezza, non inciucia mai con la vita reale: fa spettacolo. Ogni mossa che fa gli frutta qualcosa. Con gli ospiti è imbattibile: se hai un libro, come te lo lancia lui, nessuno».
Nel 1996 il giornalista Cesare Lanza calcolò: «Superpippo "vale", grazie agli indici di ascolto che promuovono pubblicità e alle scottanti sponsorizzazioni in pugno, la bellezza di 300 miliardi». Era la vigilia dell'ultima caduta, la più umiliante, nel fango di Tangentopoli. Accusato da Striscia la notizia di pubblicità occulta, descritto dal quotidiano Mf come il dominus di un reticolo di 21 società, alcune delle quali ospiti d'onore alla festa continua degli appalti Rai, intercettato dai carabinieri mentre, nel dicembre 1995, arrangiava a casa di Ron la canzone che avrebbe vinto il Sanremo '96, naturalmente diretto e presentato da Pippo, Baudo si ritrovò imputato di concussione e frode fiscale. Nel novembre 1998 patteggiò una condanna a un anno e nove mesi, pagò 200 milioni, risarcì sponsor che avevano testimoniato d'aver dovuto remunerare Pippo e i suoi manager. «Non è più deus ma solo ex machina. Da rottamare» lo scudisciò Ricci, nel suo Striscia la tivù, commentando la seconda, sfortunata migrazione di Baudo nella tv commerciale.
Tornò in Rai. Ricominciò dalla Terza rete, con un programma di storia, Novecento. Lettore vorace, da Naomi Klein, l'ideologa dei no global, ai saggi di storia, Baudo ripartiva da zero. Fu un successo, l'inizio di una nuova resurrezione. «Anche se ormai Benito Baudo non esiste più» analizza D'Agostino. Gli ascolti record sono un ricordo: promosso per una stagione su Raiuno, Novecento si accinge a migrare su Raidue; il Castello, creatura di Baudo, deputata a contrastare l'onda altissima di Striscia, si sta rivelando di sabbia. E Baudo gioca al padre nobile, finge di almanaccare sui possibili successori per Sanremo, suggerisce nomi: Fiorello, forse Christian De Sica. Resta instancabile, divorato da una passione autentica per il lavoro, accentratore e imperioso, pronto a buttare all'aria le scalette disegnate dagli autori, deciso a imporre ai direttori d'orchestra l'arrangiamento di un pezzo, ai registi l'uso di una o un'altra telecamera.
Un padre padrone dietro le quinte, ma in pubblico il composto, sobrio, immarcescibile Pippo che ha fatto coniare ai sociologi dello spettacolo il neologismo «baudismo». Un uomo-concavo, che assorbe ogni urto, anche quando in diretta Fiorello gli afferra il pisello. Così nessuno, o quasi, ne parla male. Compreso Guglielmo Rositani, il parlamentare di An che a lungo lo ha infilzato con acri interrogazioni parlamentari, adombrando affari e maneggi dietro le quinte di Sanremo. Un anno fa Baudo l'ha invitato a Sanremo, ha presentato da par suo la proposta di legge per la musica scritta da Rositani. Che oggi così lo definisce: «Il miglior professionista della tivù, pubblica e privata». Beati i concavi.
MILITELLO IGNOTO
Nome: Giuseppe Raimondo Vittorio Baudo.
Luogo e data di nascita: Militello Val di Catania, il 7 giugno 1936.
Titolo di studio: laurea in legge con una tesi su «Efficacia erga omnes dei contratti collettivi di lavoro».
Esordi: nel 1960, con il programma «La guida degli emigranti».
Stato civile: due matrimoni. Il primo, finito in divorzio, con Angela Lippi, nel 1970. Il secondo, rito civile, con Katia Ricciarelli nel 1986.
Figli: due. Tiziana, nata dal matrimonio con Angela Lippi. Alessandro Formosa, 42 anni, figlio di una lontana relazione di Baudo con una donna sposata, riconosciuto nel 2000.
Dagospia.com 27 Febbraio 2003